Lโuomo non รจ fatto per la solitudine. Si rischia di dimenticarlo, soprattutto se si pensa allโabbondante letteratura prodotta nei secoli in lode della sola beatitudo, beata solitudo, base della vita eremitica, che era vista come il punto piรน alto dellโesperienza spirituale, anche se, proprio perchรฉ tale, era una vocazione limite, che perciรฒ esigeva un lungo periodo di addestramento nella vita di comunitร per verificare se uno fosse in grado di sostenere โda soloโ tale scelta contro le prevedibili tentazioni del demonio.
Niente รจ piรน chiaro, in proposito, di quanto รจ scritto nella Regola benedettina: ยซGli anacoreti, o eremiti, non sono novizi accesi dal primo fervore di vita monastica, ma monaci maturati da una lunga ininterrotta prova del monastero, hanno imparato con lโaiuto della comunitร a combattere contro il diavolo e, dopo essersi bene addestrati nelle file dei fratelli ad affrontare il combattimento individuale del deserto, divenuti ormai saldi anche senza il sostegno di altri, sono in grado โ con lโaiuto di Dio โ di lottare con le loro sole forze contro i vizi della carne e dei pensieriยป (RB 1,3-5).
Perchรฉ stiamo insieme?
Uno dei grandi maestri spirituali del XII secolo, lโinglese Isacco della Stella, rispondendo alla domanda di chi chiedeva perchรฉ mai i monaci si separassero dal mondo per poi vivere โinsiemeโ rispondeva cosรฌ nel Sermone 50,14 (Isacco della Stella, I sermoni, vol. II, Milano 2007, p. 308):
ยซStiamo insieme proprio perchรฉ non siamo ancora in grado di sostenere la solitudine.
Insieme proprio perchรฉ, se uno cade, non manchi chi lo sollevi (cf. Qo 4,10).
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Insieme proprio perchรฉ il fratello che aiuta il fratello sarร esaltato come una cittร forte e potente (Pr 18,19).
Insieme, infine, proprio perchรฉ รจ bello e gioioso che i fratelli dimorino insieme (Sal 132,1)ยป.
Si noti la bellezza e la perfezione della costruzione sintattica, retta dal ricorrere in posizione cruciale dellโavverbio โinsiemeโ, una sequenza che forma come quattro muri di una casa, o, quattro pilastri o colonne che sorreggono una volta, come per esempio nella splendida sala capitolare dellโabbazia di Morimondo (Milano), il luogo dove la comunitร si raduna, ascolta, discute, decide, e dove รจ piรน che mai opportuno tenere sempre davanti agli occhi, della mente e del cuore, le ragioni per cui si vive insieme.
E si noti anche lโonestร intellettuale di Isacco nel collocare allโultimo posto la celebre motivazione che viene dalla Scrittura, spesso proposta invece per prima, preceduta invece da esigenze che si sarebbe portati a ritenere puramente โumaneโ.
Se poi si vuole risalire allโorigine di tutto questo discorso, non resta che riferirsi a Gen 2,18, dove ยซIl Signore disse: Non รจ bene che lโuomo sia solo: voglio fargli un aiuto che lo corrispondaยป, da completare con la dichiarazione che termina il primo racconto della creazione: ยซE Dio creรฒ lโuomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creรฒ: maschio e femmina li creรฒยป (Gen 1,27).
La solitudine รจ vinta quando si impara a vivere la diversitร , ogni diversitร , come โcomplementaritร โ: questo modo di vivere la relazione interpersonale riproduce e rivela in noi lโimmagine del Dio Trinitร .
Non mi si fraintenda: il discorso della โcomplementaritร โ riguarda ovviamente la creatura umana, dato il โlimiteโ che รจ intrinseco alla condizione creaturale. Lโaccostamento a Dio si capisce solo se si pensa che le tre Persone sono tali in riferimento lโuna allโaltra: Dio รจ Padre perchรฉ genera un Figlio, il Figlio รจ tale perchรฉ รจ generato dal Padre, lo Spirito รจ il soffio, o il โbacioโ, che lega il Padre al Figlio e viceversa. Credo sia meno difficile comprendere queste affermazioni se le leggiamo nella logica del โdonoโ: ognuno dona allโaltro ciรฒ che ha di suo, cosรฌ da rendere con questo ciรฒ che lโaltro รจ.
Le astrazioni non mi sono mai piaciute: se pure servono a fissare unโidea e permettono anche discorsi molto sofisticati, rischiano di volare troppo alto sopra le nostre teste e di farci perdere la presa sulla realtร .
Per il vero, a dire la complessitร di ogni discorso su Dio, il linguaggio della teologia, storicamente, ha sempre oscillato tra due poli opposti: quello che vede Dio dappertutto (teologia catafatica), e quello che non lo vede da nessuna parte (teologia apofatica): la prima cerca di dire ciรฒ che Dio รจ, la seconda piuttosto ciรฒ che egli โnonโ รจ.
Per una visione equilibrata della cosa, evitando gli scogli opposti dellโidolatria e dellโafasia, bisogna far camminare insieme ambedue questi linguaggi. In questo, i poeti sono per me i migliori teologi. In ogni caso, per nostra fortuna, noi crediamo che Dio si sia incarnato, e Gesรน รจ diventato cosรฌ โla porta di accesso al mistero della Trinitร โ.
Dunque, anche la liturgia non ci presenta soprattutto idee e teorie, che rischiano di finire in un vicolo cieco e renderci ancora piรน estranei a un Dio giร tutto definito in termini negativi: ineffabile, inconoscibile, invisibile, introvabile ecc. ma ci porta invece a considerare sentimenti, emozioni, immagini. ร su questa linea che possiamo ritrovare i tratti di quella immagine del Dio Trinitร che siamo chiamati a visualizzare nelle nostre relazioni.
Lโidentitร di Dio e un saluto trinitario
Il piccolo gruppo di versetti raccolti dallโEsodo (34,4b-6,8-9) ci dice alcune cose sul modo di incontrare Dio: Mosรจ sale e Dio scende, il luogo di incontro รจ una nube, il Signore passa e, nel transitare, si rivela come ยซil Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento allโira e ricco di amore e di fedeltร ยป: niente di fisso e di certo in tutti questi passaggi! Perchรฉ si generi un incontro รจ necessario che ambedue si abbia la capacitร di โdecentrarsiโ per entrare in un luogo โaltroโ: Dio, nel Figlio, si abbasserร sino a farsi โcarneโ fragile e mortale, sino a ficcarsi nel nostro โfangoโ per liberarcene; allโuomo tocca fare lo sforzo di staccarsi da ciรฒ che lo tiene invischiato nelle realtร terrene, per cercare sempre le โcose di lassรนโ e trarne ispirazione per la sua vita.
Sullo sfondo dellโEsodo, non va dimenticato che non possiamo trattare Dio come un โvitello dโoroโ fatto da noi, un idolo portatile da condurre dietro a noi, ma dobbiamo riconoscere che siamo noi a dover seguire un Dio che โpassaโ, che โcammina con noiโ e sostiene cosรฌ il dinamismo della nostra fede. Mosรจ dunque si abbassa, si curva sino a terra, e rivolge a Dio la sua preghiera: gli chiede di โcamminare in mezzo al popoloโ, che avrร sรฌ la testa dura, ma proprio per questo ha bisogno del perdono di Dio per rimanere la sua ereditร .
Il brano altrettanto breve di 2Cor 13,11-13 contiene un saluto densamente trinitario, che รจ un augurio per la comunitร perchรฉ faccia scorrere al suo interno le tre caratteristiche con cui vengono definite le tre Persone: la grazia (charis) del Signore Gesรน Cristo, lโamore (agape) di Dio e la comunione (koinonia) dello Spirito Santo.
Sono tre parole che dicono in fondo tre aspetti della stessa cosa. La grazia ci toglie ogni possibilitร di orgoglio, perchรฉ la salvezza, come il perdono, ci vengono dati in modo assolutamente gratuito; lโamore รจ quello che si dona senza chiedere niente in cambio, la comunione รจ lo stile che deve caratterizzare le relazioni nella comunitร perennemente generata dal soffio vitale dello Spirito Santo.
Non cโรจ da stupirsi che da questa โfonteโ, una e trina, zampilli la gioia, la tensione verso il meglio, lโincoraggiamento reciproco a fare il bene, e soprattutto quel bene dei beni che รจ la pace! La fede nel Dio Trinitร ha come necessario sbocco questo modo โtrinitarioโ di vivere. Niente di astratto, dunque, ma la concretezza dello stare insieme.
Nella logica del โdonoโ
Il punto dโarrivo della catechesi odierna sulla Trinitร รจ raggiunto nel vangelo (Gv 3,16-18). Dopo aver detto che per lโuomo รจ necessario ยซrinascere dallo Spiritoยป (Gv 3,5-8), lโimplicarsi di Dio nel mondo vede allโopera Dio e il Figlio, uno manda, lโaltro รจ mandato.
Siamo sempre nella logica del โdonoโ, che รจ la sostanza stessa della Trinitร . Si torna a parlare di amore, che รจ un dare. ยซDio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perchรฉ chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perchรฉ il mondo sia salvato per mezzo di luiยป.
La linea rimane la stessa, quella cominciata con la rivelazione di Dio a Mosรจ sul Sinai. Non รจ Dio, dunque, che condanna, ma, se uno si chiude a questa rivelazione dellโamore, si auto-esclude dalla circolaritร virtuosa dellโamore che si manifesta nella relazione fra le tre persone.
Nel tardo medioevo ebbe un vasto successo iconografico in Europa il tema del โtrono di graziaโ (Eb 4,15-16). Sullo sfondo il Padre siede su un trono, da dove sorregge e mostra il Figlio crocifisso, sopra la testa del quale aleggia la colomba dello Spirito, che soffia la vita tra Padre e Figlio: questi la dona al Padre morendo, e il Padre la ridona al Figlio risuscitandolo.
Da noi, la versione piรน nota รจ quella di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze.
Penso perรฒ che nessuno meglio di Lorenzo Lotto abbia saputo interpretare in modo eccezionale il tema. La sua pala รจ al Museo Bernareggi a Bergamo: il Padre รจ una nube luminosa che alza le braccia al cielo e insieme offre il Figlio, che รจ il Crocifisso risorto, con le braccia tese verso la terra, e i piedi che poggiano su un arcobaleno, un corpo intatto (la croce non cโรจ), dove rimangono visibili le piaghe e, tra i due, lo Spirito; sotto un paesaggio che canta la pace.
La pala รจ riprodotta sulla quarta di copertina di Giuliana di Norwich, Una rivelazione dellโamore, Milano 2015. Ed รจ la mistica inglese che, sintetizza in tre parole la Trinitร come โvita, amore e luceโ: life, love and light (c. 83, p. 325). E alla fine, riassume cosรฌ il senso di ciรฒ che le รจ stato rivelato. ยซVorresti dunque sapere cosa ha inteso il tuo Signore e conoscere il senso di questa rivelazione? Sappilo bene: amore รจ ciรฒ che ha inteso. Chi te lo rivela? Lโamore. Che cosa ti rivela? Amore. Perchรฉ te lo rivela? Per amore. Rimani salda nellโamore, e lo conoscerai sempre piรน a fondo. Ma in lui non conoscerai mai cose diverse da questa, per lโeternitร ยป (c. 86, p. 329).
Fonte – Settimana News
Commento a cura di Nico Guerini
