p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 19 Marzo 2021

È chi dà il nome il vero padre, non altri. Giuseppe della stirpe di Davide, non Maria, assicura che Gesù Cristo, il Messia, è discendenza di Davide e dunque Messia. Da Betlemme Lui viene, non da Nazareth come pensavano i malinformati, perché da lì viene la stirpe di Davide ed è lì che ritornano Giuseppe, Maria e Gesù, per partecipare al censimento secondo il comando dell’imperatore.

Il padre è chi è padre e diventa padre giorno dopo giorno dando forma al nome che ha donato e confermato la sua paternità con l’esserci.

Giuseppe è il vero padre che dona il nome a Gesù e che, giorno dopo giorno, conferma la sua paternità grazie alla sua presenza fedele, attenta e premurosa.

È bello riandare con la memoria alla nostra esistenza per ricordare che tutto è attesa, attesa dell’accadere di Dio, grazie ai fratelli e alle sorelle. È memoria che oggi si fa memoriale, vale a dire messa celebrata sulle strade della nostra esistenza, con lo sguardo che oltrepassa gli schemi, i muri, le tradizioni, il buon senso, il “ma abbiamo sempre fatto così”. Solo così vedremo il Figlio a noi donato oggi. Solo così smetteremo di volere generare e ci lasceremo generare accogliendo quel Figlio che a noi è dato.

Giuseppe, di cui oggi celebriamo la festa del suo esserci e del suo essere padre, compie ogni paternità accogliendo il suo divenire padre. Il generare, aperto in avanti e all’indietro, si incontra con Maria il cui grembo accoglie la vita donandola al mondo.

Quante cose abbiamo in animo, quanti pensieri passano per la nostra testa. Quanto rimuginare giorno e notte di fronte ad un problema o ad una eventualità. A volte sembra che i pensieri ci travolgano come una grande massa schiacciati sotto di essa.

Ai pensieri si aggiunge l’ansia e l’incertezza e noi sembriamo paralizzati. Non riusciamo più a pensare lucidamente pur essendo immersi in una marea ossessiva di pensieri. Non riusciamo più ad ascoltarci pur sentendo continuamente l’ansia spingerci all’angolo da cui non riusciamo ad uscirne.

La nostra capacità di discernimento è preda di qualcosa di più grande e non riusciamo più neppure a sognare, semplicemente siamo assaliti dagli incubi. Non riusciamo a quietarci: il problema sembra si ingrandisca sempre più.  Riusciamo a trovare delle scappatoie che però non ci soddisfano e ci lasciano nella totale insicurezza. Quando riusciamo a dire basta a tutta questa alta marea allora uno spiraglio di luce può fare capolino in noi.

Normalmente non sono grandi cose, non sono grandi soluzioni, ma possono essere un inizio di un modo diverso di affrontare le cose.

Riuscire a dire basta significa ricominciare a riprendere in mano le redini che ci erano sfuggite di mano. Dire basta significa fare un passo perché il cavallo imbizzarrito che è in noi cominci a ritornare a ritmi più umani. Dire basta significa cominciare ad aprire uno spiraglio di luce che può penetrare da una porta che ricomincia ad aprirsi.

Quando diciamo basta la vita e Dio ricominciano a consegnare i loro doni. Doni che ci indicano vie nuove, doni che ci fanno intuire il sole oltre le nuvole in una stagione di piogge. Doni che provengono dal profondo di noi stessi, doni che riemergono come sogni nel momento in cui lasciamo andare le nostre difese, nel momento, appunto, in cui dormiamo. Dire basta significa ricominciare a non fidarci più delle nostre rigidità e riprendere a camminare aprendoci di nuovo alla vita. Dire basta significa dismettere quell’armatura che ci siamo costruiti addosso per difenderci e che non ci permette più di camminare, tanto è pesante e rigida. Dire basta significa ritornare a fidarci della vita e di Dio.

Non sono io col rimugino dei miei pensieri che posso giungere a cogliere una soluzione ma è l’ascolto della vita stessa e di Dio che mi può fare intuire strade nuove. Il vortice dei miei pensieri che uso per difendermi come una corazza, cercando una soluzione che mi salvi, non mi porta molto lontano. Il fermarmi e il liberarmi da pensieri vorticosi mi porta a navigare su di un fiume più tranquillo che all’apparenza sembra non corrisponda all’emergenza che la vita mi chiede. Ma è il tranquillo e sonnolento naufragare che ci riporta a dimensioni più umane, più vere e più comprensibili.

Abbandonando l’illusoria sicurezza della corazza dei nostri pensieri e sentimenti vorticanti, possiamo ritornare a comprendere, possiamo ritornare a sognare, possiamo ritornare ad ascoltare, possiamo ritornare a vedere. A quel punto l’angelo ci appare in sogno e noi vediamo, vediamo di nuovo la vita, vediamo di nuovo con gli occhi di Dio e sentiamo di nuovo con un cuore che batte in modo vero.

Si ritorna ad amare e si ritorna ad incarnarci in quel quotidiano dove il Dio con noi ci accompagna facendoci da compagno di viaggio. Forse all’inizio abbiamo il volto triste, ma il compagno di viaggio che ci parla di Buona Notizia, ci riapre il cuore e ci riporta a sentire che il cuore arde dentro di noi. Ci accorgiamo di essere ancora vivi e ci lasciamo trasportare da questa vita che rinasce in noi. Non ci interessano più i risultati, per questo abbandoniamo il vortice di pensieri inconcludenti a cui siamo così attaccati: ci lasciamo portare da quel fiume di grazia che ci abbraccia e che ci ama infinitamente.

È il Dio con noi che ci fa riscoprire la nostra capacità di paternità, quella vera. Lo vediamo accanto a noi e con Giuseppe ritorniamo a vivere e a prendere Maria che concepirà per noi un figlio, lo darà alla luce e lo chiamerà Gesù, Dio con noi.

Avremo in questo modo risolto i nostri problemi? Non lo so, di certo saremo di nuovo ritornati a vivere giocandoci con gioia e con passione non più schiavi della illusione.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM

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