È possibile che uno di fronte a così tanti segni della presenza di Dio ha coraggio di chiedere un segno esclusivo, un segno che potrà capire bene, che potrà vedere con gli occhi e toccare con le proprie mani?
Certamente, perché all’uomo è possibile ogni stupidaggina! Ancora molti vivono la loro fede sperando che un giorno Dio gli fara uno spettacolo nel quale si manifesterà, o almeno farà qualcosa per farsi notare.
Credere in Dio non significa ridurre la sua presenza a ciò che noi vogliamo, a ciò che noi ci aspettiamo da lui, ma significa accogliere già quello che c’è, perché proprio lì che sta la sua presenza. Gesù è chiaro: “Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta.” Forse non siamo quelli che dicono apertamente: “Signore dammi un segno perché io possa crederti.”
Però c’è sempre quella tendenza di aspettare qualcosa di più da Dio, qualcosa che ci garantisce che Lui c’è. Cristo ci ha lasciato il segno più grande, cioè ha vinto la morte dopo tre giorni di sepoltura, ed è risuscitato. Il Giona è il simbolo della morte di Gesù.
Abbiamo così tanti segni, ma poca fede. A posto di chiedere ancora qualche segno speciale ed esclusivo, dobbiamo morderci la lingua e umilmente chiedere il dono di fede, per poter riconoscere tutto quello amore con qui Dio ci ha circondato.
Commento a cura di fra Mario Berišić OFMCap





d. Giampaolo Centofanti – Commento al Vangelo del 20 Luglio 2020
Senza il dono della fede o, come nel caso qui narrato, senza accogliere questa grazia pure ricevuta si pretende e si giudica persino Gesù secondo i propri schemi, i propri interessi. Il segno di Giona è il segno di un profeta che non voleva annunciare Dio e per questo finì tre giorni nel ventre del pesce.
Un Messia che non è venuto, secondo loro. Così Dio viene nella nostra vita col suo amore e i suoi doni ma noi possiamo non avere il cuore disponibile a riconoscerlo e ad accoglierlo e così ci perdiamo tanta grazia e tanti regali spirituali, umani e materiali.
A cura di don Giampaolo Centofanti nel suo blog.