p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 22 Giugno 2023

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Nelle relazioni formali è facile sprecare parole. Nelle relazioni formali a livello economico o a livello di affari è facile credere che insistere continuando a ripetere il tormentone che uno ha in testa, serva per ottenere qualcosa in più.

A livello di relazioni politiche la cosa più importante non è quello che si dice ma rimanere il più a lungo possibile davanti agli schermi, essere riportati continuamente sui giornali, essere citati continuamente alla radio. Non interessa quello che si dice, l’importante è occupare spazi sempre più ampi, anche spazi che non c’entrano nulla con la politica, spazi di sport magari, ma comunque esserci.

Può essere importante essere i primi che parlano, essere coloro che continuamente richiamano la propria idea non lasciandosi mai influenzare dall’idea dell’altro, essere coloro che parlano per primi e coloro che vogliono avere l’ultima parola. Ma tutto questo in una relazione d’amore non ha senso. Tutto questo noi rischiamo di trasportarlo nell’ambito di relazioni d’amore, di relazioni familiari, nell’ambito di relazioni con Dio. Aumentare parole per fare capire all’altro, per convincere l’Altro delle nostre idee e delle nostre convinzioni.

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Il Signore ci chiede oggi di non essere come i pagani, di non essere come coloro che non hanno fede, di non essere come coloro che non credono all’amore, di non essere come coloro che credono solo ai propri interessi personali e nazionali. Il Signore ci chiede di essere persone che credono al Padre, che amano il Padre e che da lui si lasciano amare e perdonare.

Il Signore sa che il linguaggio dell’amore è dato anche dal silenzio, dalla capacità e coraggio di guardarsi semplicemente negli occhi. La preghiera ci dovrebbe portare in una dimensione che vada oltre il banale e il visibile per cogliere un affetto e un sentimento che si vede e si sente con il cuore più che con i sensi esterni.

La relazione di silenzio dovrebbe spingerci ad una profondità e dovrebbero scaturire da una profondità di rapporto e di pensiero e di affetto, irraggiungibile dalle chiacchiere per convincere chissà chi.

Quasi quasi due che hanno un rapporto profondo potrebbero fare a meno di parlarsi, non c’è paura di perdere l’altro ma i due sono uno nell’altro e stop, serenamente e fiduciosamente abbracciati l’uno all’altro pur nella lontananza. Completamente lasciati andare nelle braccia del Padre nostro che è nei cieli, che è Dio. Fiduciosi che lui ci butta in alto per la nostra gioia, come si butta in alto un bambino che risponde con un sorriso. Ecco l’amore: un sorriso che dice tutto, che dice Padre, che dice affetto e fiducia, che dice abbandono e relazione.

Se vogliamo pregare Dio siamo chiamati a sentirci bene accanto a lui in silenzio. Non si tratta di sforzarci, si tratta di gustare la bellezza dell’esserci.

È riscoprire il gusto dell’amare, il gusto dello stare accanto, il gusto del silenzio, il gusto del bacio dato e ricevuto, il gusto di chiamarlo col nome di Padre, il gusto di lasciarci abbracciare quando torniamo a lui penitenti, il gusto di lasciarci portare alla sua guancia, il gusto di lasciarci cercare, trovare e caricare sulle spalle come la pecorella smarrita. Pregare è trovare il gusto di sederci ai suoi piedi senza tante chiacchiere, di piangere bagnandogli i piedi, di asciugarli con i propri capelli, di baciarli con le proprie labbra, di accarezzarli e di ungerli con unguenti profumati.

È la sintesi di chiamarlo Padre che si esprime in gestualità di attenzioni più che in chiacchiere il più delle volte vuote.

O Signore manda a noi il tuo Spirito perché ci insegni a pregare e gridando dentro di noi ci faccia dire con tutta la forza del suo amore: Abbà, Padre!

Ripetiamolo continuamente dentro di noi in questa giornata.

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