p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 24 Aprile 2022

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Quell’invito del Risorto a superare le barriere

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 24 aprile 2022

I discepoli erano chiusi in casa per paura. Casa di buio e di paura, mentre fuori è primavera: e venne Gesù a porte chiuse. In mezzo ai suoi, come apertura, schema di aperture continue, passatore di chiusure e di frontiere, pellegrino dell’eternità. Come amo le porte aperte di Dio, brecce nei muri, buchi nella rete (F. Fiorillo), profezia di un mondo in rivolta per fame di umanità.

Venne Gesù e stette in mezzo a loro. Nel centro della loro paura, in mezzo a loro, non sopra di loro, non in alto, non davanti, ma al centro, perché tutti sono importanti allo stesso modo. Lui sta al centro della comunità, nell’incontro, nel legame: “lo Spirito del Signore non abita nell’io, non nel tu, egli abita tra l’io e il tu” (M. Buber).

In mezzo a loro, senza gesti clamorosi, solo esserci: presenza è l’altro nome dell’amore. Non accusa, non rimprovera, non abbandona, “sta in mezzo”, forza di coesione degli atomi e del mondo. Pace a voi, annuncia, come una carezza sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulla tristezza che scolora i giorni. Gli avvenimenti di Pasqua, non sono semplici “apparizioni del Risorto”, sono degli incontri, con tutto lo splendore, l’umiltà, la potenza generativa dell’incontro.

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Otto giorni dopo Gesù è ancora lì: li aveva inviati per le strade, e li ritrova ancora chiusi in quella stessa stanza. E invece di alzare la voce o di lanciare ultimatum, invece di ritirarsi per l’imperfezione di quelle vite, Gesù incontra, accompagna, con l’arte dell’accompagnamento, la fede nascente dei suoi. Guarda, tocca, metti il dito… […]

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ARRESO ALLA PACE

Venne, a porte chiuse.
Il Vangelo oggi parla di un Gesù ferito che ancora una volta non si nasconde, ma viene.
Entra in noi, piagato e povero, e ci incoraggia: il foro dei chiodi, toccalo! Il costato, puoi entrarci con la mano!
Dopo l’infinito, dopo aver attraversato la sua immensa Pasqua, ha bisogno del niente che è il contatto umano. L’abbandonato torna e si mette di nuovo nelle mani di chi lo ha tradito.
E’ l’assurdità, la follia dell’amore.

Hanno tradito e sono scappati: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando? C’è paura dei Giudei in quella casa, ma anche paura di se stessi, tristezza stagnante per come lo avevano abbandonato, tradito, rinnegato così in fretta.
Una comunità che non sta bene, porte e finestre sbarrate. Manca l’aria.

Gesù viene proprio qui, con le piaghe che non ci saremmo più aspettati, convinti che la risurrezione le avrebbe rimarginate. E invece, la Pasqua non è il semplice superamento della Passione, ne è il frutto maturo, la conseguenza. Ed ecco che in quella casa succederà qualcosa che rovescerà gli apostoli come un guanto: il vento dello Spirito soffierà nella prima comunità cristiana, in questo stringersi l’uno all’altro, nella memoria di Lui, quando lo Spirito riporterà al cuore tutte le sue parole.
Quella casa è la madre di tutte le chiese. E Gesù non può che venire qui, in questo luogo disastrato. Non al di sopra, non ai margini, ma, «in mezzo a loro». Sussurrando “pace a voi”.

Non è una promessa, ma un sigillo: la pace è già scesa dentro di voi, e viene da Dio. Pace è una carezza sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulla tristezza che scolora i giorni.
Le piaghe restano, per sempre. Sono la gloria dell’amore folle di Cristo, per quelle piaghe Dio l’ha risuscitato.
Per tre volte il Vangelo oggi parla di pace.

Che scende su noi peccatori sconfitti e sulle nostre delusioni. Ed è a questa esperienza di pace che Tommaso si arrende, non al toccare. Neppure è detto se abbia poi davvero toccato il corpo del Risorto, perché non è importante. È alla pace che lui si arrende, passando dall’incredulità all’estasi.
La pace è il rischio di essere felici, di esserlo insieme.

Grande educatore, Gesù. Educa alla libertà dai segni esteriori, alla serietà delle scelte, come fa con Tommaso. Che bello se anche nella Chiesa di oggi lavorassimo più sull’approfondimento e la ricerca, che sull’obbedienza.
Queste cose sono state scritte perché crediate in Gesù, e perché, credendo, abbiate la vita. Credere è l’opportunità di essere più felici e più vivi: «ecco io carezzo la vita, perché profuma di Te» (Rumi).
Così termina il Vangelo, così inizia il nostro discepolato.

Con un sapore di vita, con il profumo della gioia, col rischio della felicità, che attraversano come uno scandalo di luce tutto il dolore del mondo, e i deserti sanguinosi della storia.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK