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mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 7 Aprile 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 20, 19-31

Un nuovo cammino

Ci siamo ripresi dall’esplosione della gioia pasquale e la chiesa ci offre un nuovo cammino, analogo a quello che ci ha portato alla Pasqua, la quaresima. Ci attendono sette domeniche (settimane) che ci condurranno alla Pentecoste, la pienezza della Pasqua.

Ci viene offerto come prima guida in questo cammino l’apostolo Tommaso che si presenta con idee molto chiare sul Suo Signore: i segni qualificanti dell’identità del Cristo sono le sue piaghe con le quali ci rivela fino a che punto ci ha amati “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”.

In questo l’apostolo non si sbaglia. Otto giorni più tardi Gesù l’interpella. Tommaso reagisce con la professione più bella di tutto il Nuovo Testamento. “Mio signore e mio Dio!”. Tommaso “vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio che non vedeva e non toccava. Ma ciò che vedeva e toccava lo conduceva a credere in ciò in cui aveva dubitato fino allora”. (Sant’Agostino) . Questo è l’itinerario cristiano a Dio. Dio si raggiunge attraverso Cristo e Cristo si raggiunge attraverso le sue piaghe, attraverso la sua Croce. “Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me”.La Pasqua è la glorificazione della Croce.

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Questa strana e originale strada che Dio ha tracciato per arrivare a Lui spiega come l’immagine vera di Dio, non corrispondendo alle nostre esigenze e attese naturale, incontri le difficoltà ad essere accettata e riconosciuta come tale. Da qui la fede che è sempre accompagnata dal dubbio. Mettere il dito nelle piaghe e la mano nel cuore aperto di chi soffre più che avvicinarci alla grandezza e alla bellezza del Creatore dell’universo ci fa prendere coscienza della povertà e miseria dell’uomo.

E invece è proprio lì dove Dio ci ha dato l’appuntamento per incontrarlo perché “pur essendo di natura divina umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce. Per questo Dio lo ha esaltato… perché ogni ginocchio si pieghi sulla terra e nei cieli”.

A sangue freddo sembra impossibile di essere capaci di dubitare dello stesso Dio, eppure è stata la tentazione che ha accompagnato i più grandi Santi . Se la fede non fosse accompagnata da questa ombra di incertezza non sarebbe più fede ma “visione” e questo non è della terra. Anche Tommaso ebbe il dubbio atroce che quello che gli avevano riferito i suoi colleghi non fosse vero, esattamente quello che avviene anche a noi tante volte che apriamo il Vangelo che ci parla di scommettere su Dio e sulla Sua Parola.

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La certezza della fede è sempre accompagnata dal dono del “timore di Dio” che non è la paura di Dio ma quello spazio che ci permette di deciderci fidandoci non di noi stessi ma di un Altro, appunto di Dio. E’ proprio questa fiducia che riempie il cuore di dolcezza, liberando dall’arroganza ogni professione di fede. Non può sfuggirci l’atteggiamento di Tommaso , prima dell’incontro con le piaghe di Cristo e dopo. Prima è arrogante arroccato nella sua certezza di non volere essere imbrogliato, poi umile che sa dire soltanto “Mio Signore e mio Dio!”.

Tommaso toccando le piaghe riconobbe quel Signore il cui volto gli era familiare; per noi Gesù aggiunge “Beati quelli che non avendo visto crederanno”. Siamo in una posizione svantaggiata nei confronti di Tommaso ma non per questo meno certi di ricevere il dono della fede tutte le volte che ci avviciniamo alle piaghe dei fratelli o, meglio ancora, noi stessi facciamo l’esperienza della Croce.

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