Commento al Vangelo del 17 Gennaio 2021 – P. Osorio Citora Afonso

Le letture odierne ci stimolano ad alcune riflessioni sulla disponibilità ad accettare la chiamata di Dio e di lasciarci aiutare per dare un’adeguata risposta a tale chiamata, come fece Samuele, nella prima lettura, oppure come fecero due dei discepoli di Giovanni che seguirono Gesù, nel Vangelo. Inoltre, ci sfidano presentando alcune riflessioni sulla capacità e disponibilità di fare da tramite nel dialogo tra Dio e gli uomini, essere intermediari, come fece Eli, nel primo Libro di Samuele, oppure, come Giovanni ed Andrea, nel Vangelo di Giovanni.

Le due letture parlano della vocazione quella di Samuele e nel Vangelo quella dei due dei discepoli di Giovanni e anche quella di Pietro. In tutte queste narrazioni di Vocazioni si sottolinea che la vocazione ha un carattere mediato. Eli aiuta Samuele, il Battista indica Gesù, Andrea chiama Pietro. La nostra vocazione cristiana si media in diversi modi, chi è chiamato come Eli, chi come Giovanni oppure come Andrea. Essa ha bisogno della testimonianza di persone che fanno da tramite, soffermiamoci allora su quest’ultimo punto, per determinare il valore della testimonianza nel processo della nuova evangelizzazione.

Fare da tramite tra Dio e gli uomini: il caso di Eli, Giovanni ed Andrea

Nella prima lettura, Samuele, confondendo la voce di Dio con quella di Eli, si reca da lui ogni qual volta sente una chiamata, lo fa per ben tre volte dicendo: “mi hai chiamato, eccomi”. Eli allora capisce che il Signore chiama Samuele e gli dice: “vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: ‘Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta’”. Eli gioca un ruolo decisivo nell’esito positivo dell’esperienza dell’ascolto di Dio da parte del giovane Samuele, egli fa da mediatore aiutando Samuele a saper discernere la voce di Dio da quella sua che gli era famigliare. Erano insieme, Samuele conosceva la voce di Eli, ma non riusciva a distinguerla da quella di Dio, inoltre era assonnato, era notte, l’autore afferma che “in realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la Parola del Signore”; perché “la parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti”. In questa rarità della parola e non frequenza delle visioni, Eli, che aveva l’esperienza di Dio, scopre che era Dio che chiamava e dà indicazioni e orientamenti al giovane: di ritornare al silenzio e stare attento e se la voce fosse ritornata a chiamare rispondere “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta’”.

Nel Vangelo, invece, il primo che fa da tramite è Giovanni. Avendo visto Gesù, dice a due dei suoi discepoli: “ecco l’Agnello di Dio”, questi lo lasciano e seguono Gesù. È impressionante: Giovanni fissa gli occhi su Gesù, in maniera che, l’evangelista afferma: “i suoi discepoli, avendo udito parlare seguirono Gesù”. Sono gli occhi di Giovanni e le sue parole che sono pieni di Gesù, al semplice contatto con quello sguardo e con quelle parole due dei suoi discepoli sono spinti a seguire Cristo. Questo fissare gli occhi su Gesù, non si tratta di uno sguardo esterno, ma un vedere “dentro”, in profondità, infatti l’evangelista usa il verbo “en-blepo”, cioè vedere dentro. Lo sguardo di Giovanni Battista non è superficiale, distratto, fuggevole, ma piuttosto di contatto profondo, intenso, sguardo che parte dal cuore, dall’anima, con il suo sguardo egli penetra il mistero di Dio che è in Gesù; la sua identità in relazione alla salvezza dell’umanità. Giovanni dice: “ecco l’Agnello di Dio” cioè ecco il servo sofferente che porterà su di sé i peccati dell’umanità, colui che salverà l’umanità intera; ecco l’Agnello pasquale dato per la redenzione. Il Battista lascia il centro della scena perché vuole che i suoi discepoli seguano il vero Maestro, l’Agnello di Dio. È qui la sua gioia: la gioia di essere uno strumento per gli altri. Così i due discepoli possono incontrare il Signore e rimanere con Lui. In questo racconto, sono stati sufficienti lo sguardo e la parola. Uno sguardo inondato dalla luce di Cristo, uno sguardo innamorato che coinvolgi tutti i sentimenti che vengono tradotti nella frase “ecco l’agnello di Dio”. Dovremmo essere dei cristiani con lo sguardo e la parola di Giovanni il Battista.

Il secondo che fa da tramite, in questo Vangelo, è Andrea e lo fa con il racconto e l’accompagnamento. Entra in scena Andrea, uno dei due discepoli di Giovani che seguiranno Gesù e dall’incontro con l’Agnello di Dio essi usciranno trasformati, tanto da diventare a loro volta strumento che conduce i fratelli all’incontro con Gesù. Andrea va da Simone, suo fratello, e compie due gesti: parla del suo incontro e conduce il fratello: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù”. Le parole di Andrea al fratello sono già un chiaro indizio di fede: “Abbiamo trovato il Messia”. prima era stato presentato come “Agnello di Dio”, poi come un “rabbi”, ora, dopo che “stettero con lui”, egli è il “Messia”. Vi è una crescita di fede che deriva dal fatto di “abitare” con Cristo, ovvero di conoscerlo sempre più profondamente. L’incontro intimo con Cristo non deve assumere un carattere autoreferenziale e intimistico ma va condiviso: “Abbiamo trovato il Messia”. Il verbo greco che egli usa, qui tradotto per “trovare” non è un semplice incontrare, ma ha il senso di “cercare”: epilogo e approdo di un cammino di ricerca.

Giovanni non si è limitato a vedere e a battezzare Gesù, colui che chiamerà “Agnello di Dio”, Andrea non si è limitato a rimanere con il Messia, ma va a raccontare la sua scoperta, anzi quasi spinge suo fratello da Gesù, desiderando che anche lui dimori con il Maestro.

Il discepolo missionario è quello che fa da tramite all’incontro con Dio e con Gesù come Eli, Giovanni il Battista ed Andrea. È colui che, come Andrea, fa, dell’incontro con Gesù, l’esperienza del “dimorare” e poi va raccontare, con lo sguardo inondato di luce ed innamorato, l’esperienza che ha cambiato la sua vita. Egli fa da tramite all’incontro, a quest’Incontro.

Afferma il Santo Padre: “Quante volte abbiamo sentito che il Cristianesimo non è solo una dottrina, non è un modo di comportarsi, non è una cultura, è per primo un incontro. Una persona è cristiana perché ha incontrato Gesù Cristo, si è lasciato incontrare da Lui. Quest’incontro ci dà modo di capire bene come agisce il Signore. Noi siamo nati con un seme di inquietudine, Dio ha voluto così, il nostro cuore inquieto per favore ha sete dell’incontro con Dio, ricerca tante volte per le strade sbagliate, si perde poi torna lo cerca e d’altra parte Dio ha sete dell’incontro al punto che ho inviato Gesù per incontrarci, per venire incontro a questa inquietudine”.


Per gentile concessione del sito consolata.org

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