Commento al Vangelo di domenica 15 ottobre 2017 – Comunità Monastica Ss. Trinità

«Gesù riprese a parlare loro con parabole…» ( Mt 22,1). Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme. Sono gli ultimi giorni della sua vita terrena, l’ora della passione si avvicina. Davanti a sé ha «i capi dei sacerdoti e i farisei» ( Mt 21,45) che continuamente tramano contro di lui cercando un’occasione propizia per catturarlo. Come e cosa risponde Gesù a questi ripetuti attacchi, a questi tentativi di toglierlo di mezzo per metterlo a tacere una volta per tutte? Raccontando di nuovo delle parabole… Alla forza della violenza Gesù oppone la for za disarmante della parola. Al linguaggio della menzogna e dell’inganno oppone il linguaggio della verità che emerge in maniera luminosa dalla narrazione parabolica. E, al riguardo, non è forse un caso che la nostra parabola si apra con quell’annotazione ( peraltro non ripresa dalla nuova traduzione CEI) che la presenta appunto come risposta alla violenza messa in atto dai capi religiosi del popolo: «E rispondendo Gesù di nuovo parlò in parabole…» (così recita letteralmente il testo al v. 1). Ma non sono sol o i capi dei sacerdoti e i farisei che hanno bisogno sempre di nuovo di essere toccati dalla forza della parola di Gesù, anche noi abbiamo bisogno di riascoltare ogni volta quella ‘buona notizia’ che ci raggiunge là dove siamo, per aprirci alla fede e farci entrare in quel ‘mondo di Dio’ così bene illustrato dalle parabole evangeliche. E, difatti, in queste ultime domeniche la liturgia non smette di parlarci attraverso quelle parabole (è la quinta parabola che ascoltiamo in cinque domeniche!) che sentiamo uscire dalla viva bocca di Gesù, così come un tempo le udivano i suoi contemporanei.

«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio» (v. 2). Tutto comincia con una festa e con il desiderio che questa festa possa riuscire nel miglior modo possibile. A questo re preme più di ogni altra cosa che la partecipazione al banchetto di nozze di suo figlio sia piena e fruttuosa. E fa di tutto affinché la sala delle nozze non rimanga con un solo angolo vuoto e inutilizzato. Ma ecco che subito, dopo l’invio dei primi servi, il re sperimenta lo scacco: la sua offerta, così gratuita e generosa, non è accolta, anzi è tenacemente respinta: «Ma questi non volevano venire … Ma quelli non se ne curarono …» (vv. 3.5). Come mai questo inspiegabile rifiuto? Il testo non sembra eccessivamente preoccupato di fornire spiegazioni in proposito: è abbastanza laconico in questo. L’unica cosa che esplicita – oltre alla semplice ‘non volontà’ di aderire all’invito (cfr. v. 3) – è il pensiero dei chiamati di cu rarsi solo del proprio campo e dei propri affari (cfr. v. 5). Alla festa, all’occasione unica e suprema, alla possibilità di partecipare a questo momento solenne e irripetibile, viene preferita la banalità del quotidiano, delle proprie cose, del proprio mondo chiuso all’alterità e alla novità. Ma, ciò che è peggio, è che il rifiuto è accompagnato da una sconcertante e a dir poco gratuita violenza: «presero i suoi servi, li insultarono e gli uccisero» (v. 6). Dietro questa aggressività si può leggere forse un certo ‘fastidio’ per una chiamata che viene improvvisamente a sconvolgere le proprie vite, troppo concentrate su se stesse e su ciò che si ritiene (a proprio giudizio) importante e necessario. Si vorrebbe essere il più possibile ‘lasciati in pace’, inten ti ai propri lavori e alle proprie faccende… Perché quel re viene a disturbarci in questo modo?

Si intravede qui l’esperienza di Gesù, il rifiuto della sua persona e della sua predicazione da parte dei farisei e dei capi religiosi del popolo; e, ancor prim a, i ripetuti rifiuti di Israele ai reiterati inviti di Dio che costellano l’intera storia della salvezza. Quante volte Dio dovrà inviare i suoi servi, i suoi profeti, i suoi apostoli, perché il suo popolo accolga l’invito a nozze? Quante volte anche noi dovremmo farci pregare per dire finalmente un ‘sì’ convinto e incondizionato? E, a guardar bene, si tratta di un ‘sì’ a una festa, a un banchetto di nozze, non a un dovere da compiere, a un compito gravoso da assolvere, a un comandamento minuzioso da osservare… «Tutto è pronto; venite alle nozze!» (v. 4). Desta quasi tenerezza questo Dio che non si stanca di chiamare i suoi figli, che ha pazienza di riproporre ogni giorno i suoi accorati appelli, che non demorde nella sua volontà di aprire a tutti la festa in onore di suo figlio. La sala del banchetto non può infatti restare vuota. Se i primi invitati «non erano degni» (v. 8) occorre chiamarne altri, non importa se buoni o cattivi (cfr. v. 10): importante è che accettino l’invito e la sala si possa in ogni ca so riempire.

La scena finale (per molti commentatori i vv. 11 -14 sono una piccola parabola aggiunta in un secondo momento dall’evangelista) ci riporta nel bel mezzo della festa, al momento della visita del re che entra per passare in rassegna i suoi ospiti . Momento serio e ‘terribile’: il convito si trasforma d’un tratto nell’aula di un tribunale! Ora, non senza una certa sorpresa, il re scorge un tale che non indossa l’abito nuziale. Come mai? Come ha potuto entrare senza la veste adeguata? Come si è permesso di compiere un simile affronto? Sappiamo che questo ‘vestito’ ha ricevuto molte e svariate interpretazioni nel corso della storia. Senza addentrarci ora in dettagliate spiegazioni, possiamo scorgere qui una preoccupazione tipica del primo evangelista: la coerenza tra fede e opere, tra ascolto della parola e condotta pratica di vita, tra grazia ricevuta e risposta attiva e responsabile. Potremmo intendere questa metafora dell’abito come un modo per dire che l’accoglienza (della chiamata) deve andare fino in fondo, deve diventare un abito costante, una veste da indossare sempre (come suggerisce il termine latino habitus ). Non basta infatti aver risposto di sì una volta, essere entrati nella sala delle nozze per sentirsi a posto, al sicuro, quasi con la cer tezza di aver guadagnato la salvezza. Già alla fine del ‘discorso della montagna’, Matteo riportava il seguente ammonimento di Gesù: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» ( Mt 7,21).

Dio chiama tutti al banchetto del suo regno (a questo sontuoso banchetto di «grasse vivande», di «vini eccellenti e raffinati», di «cibi succulenti» come ci ricorda il profeta Isaia nella prima lettura). Il suo grande desiderio è che tutt i possano partecipare alla festa e condividere fino in fondo la sua gioia. Nessuna condizione è posta e non vi è ostacolo che impedisca l’ingresso nella sala se non l’esplicito e consapevole rifiuto da parte dei chiamati; e nessuno corre il pericolo di ess ere cacciato fuori se non per l’aver volutamente disprezzato quell’‘abito nuziale’, segno dell’appartenenza al Signore e della dignità di figli da portare sempre con sé.

In ogni eucaristia riviviamo il mistero del banchetto nuziale che il gran Re prepara p er i suoi figli. «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!» ( Ap 19,9), proclama l’angelo dell’Apocalisse; è lo stesso invito che sentiamo risuonare per bocca del presidente dell’assemblea prima della comunione. Ancora una volta, siamo destina tari di una beatitudine non per ciò che riusciamo a essere o a fare, ma per il semplice fatto di essere degli ‘invitati’. È forse questa una delle più belle definizioni del cristiano: un invitato alla festa di Dio . E con l’abito da festa dovremmo vivere tutti i giorni, poiché – come dice sant’Atanasio – «Gesù Cristo risuscitato ha fatto della vita dell’uomo una festa continua».

Fonte: Monastero Dumenza

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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 22, 1-14
Dal Vangelo secondo  Matteo

1Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 15 – 21 Ottobre 2017
  • Tempo Ordinario XXVIII
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 4

Fonte: LaSacraBibbia.net

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