Fidiamoci di Dio anche nell’attesa
La parabola della zizzania – che è la pianta del loglio – è la storia di un nemico che semina altro seme in mezzo al campo del padrone e ci riporta al tema della giustizia umana e divina.
Un problema grosso in agronomia è quello della purezza del seme, ma è molto difficile averlo veramente puro. Così è per la nostra vita: in tutti noi coesistono il buono e il cattivo seme; siamo fecondati dal bene e anche dal male. La parabola suggerisce la tattica migliore per affrontare il problema del bene e del male, che sono dentro di noi e intorno a noi.
I servi propongono di strappare subito il seme cattivo e, curiosamente, il padrone risponde di no, perché si potrebbe danneggiare la pianta buona. L’attendismo del padrone contro l’interventismo dei servi va contro l’istinto giustizialista dell’uomo di condannare affrettatamente ogni situazione e ogni persona apparentemente colpevole: tutti noi, nell’udire i telegiornali, ci ergiamo a giudici implacabili di questa o di quella situazione o persona; «la legge è uguale per tutti» è scritto in tutti i tribunali italiani ma, si sa, per alcuni è “più uguale” che per altri – recita una vecchia battuta ispirata a George Orwell – e questo ci ricorda quanto la capacità umana di distinguere il bene dal male sia labile, anche volutamente.
Al riguardo mi permetto di citare la recente vicenda giudiziaria del cardinal Pell, autentico martire del giustizialismo anticristiano, sempre più attuale in tutto il mondo, assolto in cassazione dopo 400 giorni di isolamento.
Ma torniamo alle nostre due piante: le spiga del grano e della zizzania sono molto simili e quando sono verdi possono facilmente essere confuse. Solo il grano conosce la cosiddetta fase di “imbiondimento”, che ne fa mutare il colore durante la maturazione; la zizzania, invece, non imbiondisce mai. La spiga del grano contiene il chicco fecondo, quella della zizzania è sterile e solamente alla mietitura è facile distinguere il biondo grano dalla verde zizzania, quando quest’ultima è dritta, tranquillamente eretta, mentre il grano è felicemente piegato sotto il suo peso prezioso (altra immagine bellissima che non abbiamo lo spazio per commentarla).
Gesù spiega che i mietitori sono gli angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità. Il messaggio è che il piano di Dio conosce un tempo e ha quindi una sua invisibilità: è la cosa nascosta sin dalla fondazione del mondo, nascosta come il granellino di senape, che sembra il più piccolo dei semi, ma poi diventa un grande arbusto. È come la disprezzabile invisibilità del lievito che, in realtà, diventa il motore, il fermento della maturazione nella cottura del pane, rendendolo saporito, buono, voluminoso.
Allora il punto di unità delle tre parabole è che c’è un tempo. Il segreto è iniziare a cogliere i tempi di Dio che – come dice il profeta Isaia – «non sono i nostri tempi, le sue vie non sono le nostre vie» (Is 55,8): esiste un disegno nascosto nelle cose.
Dio sa quando portare a compimento una realtà ed è bene entrare in questa logica di saper scegliere la cosa oggi piccola e disprezzabile, che domani sarà piena di vita. Tante volte i problemi non vanno risolti subito: bisogna saperseli tenere, perché spesso molti di essi risolvono noi.
Volere a tutti i costi veder subito il risultato è il primo nemico della vita spirituale. La mano invisibile di Dio è la Provvidenza che tante volte dobbiamo avere la semplicità di attendere.
Commento di don Luciano Condina
Fonte – Arcidiocesi di Vercelli

Commento al Vangelo di domenica 19 Luglio 2020– mons. Giuseppe Mani
Il buon grano e la zizzania
Quante volte ho sentito la domanda che i servi rivolsero a Gesù! Una mamma di tre figli: la prima si era fatta suora, il secondo era il presidente dell’Azione Cattolica e la terza, nel ‘68’, era diventata una “bombarola”. “Eppure ho dato a tutti e tre la stessa educazione!” E si disperava non sapendosi capacitare che cosa potesse essere capitato alla terza figlia.
Chi è stato? Di chi è la colpa? Chi ha seminato la zizzania? La risposta di Gesù è lapidaria: “E’un nemico” risponde pudicamente la parabola. “L’accusatore dei nostri fratelli”, dice l’Apocalisse, il “Diavolo” dice Gesù stesso (Mt 13, 39). E’ sempre là dove si sviluppa il bene, si infiltra per corrompere le cose più belle. Come liberarsi di questo male? Cosa fare di questa gente che porta turbamento?
I discepoli avrebbero la soluzione. Quando i Samaritani ricevettero male Gesù proposero una soluzione radicale ”Vuoi che ordiniamo al fuoco di discendere dal cielo e li consumi?”. D’altra parte anche Gesù cacciò i venditori dal tempio. Sicuramente questo modo di agire può essere segno di un grande attaccamento alla verità, la manifestazione di un grande zelo. Però non è questa la soluzione preconizzata da Gesù.
Il Regno di Dio è simile ad un campo seminato in cui c’è buon grano e zizzania. Gesù rifiuta di fare la divisione prima dell’ora del raccolto. Ma qual è l’ora del raccolto? E’ l’ora di Cristo, l’ora della proclamazione del Vangelo.
Ma come si spiega se il Regno è già venuto che nella Chiesa c’è il buon grano e la zizzania? Il Cristo è venuto, il giudizio è fatto ma la risposta è che la separazione verrà “alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli i quali raccoglieranno dal suo Regno tutti gli scandali e gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente”. Dall’insegnamento globale sul Regno si deduce che la separazione, il giudizio avviene da quando è venuto Gesù e proseguirà fino alla fine dei secoli . In presenza del vangelo siamo in pieno tempo del giudizio. Il male e il bene sono separati e giudicati dal Vangelo ma non divisi, coesisteranno fino alla fine del mondo.
“Non giudicate niente prima del tempo, finche venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori” (1 Cor 4,5) Non perché la separazione sta per realizzarsi a seguito della nostra accoglienza o rifiuto del Vangelo ma perché nessuno di noi può arrogarsi il diritto di fare separazioni. Di fatto il giudizio si esercita ed è all’opera ma non è manifestato: non sappiamo chi è veramente buono o è veramente cattivo “io non giudico me stesso” dice Paolo. E’ questo che ci allontana dalla fiducia verso noi stessi e verso gli altri. Questa fiducia giustificata dal fatto che possiamo trovare in noi del buono e del cattivo. Il giudizio di Dio non è autoritario ma è chiamata dalla proclamazione del Vangelo e sarebbe assurdo che noi fossimo più autoritari di Dio individualmente o come Chiesa. Questa parabola ci parla di rispetto e di tolleranza.
Al di la del giudizio questa parabola ci parla della riuscita del Regno: il seme diventato albero e gli uccelli del cielo vanno a farci i nidi tra i suoi rami. Anche la pasta viene fermentata, tutta la pasta. Basta pensare ai dieci giusti dai quali Sodoma potrebbe essere salvata. La venuta del Regno non è soltanto separazione ma salvezza.
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