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p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 11 Febbraio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 1, 40-45

La lebbra considerata  ‘primogenita della morte’ (Gb 18,13; cfr. anche Num 12,12) e spesso assimilata alle più varie patologie della pelle è malattia che suscitava nel mondo antico impressione e strategie di isolamento. I malati erano infatti tenuti distanti per il rischio del contagio: non potevano entrare nelle città ed evitare i contatti. Inoltre vigeva la convinzione che la malattia fosse connessa al peccato e ponesse in una condizione di impurità. Perciò spettava ai sacerdoti in Israele constatare se una persona avesse contratto la lebbra (Lev 13-14) e, nel caso di guarigione, determinare l’atto religioso da compiere (Lev 14,1-32).

La connessione tra peccato e malattia è convinzione inaccettabile ancor oggi diffusa e presente e proprio l’agire di Gesù si pone in deciso contrasto con quest’idea. L’incontro con il lebbroso manifesta che al cuore della sua missione Gesù poneva la cura per la salute delle persone, per liberarle a partire dal male immediato che le opprimeva.

Gesù è avvicinato da un lebbroso che percepisce la sua presenza come importante e decisiva per la sua vita. Sfidando le norme si fa vicino e implora da una situazione di disperazione. E Gesù non si ritrae e non lo allontana. Un unico forte sentimento è colto: ne ebbe compassione. Di fronte alla malattia Gesù vive la sofferenza di chi è schiacciato dal male e dalla solitudine. Gesù non teme di lasciarsi avvicinare da un lebbroso, tende la mano verso di lui, getta un ponte di comunicazione che fa entrare lui stesso in una condizione di impurità: lo tocca e gli parla. Il suo farsi vicino è prendere su di sè la sofferenza e la solitudine delle persone nella loro condizione concreta.

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Nel suo accostare il lebbroso Gesù attua un gesto di potenza: stende la mano come Mosé sul mare e come lo stendersi del braccio potente di Dio nell’esodo, passaggio dalla schiavitù alla libertà. Così nel toccare il lebbroso si collega all’itinerario della fede (cfr. Mc 5,27-28); il contatto di Gesù con i malati, con i peccatori è significativo della sua accoglienza e della sua compassione di fronte all’altro, non come un caso da guarire, ma come una persona su cui pronunciare il bene e a cui aprire futuro. La guarigione diviene segno di una risurrezione che porta quest’uomo a vivere in modo nuovo.

Nei vangeli sinottici la guarigione dei lebbrosi è uno tra i segni indicati da Gesù del regno di Dio che è venuto: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete. I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti…’ (Mt 11,3-6). Nel suo agire accogliendo malati e coloro che erano considerati impuri Gesù reca la bella notizia di una vicinanza di Dio senza condizioni, annuncia il vangelo della compassione di Dio, che soffre insieme. Nel suo sentire compassione  si rende vicino la cura di Dio per l’umanità.

Se il suo accogliere e toccare il lebbroso trasgredisce le determinazioni della legge nel suo agire Gesù conduce al cuore stesso della legge quale cammino di incontro con Dio liberatore. I suoi gesti infatti restituiscono quell’uomo, segnato dalla discriminazione, dal sospetto degli altri e dalla solitudine, ad una vita umana, alla salute, ad essere accolto in una relazione nuova con gli altri.

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Emerge in questo brano uno degli aspetti sui quali si svolgerà il conflitto di fronte a Gesù, conflitto con tratti politici e religioso (cfr. Mc 3,6). Gesù pone la pretesa non solo di interpretare la Legge ma di superarla portandola a pienezza. La parola e il gesto di Gesù dicono che compimento della Legge è l’amore, al di là e al di dentro di ogni prescrizione. Tutto questo suscita l’opposizione e il rifiuto delle autorità religiose del suo tempo, e qui sta la radice  del conflitto drammatico che condurrà alla sua morte. Il lebbroso divien figura del credente che si affida senza altri pensieri; i sacerdoti divengono figura di chi si chiude al vangelo impietrito in un sistema religioso che non accoglie le persone e non vive la compassione.

Dopo la guarigione Gesù invita il lebbroso a non dire nulla a nessuno. Ma il lebbroso si fa annunciatore: ‘iniziò ad annunciare molte cose e a diffondere la parola’ (Mc 1,45). Marco suggerisce che colui che ‘annuncia la parola’ è qualcuno che ha sperimentato nella sua vita la liberazione donata da Gesù, ed è stato restituito ad un rapporto nuovo di amore adulto con gli altri e con Dio stesso.

Marco aveva iniziato la narrazione con il presentarsi del lebbroso e conclude con l’indicazione che ‘Gesù non poteva entrare più palesemente in città, ma stava fuori in luoghi deserti’ (1,45): la situazione si è capovolta. Gesù è entrato nella condizione propria del lebbroso che doveva stare fuori della città, ha preso su di sé la sua condizione, ma ora ‘venivano da lui da ogni parte’. Marco invita a guardare Gesù stesso come un lebbroso, emarginato, irriconoscibile ‘percosso da Dio e umiliato’ (Is 53,3-4), non il Messia della potenza e della sapienza, ma il Messia del servizio e del dono di sè fino alla fine.

Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

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