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p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 25 Febbraio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 9, 2-10

L’intera quaresima, i quaranta giorni, è cammino orientato alla Pasqua, tempo per coltivare una disponibilità interiore al ascoltare Gesù come Figlio che conduce ad incontrare l’amore del Padre.

Al centro della liturgia della Parola di questa domenica è la narrazione dell’esperienza vissuta dagli apostoli con Gesù sul monte: è un racconto di luce e di incontro che va letto nel punto particolare in cui Marco lo colloca nel suo vangelo. Viene infatti subito dopo la confessione di Pietro a Cesarea (8,29). Pietro aveva riconosciuto in Gesù il volto del messia atteso (cfr. Mc 8,27-33): ma la via del messia che Gesù propone a Pietro è lontana da attese e orizzonti di potere. Pietro viene rimproverato perché attende da Gesù un messia del dominio, capace di affermazione e di violenza e Gesù invece si situa in un altra linea. Inizia infatti a annunciare che la sua via sarà segnata da sofferenza e ingiusta ostilità e condanna. Da allora inizia a insegnare che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire. In questo cammino l’episodio sul monte è segno di speranza. I discepoli nella luce del Tabor ricevono un annuncio per affrontare lo scandalo della croce: la via che Gesù sta percorrendo non è senza senso e non è buio ma in essa si racchiude un orizzonte di luce e di gloria.

“Gesù fu trasfigurato”: il verbo al passivo suggerisce che Dio stesso è il soggetto di quanto si compie in Gesù. L’esperienza indicibile viene descritta con il linguaggio della luce e dello splendore. Marco è attento a non far pensare alla metamorfosi degli dèi, ben conosciuta in ambito romano. Narra invece di vesti splendenti e bianche, come nessun lavandaio potrebbe renderle, segno di vicinanza unica a Dio. E Gesù sul monte è accompagnato dai tre discepoli che saranno con lui anche nell’orto del Getsemani (Mc 14,33). Con questo particolare Marco suggerisce un collegamento tra questo momento di luce e la passione di Gesù. Così anche la presenza di Mosè e di Elia, profeti di cui si attendeva il ritorno negli ultimi tempi è segno di un momento in cui passato presente e futuro si uniscono. Per comprendere Gesù si deve entrare nella storia di alleanza di cui Mosè e Elia sono i paradigmi.

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Di fronte allo splendore i discepoli sono presi dallo spavento.  è timore di fronte al rivelarsi dell’identità di Gesù. Pietro propone di fare tre tende – con allusione alla festa ebraica delle capanne festa che anticipa il riposo della fine dei tempi -. Ma non è questo il momento della gioia e del riposo, è invece questo il tempo dell’ascolto. Inoltre la tenda rinvia al luogo della dimora: ora la dimora è la stessa umanità di Gesù, è lui la nostra casa.

La nube che avvolge nell’ombra, evocazione della presenza di Dio nella tradizione dell’Esodo (Es 16,10;24,18) lascia spazio ad un’altra voce: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo”. La voce, come al momento del battesimo al Giordano, esprime il mistero dell’identità di Gesù, il Figlio, l’amatissimo: la voce è rivolta non solo a Gesù ma ai discepoli ed invita all’ascolto di lui (cfr. Dt 18,15).

Come sull’Oreb Dio aveva manifestato a Mosè la sua identità donando l’alleanza ora su un monte alto Gesù viene indicato come ‘il Figlio’. La voce nella nube richiama solo all’ascolto di lui. I discepoli sono chiamati a rivolgersi a lui solo e ad ascoltarlo lasciandosi coinvolgere nel suo cammino. Sul volto del servo sofferente che va verso Gerusalemme emergono i tratti del Figlio amatissimo, che rivela le profondità dell’amore del Padre. Sul monte l’esperienza dei discepoli apre al mistero dell’amore di Dio vicino e diviene appello a lasciarsi illuminare dall’incontro con lui: Ascoltatelo.

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Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

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