Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 7 Settembre 2022

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Felicitazioni e ahimè

Il “discorso della pianura” di Luca (Lc 6,26-49), da leggersi in parallelo con il “discorso sul monte” di Matteo (Mt 5-7), è rivolto ai discepoli del tempo di Gesù, del tempo di Luca e di ogni epoca. Sui discepoli di ogni epoca sono fissi gli occhi di Gesù, ad essi rivolge la parola nell’iniziarli alla conoscenza del che cosa ne sarà e ne è degli scarti umani: la carovana dei poveri, degli affamati e dei piangenti, la compagnia degli odiati, emarginati, disprezzati e considerati infami a causa del Cristo, il segno di contraddizione (cf. Lc 2,34) che genera l’umano non omologato al pensiero dominante.

Da sottolineare che si tratta di poveri estremiptochoi in greco, “pitocchi” in italiano, cioè nullatenenti, in totale dipendenza dagli altri; di affamati estremi privi anche del poco del mangiare, la fame di Lazzaro che invano attende le briciole della mensa del ricco epulone, saziato dalle carezze di un cane che gli bacia le ferite (cf. Lc 16,21). E di piangenti estremi, le lacrime del povero e dell’affamato che narrano dolore e ribellione nei confronti di una situazione da cui non si esce. Infine si tratta di odiati a causa di Gesù, l’avversione di chi non sopporta la presenza di uomini e donne che in libertà camminano cantando laudi e prendendosi cura del povero mondo, stranieri agli assoluti che l’uomo si crea.

Tutti costoro sono proclamati “beati”, Gesù si felicita, si congratula e si complimenta con essi. Perché? Innanzitutto per il loro rivelare il Padre di Gesù come passione d’amore incondizionato verso l’umano non riuscito, non apprezzato, non amabile, odiato. L’uomo-nessuno, unicamente mosso dal suo amore folle e scandaloso per chi non conta, per chi non ha meriti da esibire, egli infatti si chiama misericordioso (cf. Lc 6,36), cuore verso i miseri. Gesù, il non accolto, il non riconosciuto, il tolto di mezzo (cf. Gv 1,10-11), il povero (cf. 2Cor 8,9) con e per i poveri è, di questo Dio, la buona notizia (cf. Lc 4,18), la dolce musica (cf. Lc 7,32), il peso leggero (cf. Mt 11,28-30).

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Beati dunque per il loro essere al cuore del cuore di Dio in Gesù, e nei suoi discepoli, la Chiesa di poveri, con e per i poveri. In secondo luogo beati perché ai defraudati del presente il Padre in Gesù prepara e promette un futuro, il Regno di Dio, ove ogni desiderio di vita fiorita oltre ogni male e ogni morte sarà saziato nell’allegrezza. Parola di Dio in Gesù. Il qui e ora nel pianto e nell’oblio è realtà penultima per gli ultimi della storia. In terzo luogo beati perché il futuro inizia nel presente, detta il ritmo al presente. Colui che ama i poveri e i perseguitati, colui che prepara ad essi un posto dopo la loro morte (cf. Lc 16,19s; 43) e per sempre è il medesimo che mediante i discepoli di Gesù (e non solo ovviamente) si fa qui e ora mano aperta al povero. Le citazioni si sprecano, mi limito a riferirne due dalla lettera di Giacomo: “Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo?…Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo” (Gc 2,5; 1,27). Beati dunque i poveri perché amati di un amore che sa prendersi cura di loro nel presente, ad essi preparando un futuro di vita pienamente fiorita.

Infine il dire di Gesù si sposta sul versante dei ricchi con un “guai” che equivale ad un “ahimé”. Nessun giustizialismo vendicativo ma il lamento dell’amante che vuole che il ricco si converta e viva, è un figlio di Dio. Gesù intende farli transitare da una lettura stolta della ricchezza, personificata nell’uomo dal raccolto abbondante (cf. Lc 12,13-21), nel ricco epulone (cf. Lc 16,19-51) e nel notabile ricco (Lc 18,18-23), a una lettura sapiente personificata da Zaccheo (cf. Lc 19,1-10). Essa è dono di cui ringraziare, da usare sobriamente e da condividere generosamente a similitudine del Generoso, questo è dare e darsi vita, il possedere e l’accumulare per sé è intristirsi negandosi al dare vita, la bellezza del dono di ciò che si è e si ha.

fratel Giancarlo

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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