Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 3 Novembre 2020

Siamo al culmine degli insegnamenti di Gesù durante il pranzo festoso di un giorno di Sabato, spazio di convivialità religiosa e di relazioni umane per eccellenza.
Guarendo un idropico Gesù si è mostrato attento alla situazione esistenziale di un uomo e l’ha stabilita criterio del religioso; nelle indicazioni per gli invitati e per chi invita, ha proposto il decentramento da sé, senza accaparramenti e primati, e la gratuità che si prende cura e non cerca guadagno immediato ma la ricompensa del Regno.

A questo punto la considerazione di uno dei commensali: quanto è incerta la partecipazione al banchetto del Regno! È tentazione di sempre e di tutti: diluire le indicazioni concrete di Gesù nel religioso acquitrino dell’accesso difficile, comunque imprevedibile e incontrollabile.
Si separano così presente e vita eterna, che diviene beatitudine statica e indeterminabile, alla fin fine, fortuita.
La parabola di Gesù conserva il banchetto come punto di arrivo, ma mostra l’importanza del prima: il Regno nell’oggi è invito, offerta di generosa convivialità che interpella la libertà di ciascuno (“molti” è biblicamente spesso sinonimo di “tutti”).
Vero problema è rispondere: è questa la porta di accesso!

Dunque nessuna angoscia di essere previamente escluso dallo sparuto gruppo degli eletti, ma la consapevolezza di un possibile rifiuto banale da parte mia.
Dando priorità assoluta a proprietà, lavoro, interessi, relazioni, affetti, posso non accettare l’invito, ho adesso cose più produttive da fare; rispondere sarebbe una perdita di tempo e di pienezza di vita, in fondo è solo una cena. Paradossalmente mi sottraggo a una festa, non a un pericolo (cf. Dt 20,5-7; battaglia che prevede esenzioni). Forse perché, essendo offerta, non consente il protagonismo ma chiede di accogliere la generosità e la volontà dell’offerente, le sue modalità: a tavola assieme, ma lui e non io al primo posto! Tentato di scantonare, magari scusandomi in modo gentile, non per un meglio ma per un proprium.
La festa avviene, non dipende dalla mia accettazione e partecipazione: non la impedisco, mi autoescludo. L’affermazione finale non condanna, ma prende atto di ciò che ho deciso e ratifica ciò che ho operato.

Forse posso sperare nell’intenzione: all’inizio molti invitati, alla fine ancora moltissimo posto per tutti quelli che entrano, frutto di ricerca insistente al di là dei confini usuali, fino alla costrizione. Accoglienza così larga da poterla pensare totale.
Niente si dice di chi non accetta, se non il fatto che rifiuta; chi partecipa fa invece chiaramente parte della categoria dei poveri che nulla possono dare, solo la loro presenza (cf. Lc 14,13 ss.). Essere degni è dunque solo accettare l’invito, è a portata di tutti.
La domanda di ogni parabola: “Che te ne pare?”. Decidi dove fare la tua corsa: tra gli “aventi diritto”, sicuri dell’invito, gelosi custodi di proprie preoccupazioni e interessi? O piuttosto tra i bisognosi senza alternative e contraccambio, scarti trascurabili, grati che qualcuno li cerchi, anche con qualche spintone?

un fratello di Bose


Fonte

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