Suor Emmanuelle – Il Padre Nostro

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Padre nostro che sei nei cieli

E una preghiera che fa cantare i cuori, perché quando prendiamo il rosario — lo ten­go sempre in tasca — e cominciamo a recitare il «Padre Nostro», si smorza tutto un mondo di difficoltà, un mondo di lotte, di odio, di guerra, in cui l’uomo non è fiero dell’uomo, e ci troviamo in un altro mondo con il «Pa­dre nostro», appunto. Gesù diceva: «il Padre mio che è nei cieli». Questa preghiera ci per­mette di accedere a un mondo dove ci sono un padre e una moltitudine di figli, è davve­ro delizioso. Noi non siamo soli, siamo ab­bracciati nell’amore, ma non da soli. Siamo con tutti i poveri, tutti i piccoli, tutti quelli che soffrono, quelli che combattono, quelli che non ne possono più, tutti quelli che muoiono. Ed ecco qua, siamo tutti nelle braccia di Dio.

Ma dov’è, questo Padre adorato? E nei cieli. In modo naturale, semplicemente, lo sguardo s’innalza, vediamo questa immensità, questa infinità, popolata da milioni dvi astri, e pensiamo che è la sede del Padre. È simbolico, evidentemente. Dio è ovunque, non è rinchiuso in nessun posto, ma imma­giniamo un luogo immenso, un luogo al di sopra delle nostre teste, lontano, ma allo stes­so tempo vicino a noi. Dio ci chiama. La notte si popola di misteri e il giorno di sole.

Sia santificato il tuo nome

Dio è un padre, quindi possiamo chieder­gli tutto quello che vogliamo; ma aspettiamo un momento. Prima di chiedergli qualsiasi cosa, guardiamolo, come farebbe un bambi­no stretto tra le braccia del papà. Quel bam­bino guarda innanzitutto il viso del padre chino su di lui, vi si attarda. Al bambino pia­ce guardare il suo papà, e allora, con un cuo­re da bambino, quando recitiamo il «Padre nostro», cominciamo col dire: «Sia santifica­to il tuo nome».

Questo vuol dire che gli uomini sulla terra riconoscono che il Padre celeste è la santità stessa. Santificare il nome di Dio, riconoscer­ne la santità e per così dire avvolgersi in lui; siamo avvolti nella santità di Dio. «Sia rico­nosciuto santo il tuo nome».                                              

Venga il  tuo regno

Qual è quindi il regno di Dio? E quello dell’amore, il regno della pace, quello di tut­to ciò che è bello, tutto ciò che è grande, tut­to ciò che è sacro. E quello che supera la mi­seria, l’ingiustizia, la mancanza di serenità, l’angoscia, la disperazione. Venga su questa terra il regno di Dio. E certo, lo sappiamo bene, che ci saranno sempre miseria e dispe­razione in questo mondo, perché l’uomo è troppo limitato; ma preghiamo Dio perché almeno ci siano sulla terra dei luoghi da cui si irradia l’amore, dei posti privilegiati in cui l’uomo è fratello dell’uomo, in cui l’uomo cammina tenendo per mano l’uomo, in cui gli uomini si guardano e si sorridono. Uomi­ni che si guardano e si sorridono, è questo il regno di Dio.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra

Sia fatta la volontà di Dio, ma come? Sia fatta «come in cielo così in terra». La pre­ghiera di Gesù è bella. Lui, che era sceso dal cielo, sapeva che lassù la volontà di Dio e la pace suprema. Il cielo è un luogo dove non

c’è niente di cattivo, in cui, ormai, nulla feri­sce né tormenta. Quindi, questa volontà di Dio è la promessa degli angeli quando Dio stesso divenne uomo, lui, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero.1

Che cosai hanno cantato allora gli angeli? «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in ter­ra». Di conseguenza, con la preghiera che mette sulle nostre labbra, «come in cielo così in terra», Gesù vuole dirci che su questo po­vero pianeta in cui trascorriamo un tempo di prova, occorre che ci siano nel cuore degli abitanti sempre più pace,  riposo, serenità, che permettono di sopportare meglio i giorni di caldo, di fame e di sete.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Dopo che, come dei bambini, abbiamo contemplato il volto del Padre e ci siamo la­sciati immergere in quella pace che supera tutto, che è al di sopra di ogni sentimento, andiamo a fare le nostre richieste. E qual è la prima di queste? E il pane, il pane quoti­diano che, con il vino, rallegra il cuore del­l’uomo. Chiediamo al Padre di darcelo. Questo significa che Dio mette sempre più nel cuore degli uomini di buona volontà

questa fraternità reciproca che si esprime nel­la condivisione. Preghiamo quindi perché l’uomo non sia più lupo — lo è davvero trop­po spesso — ma che almeno, sulla nostra po­vera terra, ci siano dei fratelli che si siedono, condividono il pane, e che sono davvero compagni.

Rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori

Quando è immerso un po’ nel silenzio e guarda verso il cielo, l’uomo sa molto bene di essere coperto di macchie. Sa di non riu­scire a purificare l’anima da tutto quello che sa di male, da tutto quello che è mancanza di solidarietà. In questa visione del proprio ego, tutto ripiegato su se stesso, soffre per la man­canza della pace di Dio. Sente di non essere più il figlio del Padre dei cieli e che gli capita anche di far soffrire i suoi fratelli. Allora chie­de perdono: «Rimetti a noi i nostri debiti co­me noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Con questa frase Gesù, con una specie di sorriso complice, quasi con umorismo, ha dato all’uomo la certezza di essere perdonato dal Padre dei cieli, se egli stesso ha perdonato a quelli che lo hanno ferito. Talvolta per feri-

re basta una parola. A tutti può capitare di essere feriti da una parola che magari non è stata detta con cattive intenzioni. A volte non l’abbiamo capita bene, o forse ci è stata detta in un momento di collera. Non c’è uo­mo sulla terra che non conservi nel cuore i ri­cordi amari di qualcosa che gli è stato detto o fatto, e di cui soffre ancora. Può nutrire un sentimento negativo verso chi gli ha causato questa ferita, tanto più che il responsabile potrebbe essere qualcuno che non credeva capace di parole o azioni così dure.

Il perdono è difficile per l’uomo, ma sia­mo assolutamente sicuri del perdono di Dio se anche noi perdoniamo, perché è Gesù che ce l’ha detto. Confesso che questa preghiera mi ha aiutata molto e che, a volte, mi capita di essere ferita, come tutti, se qualcuno mi parla in un modo che mi offende. Allora mi dico: attenzione, è il momento, perdonerò questa persona con tutto il mio cuore e an­che il Signore sarà obbligato a perdonare me con tutto il suo cuore. E assolutamente me­raviglioso.

Il nostro fondatore, padre Théodore Ratisbonne, ci diceva che quando qualcuno ci fa soffrire, dobbiamo semplicemente offrire a Dio questa sofferenza: noi la offriamo a Dio per la persona che ne è la causa. Questo è

molto bello, molto semplice, e tutti lo posso­no fare, è una questione di volontà Non per questo non si proverà più nessuna amarezza, perché, in fin dei conti, quando siamo feriti, sentiamo dolore, e non è che perdonando la persona che ci ha ferito non soffriamo più. Ma con uno sforzo di volontà diciamo: «Signore, ti offro questa sofferenza per questa persona, perché voglio perdonarla di (tutto cuore». C’è forse un piccolo ricatto in queste parole, ma visto che il Signore ci ha parlato così, con il sorriso, noi sorridiamo a noi stes­si, dicendo: «Padre dei cieli, tu adesso sci ob­bligato a perdonare i miei peccati, perché, vedi, io perdono con tutto me stesso questa persona, e prego per lei. Proverò a compor­tarmi con lei con dolcezza e anche con tene­rezza, e quindi ti obbligo ad avere lo smesso comportamento nei miei confronti».

Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen

La traduzione: «Non ci indurre in tenta­zione» è una cattiva interpretazione del testo antico. Evidentemente il testo non vuol dire che è Dio che ci tenta; è il male che ci tenta, e talvolta la tentazione è terribile. Siccome siamo così terribilmente fragili, lanciamo un appello al Padre celeste perché ci tenda la mano, ci impedisca di scivolare e a volte di cadere. Se siamo caduti sappiamo bene che non abbiamo che da chiamarlo, e lui ci fari uscire dall’abisso; così questa preghiera, che termina con un amen, «cosi sia», è certamen­te una delle preghiere più semplici perii cuo­re dell’uomo, una delle più dirette. Poiché è la parola del Figlio di Dio, è evidentemente la preghiera che riesce a raggiungere il Padre  nel più intimo, e che, ne siamo assolutamen­te sicuri, viene sempre, ma davvero sempre, esaudita.