DUE GIOVANNI DALLA TESTA INCLINATA
Gv 20,2-8
Giovanni l’evangelista
è detto “il Teologo“
dai padri orientali.
Suo simbolo è l’aquila,
quella che vola sopra gli altri,
che va più in alto e più lontano.
Ciò che abbiamo udito e visto,
ciò che abbiamo toccato,
cioè il Verbo della vita,
questo vi annunciamo
(cf. 1Gv 1,1-3).
La fede è un’esperienza
e una relazione.
Non teorie, non pensieri,
ma un fatto.
È la narrazione di un evento,
il racconto di una storia
che li ha rovesciati tutti
come un guanto,
cambiando loro la vita.
Gesù non è venuto
a portare un nuovo sistema
di pensiero,
ma a far nascere il desiderio
di più intensa vita
alla mente, al cuore, allo spirito;
ai sensi e alle mani.
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Tu solo hai parole
che fanno viva
finalmente la vita (cf. Gv 6,68),
confesserà Pietro.
Vita è la parola che corre sotto tutte le altre parole della Bibbia.
«Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
La vita cristiana non è sacrificio, ma addizione, accrescimento,
intensificazione di vita.
Non chiede mortificazioni,
offre vivificazione:
più Dio in me equivale
a più io.
Più Vangelo in me
equivale a più umanità,
perché il Vangelo
contiene l’alfabeto della vita.
In avvento siamo accompagnati da Giovanni il Battista.
Dopo Natale
da Giovanni l’Evangelista.
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Giovanni del Giordano
e Giovanni del lago.
Giovanni delle acque e
Giovanni dell’inchiostro.
Quello con la testa
buttata sul piatto di Erodiade
e quello con il capo
posato sul petto di Gesù.
Giovanni è l’apostolo amato,
quello che Gesù amava.
Non è l’apostolo che ama di più.
Quello probabilmente è Pietro,
capace di sguainare la spada
per difendere Gesù,
capace di buttarsi nudo nel lago per raggiungere la riva,
dove ha intuito presente Gesù.
Giovanni invece
è oggetto dell’amore,
investito dell’amore
di preferenza di Cristo.
E ci indica l’importanza dell’amore passivo,
la bellezza, la potenza e
la forza del lasciarsi amare,
perché chi ti ama
ti lascia una forza unica.
Il lasciarsi amare
è carico di rivelazioni.
Arriva per primo
al «sepolcro vuoto»,
arriva per primo a capire
il significato della risurrezione.
Di lui, non di Pietro,
è detto che
vide e credette,
perché l’amore è sempre originale, è sempre speciale
e non ama il copia-incolla.
É Giovanni a inventare
la definizione più alta:
«Dio è amore»(1Gv 4,8).
E prima:
«Dio è luce» (1Gv 1,5).
Davanti al crocifisso,
o al presepio, si va
per lasciarci guardare
nella debolezza,
lasciarci guarire,
lasciarci amare.
Tutti siamo come Giovanni,
discepoli che lui ama,
e ciascuno è il prediletto di Dio.
Siamo i preferiti di Dio.
Per questo
tu lo puoi anche lasciare,
ma lui non ti lascerà mai.
Impariamo a lasciarci amare,
a sentire nel profondo
la melodia di una canzone
che dice:
e io avrò cura di te,
perché sei
un essere speciale.
Per gentile concessione di p. Ermes, fonte.
