In queste ultime settimane le letture ci hanno riempito di positività . Il ritorno al Tempo Ordinario è sempre caratterizzato da una full immersion nel ministero pubblico di Gesù, da un camminare accanto a lui, da un sostare con le folle per scoprire la bellezza e la pienezza travolgente dei suoi gesti e delle sue parole. Parole e gesti che risollevano, che nutrono, che sostengono, che guariscono, che chiamano.
E se il Tempo Pasquale ci ha fatto sperimentare sulla pelle l’autenticità del suo amore, il Tempo Ordinario ci ha riportato a una quotidianità piena di lui. I brani evangelici accolti nelle ultime domeniche ci hanno lasciato come retrogusto una convinzione: siamo amati, non siamo soli, contiamo per Dio, per lui siamo preziosi. Ed è questo a renderci forti. Questo a strapparci da ogni forma di non-senso, questo a riconsegnarci alla vita tutte le volte che qualcosa prova a strapparcela di mano.
Ma sapete qual è la bellezza della nostra fede? La reciprocità !
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Di fronte a noi non c’è il dio che ama ingozzarsi di doni umani. Ma non c’è neppure il dio che degli umani non sa che farsene. Il nostro non è il dio dei superpoteri a cui smettiamo di credere appena la logica ci consente di capire che 2+2 fa 4. Ma non è neppure il dio a cui il mondo poco interessa.
Fin dall’inizio, la storia della salvezza ci ha svelato un Dio sempre in rapporto a qualcuno… e a un qualcuno decisamente molto umano e poco perfetto: Mosè (e Aronne, ma anche Myriam), Giacobbe (con Rachele… ma anche Lia), Abramo (e Sara)… fino ad adam, l’uomo e la donna tratti dalla terra, che Dio stesso aveva fatto vivere della sua stessa vita. Noi, per fede, crediamo in un Dio che non ha salvato il mondo da solo. Per farlo ha assunto, come sua, la fragilità , la finitudine, la mortalità , in una parola: l’umanità … Lui ha scelto di essere Dio – mi perdoni chi la sente come una bestemmia – legandosi a maglie strette a noi.
Questa certezza è ciò che dobbiamo mettere alla base quando i nostri orecchi vengono raggiunti da parole come quelle che il Vangelo oggi ci offre: «Chi ama padre o madre più di me… figlio o figlia più di me… la propria vita, se stesso più di me… non è degno di me…».
Oggi il Vangelo ci tira fuori da noi stessi e ci chiede, con forza da che parte stiamo.
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Siamo felici di saperci amati. Siamo immensamente grati di saperci preziosi per Dio. Ma non può bastarci. Da credenti, poiché battezzati, sappiamo che una vita ci attraversa e ci rende nuovi, ci consente di guardare il mondo attorno con occhi e cuore nuovo. È la vita risorta e liberante di Dio.
Ed è di fronte a questa pienezza di vita che con coraggio dobbiamo chiedere a noi stessi che fine gli vogliamo far fare: se ridurla a noi stessi, e al nostro personale gongolamento, o se farcene carico perché questa stessa vita sia tale per chi vive attorno a noi, e con noi, nella stessa porzione di mondo.
Usciamo fuori dai nostri gusci, dai rimpianti, dalla ricerca povera di un benessere solo personale (e intendo anche solo familiare)! Smettiamola di tenere per noi il dono, perché certi beni è nella divisione che si moltiplicano!
Se siamo battezzati, se a Dio ci accostiamo da credenti, allora di fronte al mondo non possiamo che essere autentici. Autentici seminatori di quella stessa vita che ci attraversa, di quella stessa luce che non possiamo trattenere, di quella stessa bellezza che ci fa vivere.
E se a volte per fare questo dovremo pagare qualcosa, non dovremo mollare. Ma chiedere con coraggio a quella Vita di sostenere con noi il braccio di una croce. Lo farà !
FONTE – Sr. Mariangela, sul sito cantalavita.com