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Don Antonio Mancuso – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una pagina del vangelo nella quale Gesù con il suo linguaggio parabolico vuole dirci… insegnarci… farci comprendere qualcosa di molto importante per la nostra vita cristiana… per la nostra vita di discepoli.

Se siamo qui… se stiamo leggendo… evidentemente dentro di noi c’è qualcosa… un desiderio di pace… di felicità… di Dio che a volte, consapevolmente o inconsapevolmente, è camuffato proprio da ricerca di pace e felicità.

Dentro di noi c’è una scintilla… un seme… un germe… un vuoto che ci porta cercare Dio e “le cose di Dio” o a riconoscerle quando ce le troviamo davanti…

Il primo uomo trova il tesoro nascosto… il secondo è, invece, un cercatore… entrambi trovano…
Proprio così… Dio, in qualche modo, si fa trovare… anche se non lo cerchi esplicitamente. Ma non è tutto!

C’è sempre qualcosa che devi fare… c’è sempre qualcosa di tuo che devi mettere in gioco per potere vivere di Dio e delle cose di Dio.
L’uomo e il cercatore di perle, una volta trovato il loro tesoro, vendono tutto… capiscono che non c’è cosa migliore… più preziosa di questo tesoro…

Io non lo so se hai compreso la portata di questo tesoro… io non so se hai compreso la portata e la preziosità di avere a che fare con Dio e i suoi doni… ma so che se hai capito di cosa si tratta non ti verrà difficile metterti in gioco… non ti verrà difficile metterlo e metterli al primo posto… non ti verrà difficile dare il giusto peso a tutto il resto… a quelle cose che prima di avere incontrato Dio ti occupavano la mente e il cuore.

La vita di fede è così… incontri dei tesori nella tua esistenza… dei tesori che parlano di Dio… che sanno di Dio… che sono mandati da Dio (matrimonio… figli… relazioni particolari… amicizie… persone importanti… situazioni…) ma per poterli vivere in pieno, e non perderli e non sciuparli, è necessario che tu li difenda… li custodisca… li metta al primo posto… insomma, nella tua vita di fede, è necessario che tu faccia un continuo discernimento per scegliere e custodire ciò che è di Dio… e mettere da parte ciò che non appartiene a Lui.

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AUTORE: Don Antonio Mancuso
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don Vincenzo Marinelli – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

“Un tesoro nascosto”

L’uomo della parabola davanti al valore del tesoro scoperto nel campo è capace di vendere tutto pur di averlo. Perchè evidentemente il suo valore ricompensa da tutte le altre cose vendute. A volte invece nella vita più che imparare a distaccarsi da tutto, ci si lega a tutto e ogni distacco, ogni “no” da dire, o che ci viene detto, richiede una grande fatica. Questo accade perchè difficilmente si sceglie qualcosa per cui vivere, perchè si dà valore a tutto indistintamente, non si riesce a fare una gerarchia.

In genere ci si lascia trasportare dalla vita e ci si lascia collocare ora qui e ora lì, ora con questo ora con quello, facendo in questo modo l’esperienza della fragilità e della temporaneità dei legami. Anche nelle scelte di vita si rimodula continuamente il senso per cui continuare a mantener fede a quella scelta e, pur nella continuità, c’è una progressiva evoluzione, un cambiamento continuo. In questo momento c’è un tesoro nella tua vita? Qualcosa a cui ti stai dedicando “con anima e cuore”, sacrificando qualunque altra cosa? E questo tesoro chi è?

Se ti manca questo centro, questo tesoro vitale in base al quale stimare il valore di tutto il resto che ti è intorno, ti sarà difficile fare delle scelte equilibrate e sagge. Non solo, ma rischi anche di vivere tutto il resto senza sapore, la vita si fa insipida perchè non c’è qualcosa per cuiv vale sacrificarsi più delle altre o altre per cui lo vale di meno. E in tutto questo che valore ha il Signore e il suo Regno per te? Che distanza ha da questo centro unificatore e vitale?

In breve

È solo custodendo e sacrificandoti per qualcosa che vale più di tutto il resto che ti circonda che potrai fare le tue scelte in modo ponderato e saggio. Perchè sarà il centro vitale e unificatore con cui potrai stimare il valore di tutto il resto. Attento però a non sbagliarti nella scelta, perchè potresti compromettere seriamente tutta la tua vita.


Di don Vincenzo Marinelli anche il libretto:

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Commento a cura di don Vincenzo Marinelli

Piotr Zygulski – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

La vita cristiana non è un azzardo, sebbene pensatori come Pascal abbiano parlato di una “scommessa” nella quale, nel peggiore dei casi, non si perde nulla. Il vangelo di oggi ce la descrive piuttosto come un investimento dal rendimento certo, un affare epocale, una realtà per cui davvero ne vale la pena orientare la propria vita.

Matteo infatti propone una coppia di parabole, complementari, che vanno in questa direzione: quella del tesoro nascosto nel campo e quella del mercante di perle. Nel primo caso si tratta probabilmente di un ritrovamento fortuito da parte di un bracciante, pensiamolo povero, sottopagato e precario; egli riconosce il tesoro scoperto e subito lo nasconde nuovamente, per poi comprare il campo in cui si trova e diventarne il legittimo proprietario.

Nel secondo caso il ricco mercante è protagonista attivo della ricerca: è un intenditore che meglio di altri si rende conto della preziosità che può ottenere; anch’egli può fare un affarone, comprandola con tutte le ricchezze che ha, riconoscendo che la perla ne vale ancora di più. A differenza del tesoro nascosto, qui accade tutto alla luce del sole, ma altrettanto legalmente e gioiosamente. Ora guardiamo ai proprietari originari del campo e della perla: cosa avranno pensato?

Probabilmente a un impazzimento, a una follia, o perlomeno a un azzardo rischioso da parte dell’acquirente. Ma la gioia straordinaria del bracciante e del mercante per quella decisione apparentemente insensata non li ha proprio insospettiti? Evidentemente quelli avevano qualche elemento in più per valutare, con maggiore realismo, il valore della perla e del campo.

Tuttavia i primi proprietari hanno preferito ricevere i soldi nell’immediato, mentre i beni sono finiti a chi meglio sa apprezzarne e valorizzarme sin da ora la preziosità ignorata dagli altri.


Commento a cura di:

Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).

Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.

Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

Medita

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Comincia così il discorso di Gesù sul regno dei cieli. Un discorso programmato, che non nasce da uno spunto occasionale. Un discorso che si prospetta sin dall’inizio lungo, di grande importanza, tanto che per accingersi a farlo Gesù si sedette. Il brano che abbiamo letto contiene la parte conclusiva di questo discorso.
Le prime due parabole ci dicono che il regno dei cieli è per noi l’oggetto principale del nostro desiderio, anche quando non ne siamo consapevoli, come l’uomo del tesoro nel campo. Ma per realizzare il nostro desiderio è necessaria una conversione radicale, simboleggiata dal disfarsi di tutti i propri beni.
L’ultima parabola guarda invece al regno dei cieli da una prospettiva diversa: quella del Signore. Da questa prospettiva il regno dei cieli (la rete da pesca) appare come lo strumento di raccolta delle anime che Lui stesso vaglierà attraverso i suoi angeli (i pescatori). Ed è molto suggestiva l’analogia dell’immagine dei pescatori seduti sulla riva a vagliare i pesci con quella di Gesù quando ha iniziato questo discorso sul regno dei cieli.
Il brano si conclude con la figura un po’ enigmatica dello scriba convertito, nella quale mi sembra si possa leggere che la conversione necessaria per ottenere il regno dei cieli non è un rinnegamento integrale del nostro passato, perché insieme a cose da rinnegare ci possono essere anche cose da conservare. Un po’ come la zizzania e il grano.

Rifletti

Gesù stesso premette che il suo discorso sul regno dei cieli sarà in forma di parabole, forse per suggerire concetti inesprimibili direttamente in linguaggio umano. Certo è che in questa forma il regno dei cieli rimane un tema di meditazione sempre aperto. Ma non è proprio questo che Gesù intende quando risponde ai discepoli che il ricorso alle parabole è per indirizzarsi solo ai cuori disposti ad impegnarsi per essere raggiunti?

Prega

Quando le tue parole mi vennero incontro,
le divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore,
perché io portavo il tuo nome,
Signore, Dio degli eserciti.
(Geremia 15, 16)


AUTORE: Claudia Lamberti e Gabriele Bolognini
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
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don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

SIAMO IL TESORO DI CRISTO E PER QUESTO POSSIAMO VIVERE NELLA GIOIA AUTENTICA

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“Avete compreso tutte queste cose?”. Questa domenica il Signore ci viene incontro chiedendoci se abbiamo preso-con noi le “cose nuove e quelle vecchie” che la Parola di Dio nasconde; se abbiamo discernimento per orientarci nella vita.

Esso, infatti, è la caratteristica fondamentale di ogni cristiano. Senza discernimento non si può seguire il Signore, si è vittime della storia e preda degli eventi, ripiegati su se stessi, ovvero incapaci di amare.

Vediamo, quanti “selfie” ci facciamo ogni giorno? Quanti ne scattano i nostri figli? Sembra che il senso e l’obiettivo di qualunque cosa facciamo sia lo scattarsi una foto e postarla. Viaggi e gite, pranzi e cene, magliette e gonne nuove, i pomodori piantati in giardino, perfino una corsa nel parco con il cane, tutto è irrimediabilmente destinato all’autoscatto, metafora triste dell’autocompiacimento che cerchiamo nelle cose e nelle persone.

Per l’uomo vecchio schiavo della carne e dei suoi desideri, infatti, tutto è “auto”: autostima, autogestione, autocoscienza, autoironia, autoerotismo, riflessi di una generazione affetta da un inguaribile autismo dell’anima.

L’altro è, semplicemente, uno specchio dove rifrangere la propria immagine; non esiste, vive nel prolungamento del proprio ego. Non serve neanche a farci una foto, oggi nemmeno un figlio…

Vive attaccato a un respiratore artificiale, lo sguardo dell’altro. Altro che Parola creatrice, sono gli occhi del mondo a dargli vita; una volta chiusi muore nell’insignificanza.

Anche noi abbiamo dato “valore” a “perle” finte, considerando un “tesoro” essere importanti per gli altri. E’ triste una vita stretta nel sandwich crudele del risparmio energetico di uno smartphone… Eppure è la vita di chi non “comprende” le Parole del Signore.

Ma anche oggi, come ogni giorno sino “alla fine del mondo”, il Signore “manda i suoi angeli a separare i pesci buoni da quelli inutili (secondo l’originale greco)”.

Hai dato valore a ciò che non ne ha? Rapidamente sarà “gettato nel fuoco ardente”, non ti preoccupare. Dove sono finiti i selfie che ti sei scattato una settimana fa? Nello stesso “trash” dove è finita quella gita e quella cena, il cestino dove forse, con la foto, hai gettato il tuo matrimonio, quell’amicizia, quel rapporto sessuale scatenato dagli ormoni in libera uscita.

La vita è seria, e porta con sé le conseguenze di ogni pensiero, parola e gesto. Non si scappa, o sono “buoni”, o “inutili”, cattivi e dannosi. Chi non ha discernimento continuerà a confonderli, prendendo un selfie appena sfornato sui social networks per compimento e felicità.

Ma non siamo nati per questo; piuttosto per esserne salvati dalla Chiesa, la barca che, con Cristo a bordo, solca il mare per approdare “all’altra riva”: “come infatti, il mare simboleggia il tempo, così la spiaggia indica la fine, e la riva segnerà che cosa la rete, cioè la Chiesa, aveva pescato” (San Gregorio Magno).

E che cosa aveva pescato? Noi, insieme ai fratelli. Anche le parabole di questa domenica, infatti, sono spiegate “in casa”, nell’intimità della comunità. Ci parlano della “gioia” di chi ha incontrato l’Amato che aspettava da sempre, l’unico che ha dato “valore” infinito alla sua persona, compresi i difetti, perdonando ogni peccato, e promettendogli una vita nuova e sorprendente, piena e felice nella sua compagnia. La vita che non si sazia di selfie, ma ha nell’altro il luogo dove compiersi nell’amore.

Il cristiano, infatti, ha “trovato” questo “tesoro” grazie alle indicazioni fornitegli dalla predicazione della Chiesa. Ha pregustato, infatti, la gioia della Torah che ha fatto di Israele un Popolo diverso da tutti gli altri.

Sul Sinai Israele ha “trovato” l’unica “perla preziosa” per la quale vale la pena vivere. Nella Parola è stato “conosciuto, creato, chiamato e giustificato”, e ha “compreso come vivere con discernimento.

Per questo, anticamente, ogni uomo conquistato dalla bellezza e dall’autenticità della predicazione e della testimonianza della Chiesa, iniziava in essa un cammino di conversione e purificazione per giungere alle nozze con Cristo, alla Nuova ed eterna Alleanza preparata per lui.

Non a caso, l’eucarestia che, nella Chiesa primitiva, dava compimento a tutto il percorso catecumenale, era un arcano, un “tesoro nascosto” che veniva svelato ai catecumeni nella notte di Pasqua, solo dopo che erano rinati da acqua e da Spirito Santo.

Bisognava uscire da se stessi, e “scavare” per “tirarlo fuori”, ovvero scendere i gradini che separavano dalle acque del battesimo. Solo così gli scribi, ovvero i giudei che si avvicinavano alla Chiesa, “divenivano discepoli del Regno dei Cieli”.

Per questo si mettevano alla scuola della Chiesa che, all’origine, veniva dalla circoncisione, olivastro innestato sull’olivo buono,  che per loro era proprio “come un padre di famiglia (secondo l’originale)” – la nuova famiglia cristiana che li accoglieva – “che estrae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove”.  La Torah illuminata da Cristo, ecco il tesoro!

A tutto questo siamo chiamati anche noi, che battezzati lo siamo già. Ma se non percorriamo un serio cammino di conversione rischiamo di finire come i pesci “inutili” della parabola.

Gesù sta parlando ai suoi, a me e a te, non al mondo, che non capirebbe. E ci dice che nella Chiesa molti sono stati presi nella “rete” della predicazione. Questa era come una sciabica, e formava una parete nel mare: trascinata a terra raccoglieva tutto quello che vi trovava, anche le impurità e i pesci non commestibili.

Così, molti hanno ascoltato l’annuncio, ma, nonostante il catecumenato, e forse anche il battesimo, non si sono convertiti. Continuano a scattarsi selfie, frustrando l’opera di Dio e la missione per la quale sono stati chiamati.

E tu, ed io? Abbiamo trovato il “tesoro”? Siamo, cioè, docili alla vanga della Parola e della guida della Chiesa che “scavando” ci educa per tirare fuori il meglio da ciascuno di noi, ovvero la nuova natura di figli di Dio plasmata dalla Parola e dai sacramenti?

Accettiamo che gli “angeli”, ovvero gli apostoli, ci visitino sulla “riva” delle nostre storie, e ci illuminino “separando” le opere buone e commestibili per gli altri dalle “inutili”, che, come il sale che ha perduto il sapore, non hanno alcuna utilità per la salvezza nostra e degli altri?

Stiamo “cercando“, prima e più di ogni altra cosa, la “perla preziosa”, ovvero il Regno di Dio e la sua Giustizia, per sperimentare il perdono e camminare in una vita “giusta” e crocifissa nel dono di noi stessi? Oppure cerchiamo la nostra giustizia, come il fariseo di un’altra parabola? Lo possiamo vedere se, tornando a casa dalle celebrazioni, siamo spinti a perdonare oppure no.

Abbiamo una missione, questo è il cuore del discernimento. E per il suo compimento essa tutto concorre al bene. Anche la solitudine, il disprezzo, le frustrazioni. Perché chi ha trovato la “perla preziosa”, che in epoca di Gesù era il massimo della ricchezza, uno status symbol come potrebbe essere una Ferrari; non ha bisogno di niente altro, mentre il discernimento la sa riconoscere con la sapienza divina.

Ha celebrato le nozze nell’amore che non si corrompe, e può lasciare tutto, vendere ogni bene, ma non per un eroismo moralistico o sentimentale, ma in virtù dell’evidenza che si impone nell’esperienza. Perché la vita è una Pasqua, va verso verso il Cielo, dove ci attende Cristo!

E’ felice, “pieno di gioia” si spoglia anche di se stesso, come San Francesco. A questo siamo chiamati, alla felicità che nessuno potrà mai toglierci, che sorge dalla certezza di essere per Cristo la “perla preziosa” per la quale ha dato tutto se stesso, il “tesoro nascosto” nel campo del demonio, per il quale si è nascosto anch’Egli nel sepolcro e così riscattarci. E farci risorgere con Lui.


AUTORE: don Antonello Iapicca
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Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 26 Luglio 2020

Il regno dei cieli è il regno dell’amore divino. Comprende le sue cose chi segue il ritmo di questo amore. Vendere tutti i propri averi; lasciare la propria terra, la propria casa, la propria famiglia, la propria pelle; svuotarsi di se stesso; perdere la vita. Ritrovarla in una scelta così concreta, così personale. Un discepolo di tale regno estrae dal suo cuore cose nuove e antiche, perché il suo cuore non è più nella sua terra. Abita nell’altro. Abitando nell’altro viene riscoperto quello che da sempre si è, ma in un modo completamente nuovo.

Tutto quanto abbiamo sperato, creduto, amato, lo troviamo adesso offerto da parte di un volto e di un nome concreto. La vita custodita da un fratello. E ancora di due, di tre, di quattro, e persino del Signore divino. Si trasforma il modo – non più possessivo – in cui si compie la propria vita: solo così l’antico non invecchia, ma diventa continua novità. E allora vogliamo anticipare quel momento finale quando il modo vecchio sarà buttato via, quando si separeranno da noi le nostre pretese di autopossederci, rimanendo solo la bontà regalata dagli altri.

Fidarsi del Signore, vero Dio, vero uomo, che custodisce il mistero della nostra persona, il nostro tesoro nascosto, la nostra perla preziosa. E allo stesso tempo stupirsi davanti a Lui, l’unico pesce puro, che vuol trovare quello che già gli apparteneva (la vita dell’amore!) offerto dalle nostre mani.

Pietre Vive (Roma)


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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato

Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020 – Don Francesco Cristofaro

Vangelo del giorno e breve commento a cura di Don Francesco Cristofaro.


AUTORE: Don Francesco Cristofaro
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Riccardo Bigi – Commento al Vangelo del giorno, 26 Luglio 2020

La prima lettura di questa Domenica ci ricorda il sogno di Salomone a Gàbaon, in cui Dio chiede al re: «chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone chiederà il dono del «discernimento», descritto come un «cuore docile» per «rendere giustizia al popolo» e che «sappia distinguere il bene dal male».

Dono oggi necessario per discernere la preziosità del Regno di Dio, che va cercato, ma anche comprato al posto di inutili averi, venduti per acquistarlo.
Nella parabola del seme Gesù aveva parlato di ciò, che come le spine, soffoca la parola, lo stesso fanno gli affanni della vita e la bramosia delle ricchezze. È con il discernimento, che viene dallo Spirito Santo, che si è in grado di riconoscere il Regno di Dio come un tesoro nascosto e una perla di grande valore. Allora, saggiamente, il mercante nasconde e «pieno di gioia» vende i suoi averi e compra il campo e acquista la perla.
Le due parabole del tesoro e della perla ci pongono una domanda: Quanto è prezioso per te il Regno di Dio?

S. Ambrogio ci risponderebbe: «Cristo è tutto per noi». L’abate San Colombano ammonirebbe: «Siamo di Cristo non di noi stessi».
Il Regno è così prezioso, che per esso vale la pena di vendere tutto ciò che si possiede. S. Francesco, che si «spoglia» davanti al padre, è l’icona perfetta della preziosità del Vangelo.
Matteo ricorda che prima di comprare il terreno, il tesoro è nascosto. È un’immagine che esprime la fatica di «scavare» in se stessi, nelle profondità del cuore, per avere poi la forza di rinunciare a tutto. Se Cristo è dentro di me, ho già trovato il Regno, questo mi libera da tutti i beni a cui sono attaccato, posso lasciare tutto per il tesoro e per la perla.
La parabola della rete è una parabola sul giudizio.

La rete è immagine della Chiesa, non è suo compito suo«separare» ma «accogliere». Non esiste la Chiesa composta di soli perfetti; l’antica eresia donatista. È la pericolosa tentazione di trasformare la Chiesa in una setta di perfetti. La Chiesa contiene anche i peccatori, offre loro la possibilità reale della conversione, sarà Dio alla fine che separerà nel suo giusto giudizio. Matteo vuole così ricordare la nostra responsabilità personale.

«Avete compreso tutte queste cose?», è la domanda finale a cui segue il detto autobiografico dell’evangelista: «ogni scriba, divenuto discepolo del Regno dei cieli, è simile al padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». L’evangelista ha saputo «discernere» e da scriba è diventato discepolo del Regno, per questo, possedendo il soro, sa trarre nella sua vita cose nuove e cose antiche.


Fonte: Toscana Oggi

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don Giuseppe Nuschese – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

Don Giuseppe Nuschese, Direttore del Centro diocesano vocazioni dell’Arcidiocesi di Amalfi – Cava de’ Tirreni


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don Gio Bianco – Commento al Vangelo del 26 Luglio 2020

Vende tutti i suoi averi e compra quel campo


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AUTORE: don Gio Bianco, salesiano – parroco a Lombriasco (To) presso la parrocchia Immacolata Concezione di Maria Vergine.
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