Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 5 Febbraio 2021

Gesù e Giovanni il Battista sono legati da una sorte che li accomuna: il precursore precede e calca la via che conduce il giusto alla morte per opera dei violenti e degli iniqui.

Nel testo odierno tutto parte dalla domanda che attraversa l’Evangelo di Marco: chi è Gesù?

“È un profeta, come uno dei profeti” dicono alcuni, questo è il legame che unisce Gesù e il Battista: essere profeti che annunciano il regno di Dio, le sue esigenze, l’imminenza della sua venuta.

Accade, come per tutti i profeti, che le loro parole di verità risultino scomode non solo per i potenti di ieri ma anche per quelli di oggi e per noi perché ci interpellano su chi siamo, come agiamo, che cosa abita il nostro cuore, quali ingiustizie vengono compiute e da noi non denunciate, quale oppressione verso i poveri perpetuata senza che facciamo nulla per opporci.

A fornire una risposta sull’identità di Gesù è anche Erode, il tiranno di turno, che lega la sua curiosità verso Gesù al ricordo di Giovanni il Battista che egli aveva fatto decapitare. 

La vicenda è molto triste. Tutto avviene per una assurda promessa fatta da un vecchio re a una fanciulla leggiadra che si mostra a lui e ai suoi commensali in una danza.

A tessere la trama è Erodiade la madre della fanciulla che odiava e voleva fare uccidere Giovanni perché aveva denunciato il suo adulterio, infatti pur vivendo con Erode era però moglie di Filippo fratello dello stesso Erode che però temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo. Erodiade attendeva quindi il momento propizio per far uccidere Giovanni.

Un re, una fanciulla e un profeta.

Un profeta che denuncia l’ingiustizia con fermezza e coraggio, ben consapevole che in tal modo mette in gioco la propria vita.

Una fanciulla gestita da sua madre che odia Giovanni perché la pone di fronte alla sua iniquità.

Un re incapace di dare seguito alla sua considerazione di Giovanni e di tenere testa a una richiesta assurda, invece si piega a una stupida promessa fatta per compiacersi delle grazie di una giovane fanciulla.

In gioco è la vita, una vita, quella del profeta, falciata da una spada di una guardia mossa dalla inettitudine di un re, di una fanciulla e di sua madre.

Un re, una fanciulla e un profeta.

L’epilogo del loro incontro è segnato dal disprezzo per la vita, l’averne smarrito il senso: quella che era iniziata come una festa di compleanno diviene la sagra dell’insensatezza.

“Perisce il giusto, nessuno ci bada. I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso. Il giusto è tolto di mezzo a causa del male. Egli entra nella pace”, ci ricorda il profeta Isaia (57,1-2).

Quando ciò che guida una vita è la menzogna, tutto ciò che permette di perpetuarla diviene possibile, cade ogni remora e il disprezzo e l’annientamento dell’altro visto come ostacolo è all’ordine del giorno.

Quando prende il sopravvento la miseria umana, la viltà e l’odio, quando si smarrisce il senso della vita stessa, l’umano è finito, c’è spazio solo per la morte.

Giovanni è decapitato, i suoi discepoli vengono a prendere il suo corpo per dargli una sepoltura, il giusto trova riposo.

In quelle poche parole aleggia la stessa attesa del sabato santo. Anche in questo Giovanni attende Gesù, che venga a ridonare vita a chi la vita ha donato per la giustizia.

fratel Michele


Fonte

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