p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 12 Novembre 2019

La mentalità contrattuale nelle relazioni è mentalità perbenista che uccide la relazione. Questa mentalità porta sempre ad un risultato: io sono a posto gli altri no. Realtà che magari è vera ma che noi viviamo in modo irreale, come strumento di condanna e non come luogo di relazione come è per Gesù. Noi vediamo ma usiamo quanto vediamo per puntare il dito mettendoci fuori da ogni servizio e da ogni gratuità, facciamo i fratelli maggiori, non i Padri misericordiosi.

Se aveste fede quanto un seme, voi che chiedete la fede, direste a questo gelso, che è la nostra mania di essere importanti e di essere al centro, sradicati e vai a gettarti nel mare. Noi che vogliamo essere serviti se la nostra fede cresce scopriremo la bellezza e la libertà di essere servi.

Il cristiano non è nulla di perfetto, non è colui che non è peccato, il cristiano è semplicemente colui che capisce di avere peccato e di essere peccato. Soprattutto quando non serve più e pretende di essere pagato per tutto quello che ha fatto.

La fede che ci permette di sradicare il gelso della pretesa di essere pagati per quanto fatto, è amore di Dio in noi. Questo amore ci instrada sulla via del sapere di avere peccato e di essere graziati, riempiti di grazia, nel peccato. Lo scandalo è negare il peccato e l’amore di Dio, perché è negazione della misericordia del Padre e della sua accettazione. Aumenta la nostra fede, perché non sappiamo vivere il perdono, vivere così, vivere di misericordia. Senza questa vita di fede, che è cosa concreta come possiamo oramai comprendere, non c’è né servizio né gratuità. Il popolo cristiano è gente che vive la realtà di questo mondo di scandalo e peccato, con accettazione di perdono che è aumento di fede nella concretezza delle relazioni. Aumento di fede è crescita della conoscenza di cuore della Madre per cogliere la bellezza del non dominare gli altri servendo in gratuità, non per guadagno. Quel guadagno che noi ci aspettiamo spesso, per non dire sempre, che assume il volto della riconoscenza, del riconoscere che io ho fatto e che io sono buono.

Vivere in tal modo è vivere la vita come aratura e pascolo: arare il campo del Regno, seminare la propria vita perché morendo possa portare frutto, far crescere il grano della Parola, fare il pastore che va alla ricerca della pecora perduta, fare la madre che spazza la casa alla ricerca della moneta smarrita. Questo è quanto fa Gesù, questo è quanto siamo chiamati a fare noi, questo è quanto fa Papa Francesco non chiedendo obbedienze ma vivendo l’obbedienza alla fede che è servizio e dono senza pretendere nulla e senza seminare scomuniche di ogni genere, cosa che molti dei suoi predecessori avrebbero già fatto a piene mani.

Gesù dopo avere arato il campo e seminato il seme della Parola, nell’ultima cena, appena tornato dai pascoli, non chiede servizio ma si fa servizio divenendo cibo, divenendo pane, donando l’ultima cosa che gli era rimasta: il suo corpo e il suo sangue. Lui è semplicemente servo, per questo la sua morte diventerà via di risurrezione. La nostra morte quotidiana al lievito dei farisei, che è la mentalità contrattuale e perbenista, è via di risurrezione a vita nuova, all’accoglienza del lievito Madre che diventa dono di vita per i fratelli. Semplicemente a questo siamo chiamati, questa è vita di fede.

Il problema non è chi è il primo o chi è più bravo, il problema è divenire cibo di vita per il mondo. Il problema è avere fede, vale a dire essere sempre più servizio, cioè amore per l’altro, non essere padrone dell’altro e del mondo distruggendo la dignità dell’uno e le risorse dell’altro.

Io Sono in mezzo a voi come Colui che serve, dice Gesù nell’ultima cena, chiamandoci ad essere suoi discepoli. Essere servi non è una cosa che dobbiamo fare, è una bellezza che dobbiamo scoprire dove ci riveliamo all’altro per quello che siamo: siamo come l’Io Sono Colui che serve.

La bellezza dell’avere fatto tutto quello che ci è stato comandato sta proprio in questo: amarci gli uni gli altri scoprendo la bellezza del mettere la nostra vita al servizio degli altri, senza stipendio. Se ti aspetti lo stipendio tu ti fai simile a chi vorresti criticare, ti fai pagare e dunque ti prostituisci, negando l’amore.

Non possiamo confondere il volto del Figlio che dona se stesso per amore col volto di coloro che si proclamano farisaicamente bravi. Lui entra nel luogo dello scandalo e del peccato con amore, facendo in tal modo evolvere il luogo dello scandalo in luogo di perdono. Lì il seme della fede diventa amore infinito. Non mi interessa divenire come quelli che critico, mi interessa acquisire il volto del Cristo.

La fattoria degli animali di Orwell termina con gli animali che guardano dalla finestra gli uomini e i maiali che banchettano al loro potere sugli animali con una constatazione: “Non c’era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso degli animali. Le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due”. Che il nostro viso possa essere a immagine e somiglianza del Figlio Gesù e non di coloro che vivono del lievito dei farisei.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGIlc

Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17, 7-10

In quel tempo, Gesù disse:
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Parola del Signore

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