NON SERVONO LE PAROLE
I. Gli uomini danno grande importanza alle parole; Dio, invece, guarda ai fatti. Le parole possono essere belle, corrette, perfino religiose, ma spesso sono fragili, contraddittorie, talvolta persino false.
È così anche nella parabola: un figlio dice “no” e poi va; l’altro dice “sì” e poi non va. Gesù non giudica le loro risposte, ma ciò che hanno fatto davvero.
Per Dio non conta tanto ciò che promettiamo, ma ciò che realmente compiamo.
II. Nel giudizio finale Gesù non dirà: “Avevi detto che avresti aiutato”, ma: “Hai dato da mangiare? Hai visitato? Hai soccorso?”.
Non sarà salvato chi ha parlato bene, ma chi ha amato davvero. Anche Gesù stesso, alle nozze di Cana, inizialmente risponde a Maria con un “no”: “Non è ancora giunta la mia ora”.
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Eppure, alla fine, fa esattamente ciò che la madre gli ha chiesto. Non perché abbia cambiato idea con leggerezza, ma perché l’amore si traduce sempre in azione.
III. Allora possiamo anche sbagliare parole, reagire male, rispondere in modo imperfetto o contraddittorio a Dio. Ciò che conta, alla fine, è se avremo fatto la sua volontà.
Non se avremo detto di volerla fare, ma se l’avremo fatta davvero. Dio non è scandalizzato dalle nostre esitazioni; è ferito solo dall’immobilità.
Meglio un “no” che diventa obbedienza, che un “sì” che resta vuoto. L’Avvento è proprio questo: il tempo in cui le parole lasciano spazio ai fatti.
