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p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 19 Maggio 2024

Comunicare

L’esperienza di non capirsi è abbastanza frequente. Ci scontriamo, ci allontaniamo, entriamo in conflitto, perché non ci sentiamo capiti o perché fraintendiamo le parole dell’altro. Tutto si gioca su questa capacità di comunicare che però molto spesso non funziona. Comunicare vuol dire infatti condividere un munus che è nello stesso tempo dono, ma anche impegno, dovere, onere.

Abitare lo stesso luogo

Come ci hanno insegnato gli esperti del settore, la comunicazione è il risultato di un impegno comune, è una questione di cooperazione, occorre creare il terreno condiviso affinché la comunicazione possa funzionare. Per questo mi colpisce che nel testo degli Atti degli Apostoli, prima che si realizzi questa comunicazione che supera le differenze linguistiche, i discepoli stavano tutti insieme nello stesso luogo! Hanno creato le condizioni, stanno abitando uno stesso sogno, lo stesso progetto, non a caso erano un cuor solo e un’anima sola! Se allora la comunicazione a volte non funziona, forse è perché ce ne siamo già andati, forse siamo dispersi, stiamo abitando luoghi diversi.  

Capirsi

La forza dello Spirito Santo, che è l’amore, ci viene presentata non a caso come capacità di capirsi. Parlano lingue diverse eppure si capiscono. Sono oggettivamente persone diverse, che vengono da culture, contesti, modi di pensare differenti, eppure si capiscono. Se affrontassimo le situazioni con maggiore disponibilità e misericordia, ci sarebbe certamente meno incomprensione. Ma come abbiamo detto, la comunicazione è un’esperienza di cooperazione, noi possiamo fare la nostra parte, ma non è detto che basti.

La Pentecoste, che per Israele è la festa del dono della Legge sul Sinai, diventa così la festa dell’amore, la legge nuova che abita il cuore del credente. Non a caso lo Spirito si manifesta come vento e come fuoco, cioè attraverso quelle manifestazione che avevano caratterizzato la teofania sul Sinai.

Dispersione

Lo Spirito guarisce le ferite della divisione. L’immagine della Pentecoste ci rimanda infatti per contrasto immediatamente alla torre di Babele, dove si era passati dall’unità alla dispersione: si parlava in origine una sola lingua e ci si scopre poi estranei l’uno all’altro. Ci capivamo e poi improvvisamente non ci siamo capiti più.

L’episodio di Babele rivela però anche il motivo di quella dispersione: gli uomini pretendono di arrivare a Dio. È la superbia, il tentativo di farcela da soli, la pretesa di sostituirsi a Dio, che ci porta alla divisione e all’incomprensione. La Pentecoste è dunque anche un richiamo all’umiltà, per lasciare che l’amore di Dio abiti nei nostri cuori. Quando non riusciamo a capirci, allora, potremmo fermarci e invocare lo Spirito affinché ci aiuti a superare quello che ci divide e ci impedisce di vedere l’altro.

Paraclito

È Gesù stesso che ci ha promesso questa presenza. Il termine usato da Gesù in questi versetti del Vangelo di Giovanni è molto eloquente. Gesù indica lo Spirito come il Paraclito: si tratta di un termine tecnico del genere forense. Il Paraclito è l’avvocato, colui che è chiamato a stare accanto nella difesa in tribunale. Il Paraclito è anche colui che prende il nostro posto nella lotta, combatte per noi. in questo senso assume anche il significato di Consolatore, perché si prende cura di noi, ci incoraggia, ci spinge ad andare avanti nonostante gli ostacoli.

Spirituali

La presenza dello Spirito santo in noi ci permette di essere in comunione con Gesù: lo Spirito infatti ci dice e ci ricorda quello che Gesù ci ha detto, ci mette in relazione con la sua Persona. Noi siamo esseri spirituali, abbiamo ricevuto il soffio vitale, e per questo possiamo accogliere in noi lo Spirito. È sempre possibile vivere la comunione con la Trinità. Lo spirito, infatti, pneuma, in ebraico ruah, è un termine che viene attribuito sia all’uomo che a Dio, dunque anche nelle parole è un termine che fa comunione, ci mette insieme a Dio, testimonia il legame tra Dio e l’umanità, un legame costitutivo, che nulla potrà mai spezzare. È un legame che non può andare mai perso!

Leggersi dentro

  • Sperimenti anche tu difficoltà di comunicazione? Come le affronti?
  • Riesci a vivere momenti in cui ascoltare la voce dello Spirito in te?

Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte

don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 19 Maggio 2024

« Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio »
Sant’Atanasio di Alessandria, De Incarnatione

Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.

L’incarnazione è il Cielo che si apre, lacerazione dolorosa e salvifica, gli opposti si fanno vicini, le distanze di penetrano, l’Infinito feconda la terra. È il fragore di un vento impetuoso che scompiglia le nostre rigidità, le ginocchia ancora si piegano d’emozione e paura, ci vuole coraggio per farsi riempire la vita dalla forza dello Spirito. Sembra che il cielo, fortunatamente, ancora non riesca a contenere la potenza di questo Dio che vuole trasformarci in Lui.

Così ancora accade l’amore, procede sempre e solo da un cielo partoriente. Ci saremmo accontentati di molto meno, ci sarebbe bastato dare un poco di senso alla vita, aiutarci tra noi, per quel che si può, masticare la fatica di essere vivi sperando di assaporare qualche briciolo di felicità, ci sarebbe bastata la nostra vita, per quel che è.

Invece il cielo si strappa ancora e grida d’amore il desiderio divino. Non basta essere vivi, non basta il respiro serve lo Spirito, Cristo si è fatto uomo per farci Dio. Non bastano le raffinate antropologie che ci fanno credere che basti essere pienamente uomini estromettendo di fatto Dio dalla vita, non bastano filosofie spendibili tra i sapienti, saranno accoglienti e comprensibili, ma non sono vere, non hanno fede. E a Dio comunque non basta. Così il suo fragoroso amore ci interpella ancora. Per farci Lui.

“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.”

Serve una lingua nuova, come infuocata, come avere un roveto ardente tra le labbra, come a lasciar parlare di Dio in noi. Diventare Dio, trovare la lingua per svelare l’unica verità, che ogni cosa è abitata da un gemito inesprimibile che chiede di tornare a casa. Che tutto è un travaglio che chiede nascita. Che in ogni brandello la realtà spinge per rinascere in Eternità.

Serve una lingua nuova, e che sia infuocata e divina, una lingua che sia comprensibile da tutti, ma comprensibile nel profondo, nel luogo segreto e spesso dimenticato della nostra anima, lì dove tremante confidiamo di aver capito di essere nati per lasciarci trasformare in Dio.

Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

Dio si è fatto uomo per liberarci dai bisogni che muoiono nella ripetizione dell’identico. Dio si è fatto uomo per liberarci dal dominio delle cose della terra, dagli istinti che non conoscono orizzonti infiniti, della sessualità che si accontenta del godimento e non riesce nemmeno più a sognare d’essere atto divino, creativo, estatico, liberatorio. Dio si è fatto uomo per Liberarci da un moralismo che ha sfigurato la sessualità dimenticandone la vocazione divinizzante.

Per liberarci dalla paura che prende chi ha dimenticato che la Legge non dev’essere adorata ma deve servire solo a mantenere puro, cioè libero e divino, il nostro modo di guardare il mondo. Dio si è fatto uomo per insegnarci a guardare il mondo come lo guarda lui, per restare in relazione viva con noi, perché senza relazione non c’è verità.

Dio si è fatto uomo per mostrarci che ogni fratello è strada percorribile per arrivare a Lui. Ma anche ogni cosa, nella sua essenza, non è altro che possibilità di svelare la sua presenza. Tutto canta la Sua prossimità, tutto è varco, porta, feritoia. Anche la morte, soprattutto la morte. Dio si è fatto uomo per trasformare la morte in Pasqua, per renderla passaggio, perché morendo diventassimo Lui.

“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”

 Ed è questa la verità, quella che era inaccessibile prima che la croce e la resurrezione mostrassero il vero volto delle cose. Questa è la verità, la verità tutta intera, perché ricomposta in un atto d’amore infinito. Questa è la verità, perché non è limitata a Cristo, perché con la Pentecoste non smette di accadere in ognuno di noi. Noi che ci accontentiamo di molto meno, noi che non troviamo più il coraggio di desideri infiniti, noi che nemmeno più diciamo che possiamo lasciarci trasformare in Lui. Forse perché è un peso, una responsabilità grande.

Forse perché preferiamo credere ad un Dio separato da noi. Forse perché sembra impossibile credere in questo nostro corpo che non interroghiamo mai abbastanza: non lo facciamo suonare come potrebbe. Forse perché ci sembra impossibile che dalla nostra miseria possa nascere qualcosa anche solo somigliante al divino.

Forse perché non crediamo d’essere culla e sepolcro. Forse perché non crediamo nel suo amore. Forse perché non crediamo nell’uomo come ci crede lui. Forse perché non amiamo il corpo, il mondo, le nuvole, le pietre, gli animali, la montagna, l’acqua, il legno, la resina, la carta… forse perché non lo sentiamo cantare anche lì. Forse perché non lo ascoltiamo presente in ogni respiro. Forse perché non vogliamo semplicemente farci Dio.

Ma il cielo si apre, e sarà sempre all’improvviso, e con un fragore che sentiremo solo noi, in un vento di cui riconosceremo immediatamente il profumo, saremo riempiti da Lui. Diranno che siamo morti. Invece saremo finalmente diventati Lui, con chi ci ha preceduto. Finalmente.  

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

don Gio Bianco – Commento al Vangelo del 19 Maggio 2024

Lo Spirito di verità vi guiderà a tutta la verità.

Esegesi e meditazione alle letture di domenica 19 Maggio 2024 – don Jesús GARCÍA Manuel

Prima lettura: Atti 2,1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio»

In questo brano degli Atti degli Apostoli sono presentati i due propulsori dello sviluppo della chiesa: lo Spirito e la Parola. La parola dell’apostolo arriva, provoca la fede e converte, perché è stata preceduta dallo Spirito, che solo apre l’orecchio all’ascolto.

     Al tempo di Gesù la Pentecoste, o festa delle settimane — antica festa agricola (offerta delle messi), celebrata sette settimane dopo la pasqua (cf. Lv 23,15-21) — aveva assunto anche il senso di commemorazione dell’alleanza del Signore e di celebrazione della legge mosaica. Poiché il giorno inizia la sera del giorno prima, l’espressione «stava compiendosi il giorno di Pentecoste» indica la mattinata inoltrata che conclude il periodo della festività. Ma essa indica anche una realtà più profonda: il «giorno» atteso dai profeti sta per finire; la storia è al suo giro di boa, perché il vero Israele incomincia a separarsi dal giudaismo incredulo.

     La scena descritta nel testo ricalca la teofania del Sinai (Es 19,16-22): l’antica alleanza è sostituita dalla nuova alleanza. Tuoni, lampi, rumore di tromba, fumo indicano la presenza del Signore nel Sinai e la «discesa» dello Spirito sugli apostoli.

     L’antica legge diventa «nuova» per la presenza dello Spirito, che non solo istruisce ma anche dà la forza di compiere quello che la legge richiede.

     Il «fuoco» che purifica e illumina (cf. Is 6,6), indica una trasformazione interiore nei discepoli di Gesù, i quali, da poveri e incolti pescatori, diventano annunciatori del vangelo: il messaggio più sconvolgente che gli uomini possano sentire (At 1,8).

     La presenza di tutte le nazioni a Gerusalemme ha un significato più profetico che storico: la Chiesa oltrepassa i confini del giudaismo; ad essa tutti possono accedere per sperimentare i frutti della Nuova Alleanza promessa non solo per Israele, ma per tutti.

     Il miracolo delle lingue può essere una semplice glossolalia (gesti simbolici tradotti da un interprete in un linguaggio comprensibile) o un apprendimento (o una traduzione simultanea) di nuove lingue (così si potrebbe comprendere come i presenti sentano parlare le loro lingue). Ma Luca potrebbe essere stato influenzato dalla tradizione giudaica secondo la quale nel Sinai la voce di Dio si era divisa in 70 lingue, perché la capissero tutte le 70 nazioni della terra: con il dono dello Spirito la Chiesa si apre all’evangelizzazione di tutte le nazioni del mondo.

Seconda lettura: Galati 5,16-25

      Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito

La figliolanza abramitica, o divina, non è possibile senza lo Spirito. È solo lo Spirito che fa di un uomo della carne, un uomo dello Spirito. L’uomo della carne è l’uomo schiavo dei propri vizi: fornicazione, impurità, libertinaggio (disordini sessuali), idolatria, stregoneria (corruzione del culto), inimicizia, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidia (peccati contro la comunità), ubriachezza, orge (disordini dei sensi), e cose del genere (l’elenco è solo indicativo). L’uomo vorrebbe compiere la legge, che porta alla vita, ma non ha in se stesso la forza di compierla, e si trova a fare quello che non vuole (v. 17): gli è impedito l’esercizio della vera libertà, quella di amare rinnegando se stesso per perdersi nell’altro.

     In questa battaglia contro l’uomo della carne che vorrebbe tornare a prevalere nella vita del cristiano, s’inserisce lo Spirito Santo. La sua presenza è indicata dai frutti: il punto d’arrivo dell’attività vivente dello Spirito, che sollecita la nostra libera cooperazione. Essi sono: amore, gioia, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (V. 22). Sono gli atteggiamenti dell’uomo nuovo, liberato dalle sue paure e dal suo egoismo, in grado di amare gratuitamente.

     La comunità, in questa battaglia, può anche dire di no alla forza liberante dello Spirito, e ricadere nelle antiche opere della carne.

Vangelo: Giovanni 15,26-27; 16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Esegesi

I due brani del vangelo sono tratti dal secondo discorso d’addio di Gesù durante la cena pasquale. Gesù parla della testimonianza che i suoi discepoli daranno nel contesto della persecuzione. Essi non saranno mai soli, perché egli manderà il Consolatore, o meglio il Difensore, che procede dal Padre. La forza necessaria, infatti, per testimoniare la verità su Cristo durante il giudizio verrà dallo Spirito di verità, che in modo silenzioso continua l’opera di Gesù che è la Verità.

     Lo Spirito ricorderà loro quel che hanno visto e udito fin da principio. La testimonianza oculare non basta per comprendere Gesù. È solo lo Spirito che dona gli occhi della fede per capire chi veramente egli sia: «per il momento non siete capaci di portarne il peso» (16,12).

     Lo Spirito è una guida «a tutta la verità» (16.13): Gesù è la verità, ma è anche la «via», che conduce alla verità. Lo Spirito dopo la risurrezione sarà il maestro interiore che li accompagnerà alla comprensione sempre più profonda di Gesù. Anche i vangeli sono stati scritti sotto la guida di questo Spirito, e così pure la comprensione del loro significato nelle comunità del futuro avverrà sotto l’azione dello Spirito.

     Come Gesù ci ha detto tutto quello che ha udito dal Padre, così anche lo Spirito non dà del suo, ma di quello che riceve da Gesù (v. 13b). Egli rivela e glorifica Gesù, mettendo in evidenza la sua natura trascendente (v. 14): questa è anche l’opera d’ogni discepolo dopo la Pasqua.

Meditazione

«Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (At 2,1). Erano passati cinquanta giorni dalla Pasqua e centoventi seguaci di Gesù (i Dodici con il gruppo dei discepoli assieme a Maria e alle altre donne) stavano radunati, come ormai abitualmente facevano, nel cenacolo. Dalla Pasqua in poi, infatti, non avevano smesso di ritrovarsi assieme per pregare, ascoltare le Scritture e vivere in fraternità. Questa tradizione apostolica non si è mai più interrotta, da allora ad oggi. Non solo a Gerusalemme ma in tante altre città del mondo i cristiani continuano tutt’ora a radunarsi «tutti assieme nello stesso luogo» per ascoltare la Parola di Dio, per nutrirsi del pane della vita e per continuare a vivere assieme nella memoria del Signore.

Quel giorno di Pentecoste fu decisivo per i discepoli a motivo degli eventi che accaddero sia dentro il cenacolo che fuori. Narrano gli Atti degli Apostoli che «venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso» sulla casa dove si trovavano i discepoli; fu una sorta di terremoto che si udì in tutta Gerusalemme, tanto da richiamare molta gente davanti a quella porta per vedere cosa stesse accadendo. Apparve subito che non si trattava di un normale terremo­to. C’era stata una grande scossa, ma non era crollato nulla. Da fuori non si vedevano i «crolli» che stavano avvenendo dentro. All’interno del cenacolo, infatti, i discepoli sperimentarono un vero e proprio ter­remoto, che pur essendo fondamentalmente interiore, coinvolse visibil­mente tutti loro e lo stesso ambiente. Videro delle «lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue». L’immagine del terremoto accompagna spesso nella Bibbia l’avvento di Dio, il suo irrompere improvviso nella storia. In Es 19 ad esempio la teofania di Dio si accompagna al fuoco e al tremare del monte, da cui Dio dona la legge al suo popolo (Es 19,16-19). Immagine che scuote, interrompendo lo scorrere abituale del tempo e delle azioni.

Quell’esperienza fu per tutti loro – dagli apostoli, ai discepoli, alle donne – un’esperienza che cambiò profondamente la loro vita. Forse ricordarono quello che Gesù aveva detto loro nel giorno dell’Ascensio­ne: «voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,49); e compresero le altre parole che Gesù aveva detto loro: «È bene per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito» (Gv 16, 7). Quella comunità aveva bisogno della Pentecoste, ossia di un evento che sconvolgesse profondamente il cuore di ciascu­no. In effetti, una forte energia li avvolse e una specie di fuoco li divo­rava nel profondo; la paura crollò e cedette il passo al coraggio, l’indif­ferenza lasciò il campo alla compassione, la chiusura fu sciolta dal calore, l’egoismo fu soppiantato dall’amore. Era la prima Pentecoste. La chiesa iniziava il suo cammino nella storia degli uomini.

Il terremoto interiore che aveva cambiato il cuore e la vita dei disce­poli non poteva non avere riflessi anche al di fuori del cenacolo. Quella porta tenuta sbarrata per cinquanta giorni «per paura dei giudei», finalmente viene spalancata e i discepoli, non più ripiegati su se stessi, non più concentrati sulla loro vita, iniziano a parlare alla numerosa folla sopraggiunta. La lunga e dettagliata elencazione di popoli fatta dall’autore degli Atti sta a significare la presenza del mondo intero davanti a quella porta: sono ebrei da Roma; assieme ci sono anche dei proseliti, ossia pagani avvicinatisi alla Legge di Mosè. Ebbene, mentre i discepoli di Gesù parlano, tutti costoro li intendono nella propria lin­gua: «Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio», dicono stupiti. Si potrebbe dire che questo è il secondo miracolo della Pentecoste.

Da quel giorno lo Spirito del Signore ha iniziato a superare limiti che sembravano invalicabili; sono quei limiti che legano pesantemente ogni uomo e ogni donna al luogo, alla famiglia, al piccolo contesto in cui si è nati e vissuti. E soprattutto terminava il dominio incontrastato di Babele sulla vita degli uomini. Il racconto della Torre di Babele ci mostra gli uomini protesi a costruire un’unica città che con la sua torre dovrebbe giungere sino al cielo; è l’opera delle loro mani, è il vanto di tutti i costruttori. Ma l’orgoglio proprio mentre li univa, subito li travol­se; non si compresero più l’uno accanto all’altro e si dispersero su tutta la terra (Gn 11,1-9). La dispersione della Torre di Babele è un racconto antico; ma in esso si descrive la vita ordinaria dei popoli sulla terra, spesso divisi tra loro e in lotta, tesi a sottolineare quel che divide piut­tosto che quello che li unisce. Ciascuno è rivolto solo ai propri interes­si, senza badare al bene comune.

La Pentecoste pone termine a questa Babele di uomini in lotta solo per se stessi. Lo Spirito Santo effuso nel cuore dei discepoli dà inizio ad un tempo nuovo, il tempo della comunione e della fraternità. È un tempo che non nasce dagli uomini, sebbene li coinvolga; e neppure sgorga dai loro sforzi, pur richiedendoli. È il tempo che viene dall’alto, da Dio. Dal cielo – narrano gli Atti – scese una pioggia come di lingue di fuoco le quali si posarono sul capo di ciascuno dei presenti: era la fiamma dell’amore che brucia ogni asperità e lontananza; era la lingua del Vangelo che varca i confini stabiliti dagli uomini e tocca i loro cuori perché si commuovano. Il miracolo della comunione inizia proprio a Pentecoste, dentro il cenacolo e davanti alla sua porta. È qui – tra il cenacolo e la piazza del mondo – che inizia la Chiesa: i discepoli, pieni di Spirito Santo, vincono la loro paura e iniziano a predicare. Gesù aveva detto loro: «Quando verrà lo Spirito di verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Lo Spirito è venuto, e da quel giorno continua a guidare i discepoli per le vie del mondo.

La solitudine e la guerra, la confusione e l’incomprensione, l’odio e la lotta fratricida, non sono più ineluttabili nella vita degli uomini, perché lo Spirito è venuto a «rinnovare la faccia della terra» (Sal 103,30). L’apostolo Paolo, nella Lettera ai Galati, esorta i credenti a camminare «secondo lo Spirito per non essere portati a soddisfare il desiderio della carne… sono ben note le opere della carne: fornicazio­ne, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gal 5, 19-21). E aggiunge: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5, 22). Di questi frutti ha bisogno il mondo intero. La Pentecoste è l’inizio della Chiesa, ma anche l’inizio di un nuovo mondo. Ebbene, anche in questo inizio del millennio il mondo sta in attesa di una nuova Pentecoste. Lo Spirito Santo, come quel giorno di Pentecoste, è effuso anche su di noi perché usciamo dalle nostre gret­tezze e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo l’amore del Signore. Anche a noi è data in dono la «lingua» del Vangelo e il «fuoco» dello Spirito, perché mentre comunichiamo il Vangelo al mondo scal­diamo il cuore dei popoli perché si raccolgano attorno al Signore.

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Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 19 Maggio 2024

DOMENICA «DI PENTECOSTE»

La pentecoste è la festa dello Spirito santo: la sua discesa nella Chiesa è un avvenimento di salvezza, cioè uno di quegli interventi di Dio che nella realizzazione del piano della salvezza decidono in modo unico e definitivo delle sorti del mondo. Il senso della pentecoste quale avvenimento di salvezza è dato dai seguenti aspetti:

  1. Effusione dello Spirito santo quale segno degli ultimi tempi. La pentecoste realizza le promesse di Dio secondo cui negli ultimi tempi lo Spirito sarebbe stato dato a tutti (cf. Ez 36,27). Giovanni Battista aveva annunciato che Cristo avrebbe battezzato nello Spirito santo (Mc 1,8). Gesù risorto conferma: «Tra pochi giorni sarete battezzati nello Spirito santo» (At 1,5). I Padri hanno paragonato questo «battesimo nello Spirito santo», che segna l’investitura apostolica della Chiesa, al battesimo di Gesù, il quale segnò l’inizio del ministero pubblico del Signore. La pentecoste, perciò, dai Padri è stata vista come il dono della nuova legge alla Chiesa secondo gli annunci profetici (cf. Ger 31,33; Ez 36,27). La legge della Chiesa infatti non è più la legge scritta, ma lo stesso Spirito santo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato» (Rm 5,5).
  2. Coronamento della pasqua di Cristo. – Il Cristo morto, risorto e glorificato alla destra del Padre porta a termine la sua opera di salvezza effondendo lo Spirito sulla comunità apostolica. La pentecoste è pertanto la pienezza della pasqua, il mistero pasquale totale.
  3. Raduno della comunità messianica. – I profeti avevano ripetutamente annunciato che i dispersi sarebbero stati radunati sul monte Sion: in questo modo l’assemblea di Israele sarebbe stata unita attorno al Signore. La pentecoste realizza a Gerusalemme l’unità spirituale dei giudei e dei proseliti di tutte le nazioni: docili all’insegnamento degli apostoli, essi partecipano insieme e nella comunione fraterna alla mensa eucaristica e alla preghiera comune.
  4. Comunità aperta a tutti i popoli. – Lo Spirito santo è donato per una testimonianza che deve essere portata fino alle estremità della terra. Il fatto che gente di diversa lingua comprenda la lingua nella quale parlano gli apostoli, dice che la prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli. La pentecoste dei pagani lo dimostrerà (cf At 10,44ss.). La divisione operata a Babele (Gen. 11, 19) trova qui la sua antitesi e il suo termine positivo. Il miracolo della pentecoste è perciò la risposta divina alla confusione e alla dispersione.
  5. Partenza e missione. – La pentecoste raduna la comunità messianica e segna il punto di partenza della sua missione. Il discorso di Pietro «in piedi con gli undici» è il primo atto della missione affidata da Gesù agli apostoli : «Riceverete una forza, lo Spirito santo… Allora sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At. 1,8). Il senso dell’avvenimento pentecostale è sottolineato da un duplice miracolo: gli apostoli ripieni di Spirito santo cantano le meraviglie di Dio esprimendosi in «lingue», forma carismatica di preghiera comune nelle prime comunità cristiane; questo «parlare in lingua», anche se non intelligibile (cf 1 Cor 14,1-25), nella pentecoste è compreso dalle persone presenti provenienti dalle più diverse regioni: è un segno della vocazione universale della Chiesa.

Mai va comunque dimenticato che la Pentecoste è essenzialmente una Domenica. Essa è la Domenica 8a (7 + 1 = 8) dopo la Resurrezione. La Domenica è il Io Giorno eguale all’8° Giorno. Così queste 7 + 1 Domeniche formano 50 giorni, dove 1 = 50, segno di pienezza. La Domenica Ia è la Resurrezione, identica alla Domenica 8a, la Pentecoste: unico Giorno di 50 Giorni. Il N. T. con il simbolismo dice: è sempre Resurrezione, è sempre Pentecoste. Perché permanente è la potenza dello Spirito Santo che operò la Resurrezione e la Pentecoste.

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sap 1,7

Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo,

egli che tutto unisce,

conosce ogni linguaggio. Alleluia.

La visuale di Sap 1,7 è grandiosa. Lo Spirito del Signore, la Sapienza divina eterna, è Presenza divina come Creatore permanente dell’universo. Lo domina, lo contiene e lo comprende tutto, e conosce alla perfezione ogni sua minima “voce” o notizia, o dato o realtà. E presente, ma senza confondersi con la creatura, alla quale dona l’esistenza (vedi qui anche Gen1,1-3).

In alternativa:

Antif. D’ingressoRm 5,5; 8,11

L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori

per mezzo dello Spirito,

che ha stabilito in noi la sua dimora. Alleluia.

Canto all’Evangelo

Alleluia, alleluia.

Vieni, Santo Spirito,

riempi i cuori dei tuoi fedeli

e accendi in essi il fuoco del tuo amore.

Alleluia.

Nell’alleluia all’Evangelol’epiclesi più famosa «Vieni, Spirito Santo» per ottenere la visita fedele del Paraclito. Il testo con tre verbi all’imperativo chiede direttamente allo Spirito Santo di venire per riempire della sua divina Pienezza il cuore dei suoi fedeli in attesa e di accendere in essi il Fuoco della sua Carità (Lc 24,32 e At 2,1-4). Il tratto viene da Rm 5,5 (che con 8,11 è anche l’antifona d’ingresso alternativa), e qui è concreto: Paolo mostra che è avvenuto da parte del Padre una volta per sempre.

Si sono compiuti i 50 giorni di festa e di gioia; la celebrazione della Pasqua del Signore raggiunge in questo giorno il suo culmine col ricordo della venuta dello Spirito Santo.

Del resto sia la I lettura che il carattere eminentemente pneumatologico della pericope evangelica non lasciano spazio a dubbi di sorta; il personaggio di cui si parla è lo Spirito Santo!

Gv 15,26-16,15 è il brano giovanneo, nel quale si parla con maggior diffusione della persona e dell’azione dello Spirito Santo. Per il contesto vale quanto detto per la pericope della Dom. V di Pasqua B. Il tema dell’odio e delle persecuzioni del mondo contro i cristiani (cfr. vv. 18.20b) conduce Gesù a parlare dello Spirito Paráclito.

L’azione speciale dello Spirito di Dio nella coscienza dei credenti, soprattutto durante le persecuzioni, costituisce un elemento sicuro della tradizione antica. Anche i sinottici infatti mettono in bocca a Gesù espressioni simili a quelle giovannee sull’opera specifica dello Spirito Santo, allorché i discepoli dovranno rendere testimonianza al Cristo davanti al mondo ostile, nei processi intentati contro di loro dai sinedri giudaici e dai presidi o re pagani (cfr. Mc 13,9-13; Mt 10,19-20 e Lc 12,12 dove insegna loro quello che dovranno dire). In quest’ora di prova dolorosa, in cui si scatenerà l’odio dei nemici, il discepolo non sarà abbandonato a se stesso: con lui lotterà lo spirito del Padre, in lui parlerà lo Spirito Santo, rendendolo testimone forte e coraggioso del Signore Gesù.

Il brano liturgico che oggi esaminiamo costituisce quindi la continuazione logica del brano immediatamente precedente, al quale si collega letterariamente con la tematica delle persecuzioni dei cristiani (Gv 15,20; 16,1), formando con esso una grande unità.

Già nel primo discorso Gesù aveva parlato del Paráclito (cfr. Gv 14,16s.25), però in una luce diversa; qui infatti la funzione dello Spirito Santo è presentata nella prospettiva di chi “ispira la pace”: questa persona divina svolgerà la funzione di Maestro interiore dei discepoli, continuando l’azione didattica di Gesù.

Nel nostro brano (che appartiene al secondo discorso dell’ultima cena) il clima di odio e di persecuzioni induce Gesù a parlare di una funzione specifica dello Spirito in queste circostanze avverse all’evangelo. Questa considerazione ci sconsiglia dal considerare questo brano un doppione di Gv 14,16ss.

Osservando ancora la pericope possiamo notare come questa sia racchiusa da una appariscente inclusione tematica tra il passo iniziale e quello finale, incentrata nella venuta dello Spirito Paráclito (15,26e16,13s). Quest’argomento ètrattato anche al centro del brano eper di piùnella medesima forma stilistica (16,7s), come si vede dal confronto dei testi:

Gv 15,26 Quando verrà IL PARÁCLITO   che io vi manderò,,., LO SPIRITO DELLA VERITÀ*… quegli mi renderà testimonianza.Gv 16,7s   IL PARÁCLITO non verrà a voi…, io manderò a voi.     E venendo, quegli convincerà il mondo.Gv 16,l3s Quando   verrà quegli,   LO SPIRITO DELLA VERITÀ’…   quegli mi glorificherà

Perciò la venuta dello Spirito nei discepoli, per rendere testimonianza a Gesù e per glorificarlo, convincendo il mondo di peccato, forma realmente il tema centrale del brano in esame, costituendone i tre piloni portanti.

Esaminiamo il brano

15,26 – «Paráclito»: gr. paráklētos, termine giovanneo che non deriva da paráklesis: «consolazione»; è un termine giuridico che designa colui che è «chiamato accanto» (klētos = chiamato e para = vicino) ad un accusato per difenderlo e aiutarlo (lat. ad-vocatus). In 1 Gv 2,1 lo stesso titolo viene attribuito a Cristo Risorto: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto». Per l’ambiente giudaico, in cui era sconosciuta la figura dell’avvocato in giudizio, si dovrebbe parlare piuttosto di «testimone».

Il Paraclito, venendo sui discepoli, svolgerà la sua missione a favore di Gesù, rendendogli testimonianza: egli infatti orienta la sua funzione verso il Cristo che èla Verità personificata. Per tale ragione si chiama anche Spirito della verità, «verità»: il vocabolo greco èalḗtheia che letteralmente significa “svelare qualcosa di nascosto”, “ciò che non è più nascosto”. Il termine ha avuto un rilievo altissimo nella ricerca filosofica greca ove indicava appunto la scoperta dell’essere profondo insito nella realtà.

Per comprendere questa dichiarazione di Gesù, più che il senso “greco” e filosofico, si deve guardare alle matrici bibliche degli scrittori sacri. Nel linguaggio dell’AT la “verità” èmolto meno ideologica e più esistenziale; essa indica la fedeltà, l’amore di Dio, la sua salvezza.

La “verità” di Gesù è la sua parola, il suo evangelo, la sua opera di salvezza, la sua persona.

v. 27 – «mi renderete testimonianza»: la testimonianza divina è posta in parallelo con quella degli apostoli, con una leggera colorazione di opposizione a motivo della particella avversativa però («»), «perché siete stati con me fin dal principio»: il fondamento della testimonianza non è una conoscenza mistica, ma l’esperienza storica di Gesù, fin dall’inizio del suo ministero. Per l’importanza di ciò nella Chiesa primitiva si legga in At 1,21-23 come avvenne la sostituzione di Giuda: «21Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, 22cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione.23Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia».

16,12 – «per il momento non siete capaci di portarne il peso»: i discepoli non possono comprendere se non dopo la Resurrezione e la venuta del Paráclito.

v. 13 – «vi guiderà alla verità tutta intera»: la missione del Paráclito presso i discepoli è parallela a quella di Gesù». Anche lui è maestro e guida. L’ambito della guida è però la rivelazione di Gesù: non è un’altra verità che viene a rivelare, ma la stessa rivelazione di Gesù, pienamente compresa.

«non parlerà da sé, ma dirà ciò che avrà udito»: Gesù definisce allo stesso modo la sua rivelazione nei confronti del Padre:

  • «Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza» (3,32);
  • «Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (5,30). Qui però non è identificata la persona da cui sente, ma non ha grande importanza perché il Padre e il Figlio «sono uno».

«vi annunzierà le cose future»: il verbo usato «annunzierà» (anangéllō) proviene dalla tradizione apocalittica dove indica l’interpretazione delle visioni o la rivelazione dei misteri (cfr. Dn 2,2.4.7.9). In questo senso lo Spirito non rivelerebbe qualcosa di nuovo, ma interpreterebbe la rivelazione storica di Gesù, in relazione al futuro escatologico. Lo Spirito espleterà questa funzione mediante gli apostoli, che avranno una missione particolare nei riguardi della rivelazione storica di Gesù in quanto furono testimoni fin dall’inizio. Anche Paolo, da questo punto di vista, si considera «apostolo» in quanto testimone diretto del «Signore risorto» (cfr. 1 Cor 15,8; leggi Gal 1,11-17.2,7-9). Non solo mediante gli apostoli, ma anche nella vita della Chiesa lo Spirito espleterà la sua missione di verità mediante la guida nell’interpretare la rivelazione di Gesù in relazione al futuro e al futuro ultimo.

Lo Spirito Santo agisce profondamente nel cuore dei credenti. La sequenza di oggi è una grande, continua e articolata epiclesi rivolta allo Spirito Santo per la sua venuta, rievocando non solo i suoi titoli divini ma soprattutto le sue operazioni trasformanti nelle anime dei fedeli.

L’uomo però ha il dovere di collaborare, di essere docile all’azione dello Spirito, perché può sempre opporre resistenza all’opera di questo artista divino. Quanto Stefano disse dei giudei, può valere anche per tanti cristiani: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi» (At 7,51).

La collaborazione del credente all’azione dello Spirito è indispensabile e consiste nella docilità, nel lasciarsi guidare da questa persona divina verso il cuore della rivelazione di Gesù. E a proposito del ruolo dello Spirito ecco cosa scrive Paolo in Rm 8,26-27: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio».

vv. 14-15 – Questi ultimi vv. sottolineano l’unità totale che esiste tra Padre e Figlio. La rivelazione è dunque perfettamente una: avendo origine nel Padre e realizzandosi per mezzo del Figlio, si compie nello Spirito, per la gloria del Figlio e del Padre.

Per questo nella preghiera di colletta invochiamo il Padre affinchè il dono di oggi nei suoi effetti vivificanti discenda ancora nel cuore dei fedeli, nel nostro cuore, e si prolunghi.

Colletta

O Padre, che nel mistero della Pentecoste

santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,

diffondi sino ai confini della terra

i doni dello Spirito Santo,

e continua oggi,

nella comunità dei credenti,

i prodigi che hai operato

agli inizi della predicazione del Vangelo.

Per il nostro Signore…

Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano

don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 19 Maggio 2024

I cavalli da corsa non si allenano sul tapis-roulant

Come dicono in giro, pensò Pietro vedendo gonfiarsi le tende della stanza: “Alla fine è sempre all’improvviso”. Arrivò all’improvviso, pur avendo avvisato in anticipo che non avrebbero avuto nessuna ragione per restare con il muso che grattava terra dall’afflizione: “Non vi lascerò per strada: sarò con voi tutti i giorni fino a che il mondo non crollerà!” aveva ridetto in ogni lingua del mondo.

Loro, però, non ci credettero granchè: va anche detto, a loro discolpa, ch’era alquanto arduo pensare dove avrebbero potuto trovare forza per trasformare in strade le pietre che avrebbero gettato loro addosso. Nessuno, solo ripensando a come erano ridotti una cinquantina di giorni fa – fuggiaschi e debolucci – avrebbe mai immaginato di vederli sfidare le graticole, le sassaiole, le contestazioni pur di non tacere la bellezza di aver incontrato la Bellezza.

Eppure, eccoli qui! I pavidi fuggiaschi del Venerdì Santo diventano gli intrepidi corridori della Domenica di Pentecoste: tutti fuori (dal cenacolo), per strada, coi capelli spettinati dal vento che soffia gagliardo, libero, inarrestabile. Li prende per i capelli e dolcemente – ch’è un modo di fare bellissimo – fa prendere il domicilio sulla strada: la strada e il vento, il nuovo miscuglio di una Chiesa ch’è sul punto di (ri)nascere. In eterno.

Li aveva chiamati cucendo una sequela su misura, come una sarta nel suo atelier. Andrea e Giovanni, discepoli del Battista che sanno già un po’ di teoria, li invita ad entrare in casa sua; con Pietro, invece, valorizza quel che lui sa fare alla grande, pescare, proponendogli il cambio d’uso del mestiere: “Basta pesci, che così fanno tutti, Pierino: proviamo con gli uomini noi”.

A Filippo, un tipo che non opponeva resistenza, gli parlò con semplicità e fece breccia all’istante. A Natanaele, invece, ci arrivò infilandosi come un palombaro nella sua curiosità senza sotterfugi, pizzicata sotto un fico. E così, via dicendo, giù giù fino a me che, stupito dal vento del suo amore che spinge in strada, mi sento rinfacciare la sua litania testarda e trionfatrice: “Ognuno fa il fuoco con la legna che ha!” Venuti al mondo come pezzi unici di artigianato, il trambusto di Pentecoste altro non fa che cristallizzare questa unicità in eterno.

Se li terrà vicini, che imparino l’arte e la mettano da parte. Di mandarli in qualche scuola specializzata non ci pensò mai: condannare un genio alla fatica della scuola è mettere un cavallo da corsa su un tapis-roulant. Vento in faccia e pedalare! Nessun inciampo sarà mai ragione sufficiente per scaricarli agli occhi del mondo. Dopo la santità, sognerà di vedere in loro la genialità: abitati dallo Spirito, avranno il genio di vedere dieci cose dove l’uomo comune ne vedrà una. E l’uomo di talento, forse, due.

S’accorgeranno di fare cose che nemmeno vaneggiavano. Di vedere cose inimmaginabili: «Lo Spirito della Verità vi guiderà a tutta la verità, perchè non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito, vi annuncerà le cose future» (cfr Gv 15,26-27;16,12-15). Ritradotto: “Diventerai un genio, fidati: un uomo che compirà in modo superlativo e senza sforzi qualcosa che molti non riescono a fare neanche col massimo impegno”.

Con il senno di poi, il progetto iniziale del Cristo era tra i migliori: aveva calcolato delle modifiche strada facendo. E, modificandone la forma, lasciò immutata la sostanza: “Io ho scelto voi, non viceversa: nessuno si azzardi a cambiare l’ordine degli addendi, perchè il risultato non sarà lo stesso come nella matematica”.

Quando apriranno bocca, questi geni impreparatissimi, il mondo si stupirà di quel che udrà coi suoi orecchi: i pensieri che il mondo aveva rifiutato, ritorneranno con una maestà evidente, alienante. Pure loro, i vecchi galoppini dal cuore allegro, muteranno alla grande l’impressione che il mondo avrà di loro: invece di dire ciò che la gente pensa, inviteranno a pensare in maniera diversa. Il pubblico sarà sempre tollerante: perdonerà tutto, eccetto il genio.

Per questo i geni hanno le biografie più brevi. Resteranno in equilibrio sui bordi dell’impossibile: a spingerli sarà l’ossessione che non sia mai abbastanza.

Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte

Il Salmo Responsoriale di domenica 19 Maggio 2024 (con musica) – Sal 103

Dal Sal 103 (104)

R. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Oppure: 
R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature. R.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. R.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. R.

Link al video
Link al video di Koinonia Biella

Card. Angelo Comastri – Commento al Vangelo del 19 Maggio 2024

Omelia a cura del Card. Angelo Comastri – Vicario Emerito di Sua Santità per la Città del Vaticano – Arciprete Emerito della Basilica Papale di San Pietro, tratta dal libro “Gridiamo il Vangelo, Anno B“.

don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 19 Maggio 2024

Pentecoste con un click

Quale linguaggio per una vera fraternità umana?

Disegno di don Giovanni Berti - Pentecoste 2024

Questo interrogativo è stato il cuore dell’incontro al quale ho partecipato la scorsa settimana a Roma, in Vaticano, durante il Meeting Mondiale sulla Fraternità Umana. È stato un incontro che ha coinvolto centinaia di persone, tra cui diversi premi Nobel, organizzato dalla Fondazione Fratelli Tutti. Ci siamo ritrovati in tanti per rilanciare il messaggio dell’Enciclica del 2020 di Papa Francesco “Fratelli tutti”, sulla fratellanza umana in un mondo che ha tantissima fame di fraternità e di pace.

Il tavolo a cui sono stato invitato io era quello dei nuovi linguaggi mediatici, quelli dei social, e la domanda di partenza in linea con quella degli altri tavoli, era: “quale contributo possono dare i social media per favorire la fratellanza umana?”

Facebook, Instagram, TikTok e… altri ancora che personalmente non conosco o che ancora non ci sono, sono tutte piattaforme quelle quali, attraverso la rete internet, gira la comunicazione mediatica. Il mondo si è davvero ristretto e velocizzato, e alle porte del nostro computer o dispositivo mobile abbiamo tutti i popoli.

È un po’ come quel giorno di Pentecoste di duemila anni fa, quando alle porte del Cenacolo dove sono radunati, anzi nascosti, i discepoli, c’è tutto il mondo.

C’è solamente una porta che divide i discepoli dal mondo, con tutte le lingue gli usi e costumi diversi. Sono tutti a portata di una porta, che però è chiusa dall’interno.

Ma basta un colpo di vento, quello dello Spirito Santo, e la porta si spalanca. Con una forza che scalda il cuore, i discepoli diventano capaci di parlare di Dio a tutti. Il prodigio non è che tutti parlano la stessa lingua, non è che tutti improvvisamente fanno le stesse cose e diventano fotocopie. Il prodigio del giorno di Pentecoste è che il messaggio del Vangelo diventa comprensibile a tutti, parla tutte le lingue, tutte le culture.

Nel giorno di Pentecoste i discepoli da paurosi in difesa, diventano coraggiosi comunicatori. Il vento dell’amore di Dio li spinge fuori e gonfia le vele del loro cuore. Le lingue di fuoco accendono le loro lingue e, non si sa come, ma tutti li capiscono quando parlano di Gesù. È a Pentecoste che nasce la Chiesa, ma non come spesso la intendiamo oggi, cioè un’istituzione in perenne difesa delle tradizioni, ma come amplificatore sempre nuovo della voce di Gesù, capace di rinnovarsi e uscire dagli schemi, perché l’unico schema è il Vangelo.

A Pentecoste nasce la Chiesa che crede sia sempre possibile costruire una fratellanza universale, e di questa fratellanza si mette a servizio, in tutti i modi.

Nel Meeting vaticano, al tavolo della comunicazione social, ho visto questo spirito in tanti giovani e meno giovani che nella grande rete internet si occupano di Vangelo e fratellanza umana.

Bisogna riconoscere che la comunicazione in rete spesso amplifica notizie false e superficialità, amplifica odio e divisione, amplifica l’ego che porta a scontri tra persone e interi gruppi umani. Ma in questa capacità di velocizzare e amplificare, la Rete può anche fare molto per diffondere parole, immagini e testimonianze di pace, di incontro, di dialogo, di servizio agli ultimi. Quando fa dialogare lingue diverse e culture diverse, la Rete amplifica il movimento iniziato il giorno di Pentecoste.

Quale è il linguaggio per una vera fraternità umana? Noi cristiani crediamo che sia quello del Vangelo, quello delle parole e gesti di Gesù. E allora cerchiamo tutti i modi per poterlo diffondere. E lo possiamo fare anche con un click sul computer o con un semplice tocco sullo smartphone.

Se quello che diciamo e scriviamo aumenta la fraternità, allora possiamo dire con certezza che li è sceso anche oggi lo Spirito Santo.

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)

don Vincenzo Marinelli – Commento al Vangelo del 18 Maggio 2024

“A te che importa? Tu seguimi”

Gesù dà a Pietro una risposta molto secca. Forse brusca, ma necessaria. A volte infatti ci capita di metterci nei panni degli altri e questo non è salutare per la nostra serenità e per le nostre scelte.

Gesù impone a Pietro di non indugiare nell’occuparsi del cammino degli altri, delle loro prove, dei loro tempi o di ciò che a loro è offerto o richiesto. Occorre rimanere concentrati sul proprio cammino con Gesù.

Cosa chiede a te Gesù in questo momento della tua vita? Quale sforzo o quale passaggio di conversione sei chiamato a realizzare? A volte abbiamo la tentazione di sfuggire alle difficoltà del nostro cammino o guardando gli altri, o rimpiangendo il passato o “disprezzando” il futuro.

Gesù invita a mantenere lo sguardo sul presente, sulle prove del momento. È solo per queste che abbiamo la Sua grazia per continuare il nostro cammino.

In breve

Quando seguire Gesù si fa difficile e richiede un grande sforzo, si presentano numerose distrazioni e motivazioni che ti possono portare a rinunciare e desistere. Ma Gesù ti chiede di non guardare ad altri o altrove. Rimani lì, dove Gesù ti chiede di seguirlo.

Di don Vincenzo Marinelli anche i libretti de La Buona Novella per Avvento-Natale, Quaresima e Tempo Pasquale disponibili su: AMAZON | IBS e su https://www.cognitoforms.com/LaBuonaNovella1/libri

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