p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 31 Luglio 2022

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Siamo ricchi solo di ciò che sappiamo condividere

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 31 luglio 2022

La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante: una doppia benedizione secondo la bibbia, eppure tutto è corroso da un tarlo micidiale. Ascolti la parabola e vedi che il fondale di quella storia è vuoto. L’uomo ricco è solo, chiuso nel cerchio murato del suo io, ossessionato dalla logica dell’accumulo, con un solo aggettivo nel suo vocabolario: “mio”, i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, la mia vita, anima mia.

Nessun altro personaggio che entri in scena, nessun nome, nessun volto, nessuno nella casa, nessuno alla porta, nessuno nel cuore. Vita desolatamente vuota, dalla quale perfino Dio è assente, sostituito dall’idolo dell’accumulo. Perché il ricco non ha mai abbastanza. Investe in magazzini e granai e non sa giocare al tavolo delle relazioni umane, sola garanzia di felicità. Ecco l’innesco del dramma: la totale solitudine.

L’accumulo è la sua idolatria. E gli idoli alla fine divorano i loro stessi devoti. Ingannandoli: “Anima mia hai molti beni per molti anni, divertiti e goditi la vita”. È forse questo, alla fin fine, l’errore che rovina tutto? Il voler godere la vita? No. Anche per il Vangelo è scontato che la vita umana sia, e non possa che essere un’incessante ricerca di felicità. Ma la sfida della felicità è che non può mai essere solitaria, ed ha sempre a che fare con il dono.

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L’uomo ricco è entrato nell’atrofia della vita, non ha più allenato i muscoli del dono e delle relazioni: Stolto, questa notte stessa… Stolto, perché vuoto di volti, vive soltanto un lungo morire Perché il cuore solitario si ammala; isolato, muore. Così si alleva la propria morte. Infatti: questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita…. Essere vivo domani non è un diritto, è un miracolo. Rivedere il sole e i volti cari al mattino, non è né ovvio né dovuto, è un regalo. E che domani i miliardi di cellule del mio corpo siano ancora tutte tra loro connesse, coordinate e solidali è un improbabile prodigio. […]

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ABBONDANZA SENZA NOME, SENZA ABBRACCI

Quel ricco si illude di avere in tasca la felicità, che invece dipende da due cose: non può essere solitaria e ha a che fare con il dono.

Un uomo ricco aveva a­vuto un raccolto ab­bondante. Quell’anno la sua campagna era stata generosa, ed egli ragionava tra sé: «Come faccio? Ho troppo! Demolirò i miei magazzini e ne ricostruirò di più grandi».

Scrive san Basilio: E poi cosa farai? Demolirai ancora e ancora ricostruirai? Con cura costruire, poi con cura demolire: cosa c’è di più insensato, di più inutile?

Demolire per ricostruire, è la logica delle guerre.

L’uomo senza nome si era avvicinato alla giusta intuizione: ho troppo. Ma poi la sua mente ha preso la strada sbagliata, che punta dritto in seno alla solitudine. Come i due fratelli da cui nasce la parabola, che avviano la contesa, il conflitto sulla base della proprietà. “Dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Gesù si rifiuta di fare l’arbitro, essere fratelli è un’altra cosa.

Un ricco si illude di avere in tasca la felicità, che invece dipende da due cose: non può essere solitaria e ha a che fare con il dono.

Non c’è nessuno attorno a quest’uomo. Nessun nome, nessun volto, nessuno nel­la casa, nessuno nel cuore. Solo in mezzo al deserto a ripetere ossessivamente un unico aggettivo: mio. Miei i raccolti, miei i magazzini, miei i beni, mia la vita, mia l’anima. Davvero la sua vita dipende dai suoi beni, ruota attorno ad essi.

Stregoneria dell’io, dove nessun altro esiste; nessun affetto che sia sincero.

Si vive così solo per abbracciare la propria solitudine, il denaro si è mangiato il nome e l’anima. Nessuno entra nel suo orizzonte senza aperture, senza brecce e senza abbracci. Con le sue scelte è già morto agli altri, e gli altri per lui.

Stolto, lo chiama Gesù, non per­ché cattivo, ma perché po­co intelligente. Ha investito sul prodotto sbagliato, sul possesso e non sulle persone. Stolto! Questa notte dovrai re­stituire la tua vita.

Tristezza che Gesù prova per ­l’uomo della parabola, la cui morte è solo il prolunga­mento di azioni senza saggezza. Morte che ha già fatto il nido nella sua casa, nel suo cuore indifferente.

Alla fine dei giorni, sulla colonna dell’avere troveremo solo ciò che abbiamo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare.

Vuoi vita piena, felicità vera? Non andare al mercato del­le cose, che promettono ciò che non possono mantenere. Sposta il tuo de­siderio su altro, desidera dell’altro, sogna un tempo dove l’evidenza non sia solo materiale. Gli unici beni da ac­cumulare per stare bene sono relazioni buone, libe­re e liberanti.

Allora, se non dai beni, da cosa dipende la vita? Da una triplice cura: della tua interiorità, delle persone accanto a te e della casa comune. Triplice cura da attingere dalla Sorgente che non verrà mai meno. Allora, più vivo di così non sarai mai.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK