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mons. Giuseppe Mani – Commento al Vangelo di domenica 10 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 3,14-21

Dall’esilio al pellegrinaggio

Le letture di questa domenica evocano il cammino di conversione non verso la fede, ma la conversione del cristiano tiepido o già freddo.

La prima lettura ci ricorda il cammino drammatico del re Sedecia e del suo popolo, caduti in una situazione difficile che si ripete spesso durante i secoli. Infedeli a Dio, moltiplicavano le pratiche sacrileghe delle nazioni pagane e profanavano il tempio di Gerusalemme, consacrato al Signore.

Dio è paziente perché è forte e dà il tempo di riprendersi. Invia i suoi messaggeri per esortarli a tornare a Lui. Ma la pazienza di Dio è presa per debolezza e indulgenza. Gli inviati di Dio vengono derisi, fino al punto in cui non c’è più rimedio alla collera di Dio contro il suo popolo e arriva il giorno della devastazione di Gerusalemme. Le illusioni spariscono e la vacuità di una vita senza Dio si riempie di angoscia. C’è anche l’esperienza dell’esilio in Babilonia. Gli esiliati a Babilonia piangono e si ricordano di Gerusalemme. Questo ricordo è quello delle promesse di Dio che fa loro cambiare ottica.

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“Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo non per giudicare il mondo, ma per salvarlo per mezzo di Lui”. Ci sarebbero tanti motivi per giudicare il mondo e per condannarlo. Penso allo spaccio di droga, al profitto, alla violenza che gettano le loro reti sui più poveri e arricchiscono i ricchi. Tutto quello contro cui gridava il Battista che minacciava il giudizio di Dio.

Dio ha un modo curioso di fare le cose. L’episodio del serpente di bronzo che Mosè fece innalzare nel deserto come segno di guarigione per coloro i quali, a causa del loro peccato erano stati dati in balia del morso dei serpenti, ci interroga ancora. Guarisce il male col male? Dio è omeopatico? In un certo senso, sì. Per guarirci ci rimanda all’immagine del male che abbiamo subìto e abbiamo commesso. Il Vangelo di Giovanni ci orienta. Il simbolo biblico ci mostra che, nel suo Figlio, Dio stesso viene a subire questo male rivelando il suo amore; lasciandoci convertire da questo amore che salverà coloro “che guarderanno Colui che hanno trafitto”. La croce è innalzata come stendardo di vittoria e non come una potenza, perché Colui che vi è crocifisso lo è stato a titolo dell’amore di Dio.

Un’ immagine insigne di tutto questo ce l’ha donata Massimiliano Kolbe, che si è offerto di morire di fame al posto di un altro ad Auschwitz; nel luogo stesso dell’inferno nazista l’amore si è rivelato in tutta la sua luce. Massimiliano spesso aveva guardato la Croce e ne era diventato una rappresentazione vivente.

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Non siamo chiamati a dei comportamenti eroici, ma a non disperarci a causa del male che subiamo, né di quello di cui siamo complici. Siamo chiamati a continuare a credere nella potenza dell’amore salvifico di Dio. Siamo sempre invitati ad assumerne le situazioni, rovesciandone il senso e prendendo la via contraria, come propone San Francesco nella sua preghiera: “Signore, fa di me uno strumento della tua pace; dove è l’odio che porti l’amore. Dove è l’offesa, che io porti il perdono …”.

Non lo faremo se non ci giriamo a guardare verso il Crocifisso per contemplare l’amore di Dio che ci chiama a purificare la nostra indignazione, a trasformarla in energia di lotta contro il male per l’eccesso di bene. In maniera paradossale Giovanni ci dice che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio…” E non è perché il male ha sfigurato la sua umanità che Dio ha cessato di amarci! Al contrario.

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