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p. Gaetano Piccolo S.I. – Commento al Vangelo di domenica 25 Febbraio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 1,12-15

Dentro la nube

Quando si percorre un sentiero di montagna, può capitare di ritrovarsi dentro una nuvola o in un banco di nebbia. A quel punto diventa difficile andare avanti, si perde ogni riferimento rispetto a quello che c’è intorno. Si avverte il pericolo, ci si sente soli, smarriti. Anche nella vita capita di attraversare la nube, quando non capiamo più dove ci sta portando Dio. Da soli non riusciamo ad avanzare, possiamo solo aspettare che il Signore ci tiri fuori.

Consegnare il futuro

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Anche Abramo forse si è sentito dentro una nube oscura quando il Signore gli ha chiesto di offrirgli il suo unico figlio. Quel Dio che Abramo ha imparato faticosamente a conoscere, ora diventa di nuovo incomprensibile. Era stato proprio il Signore a promettergli una discendenza, un figlio che non arrivava, la paura che quella promessa fosse solo un’illusione. Poi finalmente la promessa si realizza, il figlio arriva, c’è un futuro anche per Abramo. Ma adesso Dio chiede ad Abramo di consegnargli quel futuro, di sacrificare quel figlio. Come una volta gli era stato chiesto di lasciare il suo passato, cioè suo padre e la sua casa, adesso gli viene chiesto di restituire anche il suo futuro. Abramo entra nella nube ed obbedisce.

Rimettere ordine

Attraverso questo gesto di consegna, Abramo comprende che qualcosa si era confuso nel suo cuore: Moria diventa il luogo della purificazione degli affetti! Abramo si era progressivamente concentrato sul dono ricevuto, si era attaccato al suo futuro, aveva espropriato Dio, il donatore, dal suo cuore. Il figlio era diventato il centro della sua vita, spodestando Dio dalla sua centralità. Anche nella nostra vita, le cose buone come le relazioni, la missione, il servizio o il lavoro, possono diventare i nostri idoli, quando ne diventiamo schiavi, non vediamo altro e non percepiamo più le cose e le relazioni come uno strumento di lode e di gratitudine per Dio.

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Abitare il mistero

Questo gesto di consegna del figlio, cioè l’espropriazione più radicale per un padre, è un gesto divino. È infatti quello che fa il Padre che ci consegna il Figlio. Il territorio di Moria è infatti identificato con il Calvario. Il gesto di Abramo è prefigurazione del gesto di Dio. Anche nel Vangelo di Marco infatti troviamo una nube, perché questa generosità infinita di Dio è per noi altrettanto incomprensibile. Anche noi siamo chiamati ad entrare in questa nube. Abitando il mistero, ascoltiamo la voce del Padre, che ci dice l’unica cosa che conta: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».

Al di là dell’apparenza

Come sul monte Dio si rivela ad Abramo come colui che desidera stare al centro del nostro cuore, così sul monte Gesù rivela la sua divinità al di là dell’apparenza: si trans-figura, si rivela al di là dell’immagine. Dietro l’apparenza di vicende incomprensibili, talvolta oggettivamente dolorose, dietro situazioni di ingiustizia o faticose, che facciamo fatica a comprendere, Dio si rivela, ci mostra la sua misteriosa presenza. La nube indica quelle situazioni che più che incomprensibili, sono mistero, un mistero che, se abitato, ci fa sentire la voce del Padre.

La Parola illumina

Nella nube puoi riconoscere la voce del Padre, se ascolti la sua Parola. Gesù infatti dialoga con Mosè ed Elia, il primo era considerato l’autore della Legge, cioè dei primi libri della Sacra Scrittura, il secondo è il profeta per eccellenza. Nel Vangelo, sentiamo infatti spesso questa espressione, la Legge e i profeti, per indicare tutta la Parola di Dio. Quella Parola ci aiuta a riconoscere la presenza del Signore anche dentro la nube. Mosè ed Elia sono inoltre i due personaggi, il cui ritorno avrebbe indicato la presenza del Messia.

Senza possedere

Quando riusciamo a sentire la presenza di Dio dentro le vicende faticose della vita, il nostro desiderio è esattamente quello di Pietro, vorremmo che quel momento non finisse mai, vorremmo fare delle capanne per rimanere lì per sempre. Gesù invece chiede a Pietro di fidarsi, perché quella consolazione è un dono e non può essere trattenuta. Il Signore tornerà a consolarci, non abbiamo bisogno di cercare inutilmente di impossessarci della presenza di Dio. Al contrario, l’esperienza della consolazione va annunciata: Pietro e i discepoli sono invitati a scendere per portare nella vita, sebbene nel silenzio, la loro esperienza.

Leggersi dentro

  • Come reagisci quando la vita ti porta attraverso nubi che non ti fanno vedere la via?
  • Cosa vuol dire per te oggi ascoltare il Figlio?

Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte

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