Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 4 Novembre 2021

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Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Farisei e scribi avevano diviso il mondo religioso in santi e peccatori. Scribi e farisei erano santi, vivevano da santi, morivano da santi. La santità era la loro stessa natura. Qualsiasi cosa essi facessero, rimanevano santi. Era però una santità senza alcuna relazione con la Legge, la Parola, i Comandi del Signore. La loro era una santità fondata sui loro precetti, i loro statuti, le loro tradizioni. La Legge del Signore si poteva anche trasgredire. Importante era non trasgredire la loro tradizione. Era loro tradizione il pensiero che il peccatore doveva essere trattato sempre da peccatore. Per lui non c’era alcuna possibilità di conversione, redenzione, salvezza, perdono. Gesù non vive la loro tradizione, ma la Legge del Padre suo che è misericordia che invita alla conversione e al pentimento. È perdono per tutti coloro che fanno ritorno nella sua Legge, nella sua Alleanza. Nasce il contrasto. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro»”. Costui non è dalla nostra parte. Costui sovverte le nostre tradizioni. Costui dichiara nulla la nostra santità. Costui dovrà essere fermato. O noi o Lui. All’accusa dei farisei e degli scribi, Gesù risponde con tre parabole. In esse sono contenute tre verità eterne. La pecora è del pastore. La moneta dona vita alla donna. Il padre rimane sempre padre dinanzi al figlio. Non cambia natura. Queste verità sono purissimo Vangelo.

Se un pastore oggi perde una pecora e domani un’altra e non si preoccupa di andare a cercarle, alla fine sarà pastore di se stesso. A nulla serve un pastore di se stesso. Il pastore è vero pastore se è pastore delle pecore. “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. Pastore e pecora sono una cosa sola, perché pastore e gregge sono una cosa sola. Se il pastore perde le sue pecore e di esse non si interessa, allora non è più pastore. È solo un mercenario. Al mercenario interessa solo il suo guadagno. Nulla gli importa delle pecore. Gesù è invece il Buon Pastore. Gesù non solo è venuto per cercare le pecore perdute, smarrite, confuse, del Padre. È venuto per dare la sua vita per la loro salvezza e redenzione. La vita di Cristo in riscatto delle pecore. Questa la sua missione e il suo ministero.

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Il pastore esce in cerca della pecora, la trova, pieno di gioia se la carica sulle spalle. La riporta nel suo ovile. Pastore, ovile, pecora devono essere una cosa sola. Né il pastore senza le pecore né la pecora senza il pastore. Né il pastore senza ovile né le pecore senza l’ovile. Questa verità va oggi gridata con tutta la forza. Ci sono i pastori senza le pecore. Ci sono le pecore senza il pastore. Ci sono pecore e pastori senza ovile. Tutto è dall’unità. Oggi sono molte le pecore che vogliono essere libere, senza né ovile né pastore. Ma anche quasi tutti i pastori vivono senza ovile e senza pecore. Spesso i pastori sono elargitori di servizi, più materiali che spirituali. Il pastore è pieno di gioia. Ha trovato la sua pecora, quella che aveva perduto. Perché è nella gioia? Perché si ricompone l’unità. Il pastore è vero pastore. Ha cercato la sua pecora. La pecora è vera pecora. Appartiene al suo pastore.

La sua gioia è incontenibile. Deve manifestarla ad ogni altra persona. “Va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»”. La pecora è cosa preziosa. Farisei e scribi non hanno né la verità di se stessi né la verità delle pecore, perché non hanno la Verità di Dio nel loro cuore. Chi manca della Verità di Dio nella sua vita, mancherà di qualsiasi verità. Tutto è dalla Verità di Dio. Per il Signore ogni uomo è cosa preziosa ai suoi occhi. Per ogni uomo Lui ha dato la vita del suo Figlio Eterno. Se per il Signore un uomo vale quanto vale il Figlio suo, allora la sua vita gli è preziosa. Verità mai da dimenticare. Se il pastore consuma la sua vita per ogni pecora del suo gregge, allora la vita delle pecore è preziosa ai suoi occhi. Da questa verità di Dio sempre si deve partire. Ci si separa da Dio, ci si separa dalla sua verità e dal suo amore.

Ora Gesù trae la conclusione dalla parabola: “Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”. I giusti sono giusti e sono ormai salvi. Per i giusti non ci si deve preoccupare. Per i peccatori sì che ci si deve preoccupare. Essi vanno portati nella salvezza, nella redenzione, nella giustizia, nella santità. Vanno posti sulla via che conduce al regno eterno di Dio. Quando un peccatore ritorna nella casa del Padre, allora nel cielo si fa una grande festa. Si era allontanato, ora è tornato. È sulla via della salvezza eterna. Questa è la gioia del pastore: sapere che è stata ritrovata la via dell’ovile. Ecco come San Paolo Apostolo vede se stesso come Pastore. Lui si dà tutto a tutti per guadagnare qualcuno a Cristo. Lui ricorda ai pastori che il gregge non è loro proprietà. È stato loro affidato e va custodito nella sana dottrina.

LEGGIAMO IL TESTO DI Lc 15,1-10

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Cosa aggiunge questa seconda parabola alla prima? La moneta è la vita della donna. La donna ha perso la sua vita. Deve necessariamente cercarla, se vuole vivere. Non può lasciare che la sua vita rimanga senza vita. È questo il motivo per cui la donna vi mette ogni diligenza, tutta la sua intelligenza, la sua sapienza. La moneta va trovata. Anche il peccatore va cercato. È essenza della nostra vita, parte di noi stessi.  Chiediamoci: perché il Signore ha mandato il Figlio suo per cercare l’uomo? Perché l’uomo è essenza della vita di Dio. Nell’uomo, il Signore ha posto se stesso. Lui si è scritto nell’uomo, si è disegnato in esso, in esso si è collocato. L’uomo e Dio sono un mistero altissimo di unità e di comunione. Cercando l’uomo, Dio cerca la sua immagine, la sua somiglianza. Cerca se stesso. Può una persona non cercare se stessa? Se non si cerca, non si ama.

La donna ha trovato la sua vita. È nella gioia. “E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto»”. Trovare la propria vita è grande gioia. Se non entriamo in questa verità di essenza, di vita, di unità, non possiamo comprendere queste due parabole di Gesù. Se il peccatore non è visto come parte della nostra vita, del nostro essere, mai sarà parte della nostra missione. Con Gesù, Dio va in cerca della sua vita per ricondurla in vita. Il peccatore è vita sottratta a Dio. Dio manda Cristo, facendolo nostra vita attraverso il mistero dell’incarnazione. Farisei e scribi sono fuori del mistero di Dio. Mai potranno capire che Cristo Gesù è essenza del mistero di Dio e del mistero dell’uomo. Siamo su due piani ontologici differenti. Cristo è nel mistero. Farisei e scribi sono senza mistero. Mai si potranno comprendere, a meno che essi non si convertano e non diventino vero mistero di Dio e vero mistero dell’uomo. Se le divergenze sono il frutto della differente antropologia, allora urge la conversione antropologica. Due nature differenti vivono due pensieri differenti. Madre di Dio, vieni in nostro aiuto. Fa’ che camminiamo su vie di vera conversione.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.