Mons. Giovanni D’Ercole – Commento al Vangelo del 9 Luglio 2023

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1.Nelle scorse domeniche la liturgia ha offerto alla nostra meditazione le consegne fondamentali della missione che Gesù affida agli apostoli, contenute nel discorso missionario o apostolico che occupa quasi tutto il capitolo decimo del vangelo di Matteo. L’odierno testo evangelico ci porta invece alla fine del capitolo seguente, l’undicesimo, che racconta il rapporto di Gesù col Battista e si sofferma sul fallimento della sua predicazione nelle città di Corazin e Betsàida (Mt 11,1-24).

Negli ultimi cinque versetti (25- 30), che idealmente si ricollegano alle istruzioni pastorali date in precedenza ai discepoli, Gesù parla della rivelazione del Padre celeste riservata ai piccoli e della conoscenza reciproca tra il Padre e il Figlio, e termina rinnovando l’invito a seguirlo (vv.28-30): “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”.

2. Con queste parole il Signore richiama in maniera sintetica il percorso, le tappe e le modalità della sequela evangelica che in primo luogo interessa gli apostoli, ma coinvolge tutti i credenti. Gesù ci chiama ad andare da lui quando ci sentiamo oppressi e affaticati dal peso della croce quotidiana, ci esorta ad accogliere il suo giogo e a imparare da lui mite e umile di cuore se aneliamo a sperimentare la pace del cuore. Il risultato – questa è la promessa – sarà assaporare la dolcezza del suo amore e la leggerezza della fatica d’ogni giorno, che sono il ristoro per tutta la vita e non solo per qualche situazione.

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Prendendo il suo giogo impariamo a camminare con lui, al suo stesso passo ed è questo il segreto: riuscire ad andare al passo di chi conosce la vita ed è in grado di comunicarcela. Un’immagine campestre che in tempi passati era abituale e diffusa nelle nostre campagne era quella del giogo che teneva legata una coppia di buoi. Guidati dal contadino, i buoi aravano i campi con le teste legate l’una all’altra in modo che avanzando fra le zolle uno conduceva l’altro e il lavoro avanzava meglio  diventando la fatica più sopportabile per entrambi. Quale insegnamento trarre per le nostre comunità?

Nessuno è così autosufficiente da essere in grado di portare tutto solo il peso della vita. Poiché conosce bene i suoi discepoli, Gesù li spinge a diventare come lui umili, consapevoli della fragilità umana e si offre a ciascuno come compagno di viaggio per giungere alla meta, cioè alla conoscenza del Padre celeste per sperimentarne appieno la ricchezza dell’Amore.  Si capisce allora perché credere a Gesù e accogliere il suo vangelo non è soltanto umiltà ma è anche intelligente capacità di acquisire quell’umana saggezza che impedisce di diventare schiavi di se stessi e di falsi ideali.

3. “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.   

Consolante diventa a quest’affermazione di Gesù! Parla di sé come il piccolo e l’umile, e per questo diventa modello a cui ispirarsi da parte di chiunque vuole penetrare nella sapienza di Dio ben diversa da quella del mondo. Gesù è il mite per eccellenza: l’aggettivo mite è usato solo qui in tutto il Nuovo Testamento (eccetto 1Pt 3,4) e Matteo, tra gli evangelisti, presenta la mitezza non solo come una beatitudine (Mt 5,5), bensì soprattutto come una qualità di Gesù (11,29; 21,5). Il divin Maestro viene descritto dall’evangelista quale Messia-Servo obbediente a Dio mite e misericordioso verso i piccoli, che entrerà a Gerusalemme come il re mite, secondo quanto scriveva il profeta Zaccaria (21,5), e si prepara ad affrontare la sua passione. Il Figlio di Dio che si fa uomo spogliandosi della sua divinità per amore di ciascuno di noi, non è il Messia che sorprende per la sua potenza regale, non è un esperto signore della politica o un guerriero vittorioso, e nemmeno un grande sacerdote o un profeta che arringa la folla.

Il Messia che va verso la croce, diversamente da come si immaginava, è il Servo obbediente pronto a dare la vita sulla croce per la salvezza dell’umanità. Alla scuola di Cristo che conobbe ostacoli e incredulità impariamo anche noi a diventare con il suo aiuto capaci di non lasciarci abbattere e scoraggiare dagli insuccessi e dalle sconfitte, ma in tutto e sempre, come lui, benediciamo e ringraziamo il Padre celeste che ha per ognuno un preciso progetto di salvezza. Alla scuola di un così amorevole Maestro non diventa impossibile riconoscere con umiltà e fiducia i limiti e le difficoltà che fanno parte dell’umana esistenza e che costituiscono anche il bagaglio di ogni battezzato.

Chi si fida di Dio e si lascia abbracciare dalla sua provvidenza anche quando non riesce a vedere tutto chiaramente, sperimenta – come si legge nella vita dei santi – che Dio non lavora mai invano e non esistono ostacoli di alcun tipo che possano impedirgli di agire nella nostra esistenza e nel mondo. E’ pronto a compiere ogni sorta di prodigi e miracoli quando incontra una fiducia totale e un abbandono sincero e totale alla sua volontà. Gesù c’insegna a ripetere con lui queste parole che esprimono la semplicità dei piccoli e l’amore per il Padre celeste tenero e misericordioso: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”.

4. “Ti rendo lode, Padre!”. Gesù loda e benedice il Padre in un momento difficile della sua missione e lo fa in risposta all’incredulità di quelle città della Galilea inospitali che lo avevano rifiutato come Sodoma e Gomorra e per questo distrutte.  Lo fa dunque dopo l’insuccesso della sua missione riservata al popolo d’Israele. Certamente non ringrazia perché le città dove ha predicato «non si erano convertite» (11,20), ma per la rivelazione negata ai sapienti e concessa ai “piccoli” e condivide la rivelazione dell’amore di Dio ai piccoli, agli emarginati, agli scartati dal potere e dalla religione ufficiale.

Così Gesù vuole la sua Chiesa: umile e “piccola” che in questi ultimi decenni, da Giovanni XXIII a Francesco, ha fatto chiaramente l’“opzione preferenziale per i poveri”, ripresa nella Dottrina Sociale della Chiesa. Esiste un sapere umano che sa di furbizia ed è finalizzato al successo talvolta persino conquistandolo in maniera subdola e disonesta. Gesù benedice il “Padre” perché lo conosce a lui si affida nell’amore ed è questa relazione d’amore che vuole far conoscere e condividere anche con noi.

La strada che indica è la grazia divina che ci rende piccoli, umili e grati di tutto perché tutto è dono; grazia che riceviamo in Cristo Gesù, Sapienza incarnata, l’unico capace d’introdurci nel cuore del Padre. “Venite” ha detto il Messia agli apostoli e sono diventati pescatori di uomini (Mt 4,19); venite dirà ai suoi amici e, se rispondono al suo invito, parteciperanno al banchetto del Cielo (Mt 22,4) ereditando il Regno (Mt 25,34). Venite, ripete oggi al cuore di ognuno e aggiunge “non abbiate paura del mio giogo dolce e leggero”. Venite, nulla è facile e vivere non è per nessuno una passeggiata di piacere, ma fidatevi di me e impegnatevi a seguirmi docilmente: “troverete ristoro per la vostra vita”.

AUTORE: Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo emerito – Pagina FacebookSito Web ✝️ Commento al brano del Vangelo di:  ✝ Mt 11,25-30