Commento al Vangelo di domenica 22 Dicembre 2019 – Comunità Kairos

A partire dall’esperienza vittoriosa del Risorto i testi evangelici percorrono a ritroso il suo cammino sulla terra sino alla legittima domanda: come è apparso sulla scena del mondo l’Uomo-Dio? La giovane comunità di Marco sceglie il silenzio sul mistero. La matura comunità giovannea tenterà di esprimerlo con rara profondità, tra riflessione teologica ed intuizione mistica. Tra le due, le comunità di Matteo e di Luca si affidano ad una narrazione che percorre con i suoi eventi e protagonisti umani la terra, aprendosi insieme alla presenza indicibile di un protagonista Altro, l’unico che significa, dà il senso ultimo alla storia.

Matteo è un ebreo che scrive per una comunità in prevalenza giudeocristiana. Quindi apre significativamente il suo racconto con la dizione “Libro della Genesi di Gesù, Messia figlio di Davide, figlio di Abramo” e ne presenta, alla maniera semitica, la genealogia sino a “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (1, 1-16).

Ora spiega il come. L’irruzione del Verbo di Dio nel mondo non ha nulla di sdolcinato, al contrario: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada” (10,34) dirà lo stesso Gesù. Prima di poterlo gustare come pace, ci sono necessari tagli dolorosi a tante sovrastrutture fittizie. Così nel dittico iniziale ci è presentata la coppia di promessi sposi umanamente sconvolta da una gravidanza misteriosa, subito annunziata come opera dello Spirito Santo; sono piccoli che hanno incrociato Dio nella loro storia. Matteo tace sull’avventura spirituale di Maria. In lui la vergine è pura ricettività già visitata dal mistero e situata in stato di umiliazione (cf. “perché ha guardato l’umiliazione della sua serva”, Lc 1,48).

Concentra invece l’attenzione sul capofamiglia, anch’egli spiazzato dalla situazione. Giuseppe pensa di non avere davanti che due alternative, la denunzia pubblica con le conseguenze connesse o un improbabile ripudio privato. Da uomo giusto scarta di avvalersi qui della legge e la supera in nome di un dettato interiore che gli impone di non nuocere a colei che ama. Ma di più non arriva a considerare, pur volendo. Perché Giuseppe è pienamente inserito in una cultura patriarcale che dalle origini considera la moglie proprietà dell’uomo, “egli ti dominerà” (Gn 3,16), così come proprietà sono considerati i figli, mentre le restrizioni alla libertà personale delle donne sono funzionali ad impedire l’eventuale ingresso di uno “straniero”, di un “clandestino” nell’ambito della famiglia proprietaria.

Ci sarà bisogno di un sogno perché evaporino i tabù culturali e in questo stato onirico emergano i suoi veri desideri, a cui nella veglia razionale vieta persino di esistere. Nel suo cuore profondo sente che potrebbe fidarsi di Maria. Potrebbe rinunziare alla pretesa di proprietà esclusiva, accettare che quella sua donna sia terra di Dio. Accettare anche che uno straniero, un piccolo clandestino misterioso entri nella sua famiglia. Ma come e a che fine?

Come all’epoca dei patriarchi, al silenzioso Giuseppe tormentato dal dubbio appare nel sogno un angelo del Signore, intervento di Dio che gli infonde il coraggio di superare se stesso e la propria giustizia per andare oltre ed entrare nel progetto divino. La mediazione angelica incoraggia Giuseppe in ciò che è il suo vero desiderio: “non temere di prendere con te Maria”, rivelando che l’azione dello Spirito unisce i viventi, mai li divide. Lo situa in un’altra dimensione, come di una nuova creazione: l’umano che supera l’attaccamento al sé e diventa capace di prendere con sé, di fare suo il progetto divino e aprirsi a una relazione nuova, su nuove prospettive che hanno il respiro di Dio.

Figlio di Davide, lo ha infatti interpellato l’angelo, rivelandogli la sua identità profonda, la vocazione ad un ruolo nella storia della salvezza. Qui Giuseppe ha realizzato di essere portatore della speranza messianica, antica di generazioni infinite, che abbraccia con respiro universale le genti tutte in attesa di liberazione dall’insignificanza. Il compito riservatogli è quello di inserire, da padre legale, il figlio dello Spirito, relazione tra il Signore e l’umanità, nella sua famiglia davidica e messianica, depositaria delle promesse. Nella catena generazionale Matteo ha fatto discendere Gesù il Messia da Davide, ma ancor prima da Abramo. Scelta teologica che fonda la novità di Cristo nelle promesse antiche. La radice di Giuseppe risale infatti a quell’Abramo dalla fede nuda che ha abbandonato il suo futuro nelle mani di Dio, ha accettato la propria mancanza, lasciando spazio a Dio e divenendo “padre di molti popoli”. Allo stesso abbandono è chiamato anche Giuseppe, che lascia il suo io ben strutturato, accetta il mistero che abita la sua sposa e adora il nome che dovrà imporre al figlio: Jehoshù’a, cioè: Dio salva il suo popolo dai suoi peccati; lo salva dal fossato della distanza e lo fa vicino nel perdono. Lo  salva dal non-senso di una vita abbandonata a se stessa, e lo riempie di pienezza vitale.

Tutto ciò avviene dalle Scritture. L’angelo del sogno è suggestiva allusione alla meditazione delle profezie che Giuseppe rumina nel suo travaglio. Le Scritture registrano il tracciato dell’umanità in cammino verso Dio e della Divinità che si china sull’umanità, sino ad inserirsi in essa, incarnandosi: Emmanuel, Dio con noi. È il nome-sigillo del Risorto, che Matteo situerà alla fine del vangelo di Cristo e all’inizio del tempo della Chiesa. Per questo è qui, fin dalla genesi di Gesù, anzi da prima, da un’attesa lontana, quando Isaìa profetizzò: «Ascoltate, casa di Davide! …il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,10-14), che significa Dio con noi. Grande, enorme atto di fede: una giovane sposa indicherà alla ormai indegna casa di Davide che non i potenti della terra, non gli dei delle nazioni potranno essere salvezza per il popolo angosciato, ma solo il Signore che è e sarà il “Dio con noi”. Attesa ora colmata.

Vivere della Parola, respirare il respiro di Dio attraverso lo Spirito che soffia dalle Scritture significa per tutti lasciarsi plasmare dal suo progetto che ci vuole co-protagonisti responsabili, che assumano il rischio della libertà. Nessun evento di salvezza può darsi senza la corresponsabilità degli uomini.

Giuseppe, il giusto, è l’Israele fedele che ascolta i profeti ascoltando Dio e con loro attende il Regno, non dei padri ma del Signore. E a questo progetto aderisce, prestando il suo essere uomo.

Prendere con sé, sposare per sempre l’evento di grazia che ha investito un giorno la propria vita nell’incontro con Gesù; lasciarlo crescere nel silenzio interiore, portarlo con sé in giro per le terre e per il tempo, nella storia, custodendolo ed essendone custodito: la vocazione di Giuseppe è la stessa di ogni credente.

Comunità Kairòs 

Commento a cura di Monica

Fonte: Comunità Kairos (Palermo)


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