p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 22 Novembre 2020

Una domanda sorge spontanea dopo questo brano: ma noi dobbiamo amare il prossimo perché è tale o lo dobbiamo amare perché in controluce, in fondo, vediamo che amiamo Dio? E ancora: ma amare il prossimo è un valore in sé finito oppure dobbiamo avere presente un valore più grande che è dato dalla presenza e dall’immagine di Dio?

È bello cogliere il fatto che una persona ha valore in se stessa ed è amabile di per sé!

Nel brano di quest’oggi l’importanza di questo viene ribadito più volte. Come viene ribadita l’assoluta assenza di coscienza da parte sia di coloro che amano il prossimo come da parte di coloro che non lo amano, riguardo al fatto che dietro l’affamato ci sia Cristo. Non lo sanno e non gli è mai passato per l’anticamera del cervello che questo potesse essere una realtà.

Certo questo brano insegna a noi una coscienza importante nel rivolgerci ai fratelli, ma quale è questa realtà che vuole insegnarci?

Ci vuole mostrare come il giudizio sarà basato sull’amore concreto che noi avremo espresso agli altri, ai fratelli.

Un fratello che va amato per quello che è, per se stesso. Non possiamo prendere in giro gli altri dicendo che ti voglio bene ma per finta, perché in realtà voglio bene a Dio, tu sei solo uno strumento per arrivare a Dio, il mio amore ti usa ma non ti prende in considerazione perché io voglio prendere in considerazione Dio. Non sarebbe voler bene, ma sarebbe usare l’altro. Senz’altro questo atteggiamento falserebbe l’amore che risulterebbe essere solo un egoismo travestito da altruismo.

Non possiamo neppure amare l’altro perché così ci conquistiamo il paradiso. Ricadremmo nello stesso errore di utilizzo dell’altro per un nostro scopo e in più metteremmo in un angolo Dio, il Cristo morto e risorto per la nostra salvezza, dicendo che io mi salvo con le mie mani, non ho bisogno di nessuno, non ho bisogno di Dio che relego al massimo ad una funzione di contabile: lui deve solo tirare le somme della mia bontà e della cattiveria degli altri.

Ma anche Dio non è escluso da questo gioco d’amore, anzi è al centro di questo gioco. Dio è il centro di questo gioco d’amore perché lui è la fonte di questo amore: senza il dono del suo amore misericordioso e gratuito troppe situazioni rimarrebbero senza una realtà amante. Vi sono troppe situazioni e persone che non riusciamo a raggiungere con il nostro amore e che non riusciamo ad amare col nostro amore limitato. Solo facendo riferimento al Crocifisso noi possiamo sperare di allargare i confini della nostra capacità di amare.

Inoltre Dio Padre col suo amore ci rende fratelli: per quanto noi come fratelli ci odiamo, il suo amore paterno ci rende sempre e comunque fratelli.

Il Padre attraverso il Figlio e con l’azione dello Spirito inabita in ognuno di noi, siamo creati a sua immagine e somiglianza. Entra talmente in noi da diventare una entità unica in noi; ci chiede di entrare talmente in profondità nella vita Trinitaria da divenire anche noi Trinità. Siamo chiamati a diventare Dio amando, non però come Adamo che voleva appropriarsi di questa divinità di Dio, ma come figli che accolgono questa divinità come dono.

Questo significa che nel momento in cui noi siamo amati da qualcuno o amiamo qualcuno, l’altro ama Dio in noi e noi amiamo Dio in lui, non essendo usati e non usando l’altro per arrivare a Dio, ma trovando Dio nell’altro. Nel momento stesso in cui noi odiamo qualcuno o qualcuno ci odia, noi odiamo Dio e Dio è odiato in noi.

Noi in fondo ci realizziamo come figli vivendo da fratelli.

Per quanto un fratello sia piccolo e debole noi lo dobbiamo amare così come è e siamo invitati ad amarlo perché nostro fratello, figlio dello stesso Padre. E siamo chiamati ad amarlo perché nella sua debolezza l’amore di un Padre si esalta, come si esalta l’amore di un Padre e di una Madre nei confronti di un figlio debole, affamato, assetato, nudo, prigioniero, straniero, malato.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM

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