Commento al Vangelo del 28 Ottobre 2018 – Comunità Kairos

Nell’economia del vangelo di Marco questo brano chiude la sezione dedicata da Gesù alla formazione dei discepoli, lungo il viaggio da Cesarea alla capitale, nella prospettiva degli eventi finali che si consumeranno a Gerusalemme. Ma il suo messaggio non è stato recepito, anzi equivocato o apertamente rifiutato. Avrebbe detto Isaia: Sordi, ascoltate, ciechi, volgete lo sguardo per vedere. Chi è cieco, se non il mio servo? Chi è sordo come il messaggero che io invio? Hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione, hai aperto gli orecchi, ma senza sentire” (42,18-20).

Lo spazio in cui si svolge questo episodio è la città di Gerico, l’ultima tappa del viaggio per i pellegrini che dalla valle del Giordano salivano a Gerusalemme. Siamo in primavera, la pasqua è alle porte, la strada è affollata. Gesù inizia l’ascesa, consapevole che nella città santa celebrerà la sua personale Pasqua, la prossima immersione nella morte. All’uscita dalla città, Marco ci presenta un mendicante immobilizzato dalla cecità. Non è un anonimo, se ne registra il nome, segno di una sua dignità di persona. Vediamo in lui chi ogni discepolo può essere: un cieco, privo di luce, inabile alla sequela di Gesù. Così, infatti, proprio i dodici, in questo lungo viaggio iniziatico, si sono mostrati del tutto inabili a comprendere e ad accettare il capovolgimento delle loro prospettive messianiche; e soprattutto incapaci di sequela sino alla Croce. Sono su quella via “sgomenti … avevano timore” (v. 32).

Bartimeo, sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» La fama di taumaturgo ha infatti preceduto Gesù e il cieco vi si aggrappa; invoca, grida Gesù, ripete il nome che è salvezza, con l’invocazione che sarà conosciuta un giorno come la preghiera del cuore, ripetizione incessante della stessa formula, secondo il ritmo del respiro.

Dal profondo buio della sua cecità egli eleva il grido non solo al taumaturgo nazareno, ma al messia. La sua preghiera individuale si fa allora spontaneamente universale, perché il regno che Gesù messia inaugura è per tutti, ma soprattutto per tutti gli sventurati e gli infelici: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa… Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio …. rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio,…Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.” (Is 35,1ss).

Marco è l’unico degli evangelisti ad utilizzare i titoli messianici secondo una attenta linea progressiva. Da Nazareno e Rabbi a Figlio dell’Uomo, con allusione al Servo del Signore, e con la raccomandazione di serbare su ciò il segreto, a evitare una facile deriva nazionalistica e imperial- davidica. Ma all’uscita da Gerico Gesù riceve da Bartimeo, come a Cesarea da Pietro, il titolo di Messia, però, per la prima e unica volta, nell’accezione davidica. Bartimeo esprime così l’attesa comune del popolo, oppresso da disgrazie pubbliche e private. Quindi acquistano senso i rimproveri per tacitare quel grido equivocabile, sovversivo per la locale guarnigione romana!

Tuttavia, il Gesù di Marco ha scelto sempre di definirsi figlio dell’uomo, anteponendo di gran lunga il Regno di Dio al regno di David, perché un Messia non vale un altro e dietro ogni suo volto si nasconde un volto diverso di Dio, infinitamente potente oppure debole come un bambino (9,37). Ma ora Gesù non rimprovera più. La necessità del segreto cade, quando la sua prevedibile rovina lo rende ormai vano, senza possibilità di equivoco: il messia che sta salendo a Gerusalemme non sarà vittorioso ma perdente.

Intanto l’invocazione del cieco, preghiera insistente, grido ripetuto e ripetuto con tutte le forze del suo fisico accasciato, è diventata il mezzo che gli ha permesso di raggiungere Colui che non vede, ma di cui ha solo sentito parlare. Abbi pietà di me, elèeson me, è l’indistinta preghiera che ci parla di una completa

 

remissione al balsamo della misericordia di Dio e del suo messia, è un “accarezzami con la tua tenerezza”. Modello di ogni nostra preghiera e primo gradino di un percorso di fede.  Gesù si ferma.  La comunità è incaricata di mediare la sua chiamata: “Coraggio! Alzati”, verbo usato per il risuscitare. Così è. Egli, gettato via il suo mantello, l’unica ricchezza del povero, balzato su, anàpedesas, va a Gesù. Sta sanando così il rifiuto dell’uomo ricco (vv 17-27).

Gesù risponde, ma con una domanda, giusto la stessa già posta con esito infelice a Giacomo e a Giovanni (v 36); la stessa posta sempre anche a noi, e che spinge a interrogarsi e a passare dal bisogno al desiderio: Cosa vuoi che io faccia per te? Nella danza dei pronomi Tu, Io, Ti (cfr. G. Salonia), Bartimeo emerge dal suo io isolato e dolente e si apre alla relazione / incontro col Cristo, da protagonista.

E’ di un salvatore nazional-collettivo che si ha bisogno? o di chi dia la vita per darci la vita, come il Servo, luce delle Nazioni perché apra gli occhi ai ciechi (Is 42,6-7)? Allora il titolo ambiguo cade. Si allaccia un rapporto strettamente personale con quel Messia-Servo che ama nella totalità del dono. Non resta che arrendersi all’unico Maestro che insegna la vita, confessandosi discepolo: Rabbunì, maestro mio. che io levi gli occhi al tuo mistero di Messia e comprenda. Ana-blepein, guardare in alto, è per tutti il dono della luce, il vedere nel visibile l’invisibile, uscendo da sé e dal mondo asfittico dei propri legami, il primato,  la gloria, l’attaccamento ai beni, in un’esperienza di liberazione. Il discepolo, che a partire dalla sua impotenza si è totalmente abbandonato alla fede in Gesù, è già salvato. Fede è stata per Bartimeo l’intima convinzione che il Signore che opera meraviglie e ci ama senza condizioni lo avrebbe in Gesù raggiunto.

Ora questa vista-dono consente al vero discepolo, modello per gli apostoli impauriti, di intraprendere la sequela, sulla via che punta in alto, verso Gerusalemme: lo seguiva lungo la via. “Ci sarà una strada e la chiameranno via santa; … Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere … Vi cammineranno i redenti.

…e verranno in Sion con giubilo” (Is 35,8ss). Verso l’evento Croce, in cui si svelerà finalmente nel volto del Figlio il volto del Padre.

Raffaela Brignola

Fonte: Comunità Kairos (Palermo)

Read more

Local News