La Parola è seme generativo
La prima lettura di questa domenica inizia con la celeberrima immagine, citata dal profeta Isaia, della pioggia e della neve che scendono dal cielo, irrigano e rendono feconda la terra; e introduce all’altrettanto famosa parabola del seminatore di cui si parla nel vangelo. La parola è seme generativo, niente affatto figurato bensì autentico, perché la vita spirituale, al pari della vita biologica, nasce da un seme; e questo seme è appunto la parola.
«Maschio e femmina li creò» (Gen 1,27): la vita biologica nasce da un seme maschile e un ovulo femminile; nella vita spirituale il seme maschile è la parola e l’ovulo femminile è l’anima, che la prima ha l’immenso potere di fecondare. Non a caso la seconda persona della Trinità è il Verbo; ed è l’accoglienza di questo Verbo che genera la vita nuova, cioè l’accoglienza di Cristo in noi.
«Udito parlare di Gesù», ossia da una parola ascoltata: così comincia la storia di salvezza per l’emorroissa (Mc 5,28), il centurione (Lc 7,3) e i tanti che, dopo di loro nei secoli, afflitti da mali, si sono accostati a Cristo perché di lui hanno udito meraviglie.
Benché la parola spesso sia minimizzata – «Sono solo parole» cantava Noemi qualche anno fa a Sanremo – essa ha un potere enorme: accogliere una parola sbagliata può rovinare la vita; accogliere la parola giusta la può salvare. Quante volte abbiamo ripetuto «mia madre mi diceva…, mio nonno mi diceva…»: sono le parole d’amore e di vita che, una volta accolte, hanno guidato e illuminato l’esistenza di tanti. Per contro, il plagio è la dimostrazione di quanto possa essere violento l’effetto di una parola, al punto da poterlo considerare lo stupro della mente.
La Parola di Dio ha un compito preciso: è l’abito dell’amore del Padre, è il veicolo attraverso il quale il suo amore può entrare nell’uomo; la Parola può essere accolta dai cuori e può così mettere radici per guidare le nostre esistenze fino al porto sicuro del regno dei cieli, sperimentando la pace del cuore già qui e ora.
Durante la messa celebriamo due momenti: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica, in cui vengono spezzati due tipi di pane, di nutrimento: la Parola, che è vera Eucarestia per la mente e l’intelletto; e il pane nell’Eucarestia del corpo e dello spirito.
La Parola di Dio, una volta udita, ritorna alla mente sotto forma di ispirazione, di eco interiore che invita a seguire liberamente una strada luminosa; un’ispirazione dolce e delicata a cui si può dire di no serenamente. Ben diverso è il caso della tentazione: anch’essa spesso si manifesta con una parola che riecheggia nell’interiorità , ma contrariamente alla Parola di Dio che risuona per ispirazione, la tentazione si manifesta per suggestione, con una parola che opprime, genera inquietudine ed è difficile opporvisi. Suggestionare è ben diverso da ispirare. Distinguere i due verbi è un importante esercizio spirituale, fondamentale per la crescita interiore.
La chiave per accogliere la Parola risiede nel cuore, e nella condizione in cui ci troviamo al momento dell’ascolto, perché dal nostro cuore dipende tutto: se è chiuso, Dio non può entrare e la Parola, benché potente, resta inefficace, compiendo la sua missione scivolandoci addosso e lasciandoci infelici. L’infelicità – che è la mancanza della salvezza a cui ci siamo chiusi o a cui non ci siamo aperti del tutto – sarà un perenne richiamo alla strada per riaprire il cuore, che può essere il grimaldello per smuoverne la durezza e portarlo a rimettersi in discussione. Per rinascere alla vita.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli