Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 24 Ottobre 2022

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Dio desidera incontrare e liberare ogni essere umano

esù di Sabato si reca in sinagoga per insegnare: anche altre volte il redattore del terzo vangelo ci presenta Gesù nella stessa situazione. All’inizio del suo ministero quando gli viene consegnato il rotolo di Isaia: “Lo spirito del Signore è su di me… Mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista…” . Così Gesù commenta queste parole: “Oggi si è compiuta questa scrittura” (Lc 4,16-21).

Questo “oggi” di Dio è il nostro oggi, il tempo della storia illuminato per sempre dalla luce del Crocifisso Risorto, un tempo a cui possiamo dare senso solo se sapremo attingere all’amore, alla fonte di amore inesauribile che è il Figlio che ci ha amati fino all’estremo.

Il vangelo di oggi ci presenta una scena che si ripete in maniera analoga altre due volte nel terzo vangelo. Di sabato, nella sinagoga o in casa di un capo dei farisei, Gesù si deve confrontare con la sofferenza di un altro essere umano. Ci sono una persona malata, i farisei, i capi della sinagoga e le folle che stanno a guardare. Non è una scena tanto lontana dalla nostra quotidianità. Qual è il nostro senso della liturgia, delle pratiche di culto: eucaristie, liturgia delle ore, adorazioni, rosari, altre devozioni? A che pro noi celebriamo, incensiamo, ci rivestiamo di paramenti liturgici? Quale valore e senso e potere attribuiamo a comandamenti, precetti, leggi che siano umane o affidateci da Dio? Sono interrogativi che dovremmo continuamente porci nel nostro cammino di fede, che nella sua verità più profonda dovrebbe essere semplicemente un cammino di umanizzazione e di umanità.

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Noi non testimoniamo la fede nel Signore Gesù moltiplicando preghiere e liturgie, ricorrendo a linguaggi oggi incomprensibili, non più eloquenti. Non annunciamo il regno di Dio difendendo con leggi umane presunti valori astratti, ideologie sganciate dall’uomo, da un volto, una persona in carne e ossa, una storia concreta, troppo spesso ferita.

Nella sinagoga Luca non descrive il luogo, ci dice solo che c’è una donna malata da diciotto anni, letteralmente piegata dalla sua malattia, c’è un uomo con la mano paralizzata. Questo è ciò che vede il Signore, a queste persone egli restituisce la libertà di esseri amati da Dio, la libertà e la dignità di chi può stare diritto in piedi con la sua storia ferita, la malattia, la sofferenza e il peccato, una libertà che solo l’incontro con il Signore può dare.

Di questo dobbiamo essere testimoni nelle nostre liturgie, non giudici degli altri, non promulgatori di leggi che stabiliscano chi sia nel giusto e nell’errore, ma semplici strumenti del desiderio di Dio di incontrare e liberare ogni essere umano dai pesi, dalle sofferenze che la vita e troppo spesso altri uomini hanno caricato sulle sue spalle. Siamo chiamati ad uno sguardo nuovo di autentica misericordia e compassione, direi nel senso più buddista del termine, verso tutti, indistintamente, riconoscendoci servi senza importanza perché solo il Signore salva.

Il giorno di Santo Stefano del 1958 un “servo senza importanza” papa Giovanni XXIII incontra i detenuti del carcere di Roma dicendo loro: “Io metto i miei occhi nei vostri occhi, ma no, perché piangete? Siate contenti che io sia qui. Ho messo il mio cuore vicino al vostro. Il papa è venuto, eccomi a voi.”

Questa è forse l’esegesi più bella e autentica del vangelo che abbiamo meditato, ci sia dato di essere semplici testimoni di questa speranza nei nostri incontri quotidiani e umani, umanissimi.

fratel Nimal

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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