SANTA MESSA DELLA NOTTE
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
CAPPELLA PAPALE
OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV
Basilica di San Pietro
Mercoledì, 24 dicembre 2025
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Parole di saluto del Santo Padre ai fedeli presenti in Piazza San Pietro
Buonasera. Benvenuti tutti! Bienvenidos! Welcome!
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The Basilica of Saint Peter is a very large Basilica, it is very large, but unfortunately not large enough to receive all of you. I admire and respect and thank you for your courage and your willingness to be here this evening.
Tante grazie per essere qui questa sera, anche con questo clima. Vogliamo celebrare insieme la festa di Natale. Gesù Cristo che è nato per noi ci porta la pace, ci porti l’amore di Dio.
Tanti auguri a tutti voi. Seguite la celebrazione negli schermi. Dio vi protegga e benedica tutte le vostre famiglie.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Tanti auguri a tutti!
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Cari fratelli e sorelle,
per millenni, in ogni parte della terra, i popoli hanno scrutato il cielo dando nomi e forme a stelle mute: nella loro fantasia, vi leggevano gli eventi del futuro cercando in alto, tra gli astri, la verità che mancava in basso, tra le case. Come a tentoni, in quel buio restavano però confusi dai loro stessi oracoli. In questa notte, invece, «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1).
Ecco l’astro che sorprende il mondo, una scintilla appena accesa e divampante di vita: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). Nel tempo e nello spazio, lì dove noi siamo, viene Colui senza il quale non saremmo stati mai. Vive con noi chi per noi dà la sua vita, illuminando di salvezza la nostra notte. Non esiste tenebra che questa stella non rischiari, perché alla sua luce l’intera umanità vede l’aurora di una esistenza nuova ed eterna.
È il Natale di Gesù, l’Emmanuele. Nel Figlio fatto uomo, Dio non ci dona qualcosa, ma Sé stesso, «per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro» (Tt 2,14). Nasce nella notte Colui che dalla notte ci riscatta: la traccia del giorno che albeggia non è più da cercare lontano, negli spazi siderali, ma chinando il capo, nella stalla accanto.
Il chiaro segno dato al mondo buio è infatti «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Per trovare il Salvatore, non bisogna guardare in alto, ma contemplare in basso: l’onnipotenza di Dio rifulge nell’impotenza di un neonato; l’eloquenza del Verbo eterno risuona nel primo vagito di un infante; la santità dello Spirito brilla in quel corpicino appena lavato e avvolto in fasce. È divino il bisogno di cura e di calore, che il Figlio del Padre condivide nella storia con tutti i suoi fratelli. La luce divina che si irradia da questo Bambino ci aiuta a vedere l’uomo in ogni vita nascente.
Per illuminare la nostra cecità, il Signore ha voluto rivelarsi da uomo all’uomo, sua vera immagine, secondo un progetto d’amore iniziato con la creazione del mondo. Finché la notte dell’errore oscura questa provvidenziale verità, allora «non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri» (Benedetto XVI, Omelia nella notte di Natale, 24 dicembre 2012). Così attuali, le parole di Papa Benedetto XVI ci ricordano che sulla terra non c’è spazio per Dio se non c’è spazio per l’uomo: non accogliere l’uno significa non accogliere l’altro. Invece là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dio: allora una stalla può diventare più sacra di un tempio e il grembo della Vergine Maria è l’arca della nuova alleanza.
Ammiriamo, carissimi, la sapienza del Natale. Nel bambino Gesù, Dio dà al mondo una vita nuova: la sua, per tutti. Non un’idea risolutiva per ogni problema, ma una storia d’amore che ci coinvolge. Davanti alle attese dei popoli Egli manda un infante, perché sia parola di speranza; davanti al dolore dei miseri Egli manda un inerme, perché sia forza per rialzarsi; davanti alla violenza e alla sopraffazione Egli accende una luce gentile che illumina di salvezza tutti i figli di questo mondo. Come notava Sant’Agostino, «la superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina» (Sermo in Natale Domini 188, III, 3). Sì, mentre un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce, Dio si fa simile a noi, rivelando l’infinita dignità di ogni persona. Mentre l’uomo vuole diventare Dio per dominare sul prossimo, Dio vuole diventare uomo per liberarci da ogni schiavitù. Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?
La risposta viene appena ci destiamo, come i pastori, da una notte mortale alla luce della vita nascente, contemplando il bambino Gesù. Sopra la stalla di Betlemme, dove Maria e Giuseppe, pieni di stupore, vegliano il Neonato, il cielo stellato diventa «una moltitudine dell’esercito celeste» (Lc 2,13). Sono schiere disarmate e disarmanti, perché cantano la gloria di Dio, della quale la pace è manifestazione in terra (cfr v. 14): nel cuore di Cristo, infatti, palpita il legame che unisce nell’amore il cielo e la terra, il Creatore e le creature.
Perciò, esattamente un anno fa, Papa Francesco affermava che il Natale di Gesù ravviva in noi «il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta», perché «con Lui fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia, con Lui la speranza non delude» (Omelia nella notte di Natale, 24 dicembre 2024). Con queste parole iniziava l’Anno Santo. Ora che il Giubileo si avvia al suo compimento, il Natale è per noi tempo di gratitudine e di missione. Gratitudine per il dono ricevuto, missione per testimoniarlo al mondo. Come canta il Salmista: «Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. / In mezzo alle genti narrate la sua gloria, / a tutti i popoli dite le sue meraviglie» (Sal 96,2-3).
Sorelle e fratelli, la contemplazione del Verbo fatto carne suscita in tutta la Chiesa una parola nuova e vera: proclamiamo allora la gioia del Natale, che è festa della fede, della carità e della speranza. È festa della fede, perché Dio diventa uomo, nascendo dalla Vergine. È festa della carità, perché il dono del Figlio redentore si avvera nella dedizione fraterna. È festa della speranza, perché il bambino Gesù la accende in noi, facendoci messaggeri di pace. Con queste virtù nel cuore, senza temere la notte, possiamo andare incontro all’alba del giorno nuovo.
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