Qualche tempo fa, mi sono incappato in una critica al cristianesimo che piรน o meno suonava cosรฌ: ยซIl loro Dio รจ amore, ma solo se lo accogli, altrimenti sono guai. Finisce l’amore e inizia l’ira di Dioยป.
Se per un istante volessimo dare credito a tale critica, possiamo chiederci: Che senso ha parlare di giudizio dopo aver detto quella che senza difficoltร potrebbe essere considerata l’espressione e la rivelazione la piรน bella del vangelo? (Giusto per essere sulla stessa lunghezza d’onda, mi sto referendo al versetto 16 che dice: ยซDio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perchรฉ chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eternaยป).
La risposta รจ nei versetti seguenti: il giudizio non รจ qualcosa di aggiuntivo che Dio infligge, ma รจ la conseguenza della scelta dell’uomo che preferisce le tenebre alla luce, l’odio all’amore, la morte alla vita. Se ci fosse realmente una vita, un amore, una luce diversi da se stesso, Dio li darebbe volentieri. Il nodo, tutto. Il nodo della questione, รจ qui. Come umani ci sottovalutiamo, non riconosciamo la nostra โcapienzaโ. Siamo capax Dei. Mi piace tradurre questa espressione cosรฌ: abbiamo la capienza di accogliere e di godere di Dio.
Rifiutarlo รจ rimanere con il serbatoio vuoto. ร autocondannarci al vuoto, alle tenebre, alla solitudine.

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Docente di Teologia presso la Pontificia Universitร Gregoriana e l’Universitร Cattolica del Sacro Cuore.
