p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 17 Settembre 2023

449

“Perdona l’offesa al tuo prossimo…”

Il libro del Siracide intende richiamare le vie della sapienza consegnate nella Torah: lì sta il cuore della vita del popolo d’Israele. Una parola importante riguarda il perdono nei confronti del fratello. Il riferimento è ripreso dalla legge che indica il rifiuto della vendetta (del Levitico): ‘non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello… non ti vendicherai e non serberai rancore … ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore’ (Lev 19,17.18).

Il perdono del fratello è richiamo per impostare relazioni con chi appartiene alla medesima comunità; costituisce un decisivo superamento della logica della vendetta, della rappresaglia e della violenza. Si tratta di una apertura importante ma anche limitata a chi è vicino.

- Pubblicità -

Ben Sira rilegge questo testo e vi scorge aspetti nuovi: il perdono è processo che pone nuova relazione tra gli uomini ma si radica nell’agire di Dio. Dio darà il suo perdono a chi avrà perdonato l’offesa subita: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati”. L’esperienza del perdono costituisce così una soglia in cui si attua un rapporto con Dio.

“Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello…”

La questione del perdonare era al centro di un dibattito nel tempo di Gesù e per questo Pietro interroga Gesù: fino a qual limite si deve perdonare?

- Pubblicità -

Gesù rinvia ad una misura, che è quella della misericordia: non si lascia rinchiudere entro calcoli e limiti e va oltre ogni angusto orizzonte. Non è indicazione di non considerare il male e di confonderlo con il bene ma è invito a testimoniare l’agire di Dio stesso come agire di dono e salvezza.

La parabola narra di un servo che chiede al padrone di dilazionare il pagamento del suo debito. Con stupore si trova di fronte ad un condono inatteso. Sta qui il passaggio fondamentale della parabola. Il perdono trova la sua origine in Dio capace di condonare perché capace di amare oltre ogni limite. Ma il servo non fa altrettanto con un suo debitore, non prolunga il dono ricevuto senza meriti. La parabola ha il suo centro nel rinviare al volto di Dio. L’agire di Dio non è secondo i modelli dell’egoismo e della violenza.

Riletta nella comunità di Matteo la parabola assume accentuazioni sul versante ecclesiale e rapportata al tempo ultimo. Il re che condona diecimila talenti è colui che compie il giudizio finale. Il servo che non ha condonato cento denari – una cifra incredibilmente esigua  a confronto dei diecimila talenti che egli doveva – è destinato ad un supplizio drammatico. Matteo intende accostare al messaggio centrale sul dono di Dio un invito alla responsabilità della comunità dei discepoli.

Il tempo della chiesa si pone tra un perdono ricevuto, da accogliere come dono e un perdono da trasmettere. Scoprirsi perdonati apre alla responsabilità per gli altri nell’attuare scelte di riconciliazione, nel tessere nuovi legami nei rapporti lacerati tra popoli e persone. E’ in gioco un rapporto con Dio che passa attraverso i rapporti con gli altri, di giustizia e riconciliazione.

Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.