Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 22 Dicembre 2022

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La donna del Magnificat

Semplicemente una donna, questo è la donna del Magnificat. Una donna che non ha parole proprie, ma che fa proprie le parole della Scrittura, le parole di Anna e di Lia, di Giobbe e di Isaia, le parole dei Salmi…

Una donna che di suo non ha niente, se non un’anima che riconosce il proprio nulla di fronte alla grandezza di Dio, uno spirito che danza di gioia nel sentirsi avvolto dal suo Spirito, nel vedersi salvato da lui.

Questa donna – si obietterà – possiede almeno una qualità, per quanto paradossale: la sua umiltà. Ma no, nemmeno questo ha di proprio la donna del Magnificat. Quell’umiltà infatti non è sua, l’ha ricevuta in custodia in quanto serva del Signore, figlia tra le figlie di Israele, il servo di Adonai. Almeno in Anna, la madre di Samuele, quest’umiltà poteva assumere i tratti specifici dell’umiliazione della sterile oltraggiata dalle prospere compagne, così da dare voce ad un cantico dai forti toni di rivalsa: “Il mio cuore esulta nel Signore, la mia forza s’innalza grazie al mio Dio. Si apre la mia bocca contro i miei nemici, perché… la sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita” (1Sam 2,1-5).

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Nulla di tutto ciò nel cantico della Vergine, perché la donna del Magnificat non possiede nemmeno l’umiliazione della sterile. È semplicemente una donna: se è umiliata è proprio e solo per questo, perché donna come tutte; se è umile è perché nemmeno in questo si distingue da un qualsiasi mortale tratto dalla terra.

Però “tutte le generazioni la chiamano beata” questa donna. Le si lasci almeno questo riconoscimento: è la “benedetta fra le donne” in quanto “madre del Signore” (Lc 1,43-44). Eppure, sarà proprio suo figlio a chiarire come non sia questo a renderla beata. Al grido: “Beato il grembo che ti ha portato”, Gesù risponderà infatti con un “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,27-28). “È questo che il Signore volle esaltare in lei – commenta Agostino d’Ippona –: di aver fatto la volontà del Padre, non di aver generato dalla sua carne la carne del Verbo… è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si è fatto carne” (Omelia 10). In effetti, è proprio per questo che Elisabetta la dice beata perché “ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45).

Eppure, nemmeno questo si arroga la donna del Magnificat: sembra non volere per sé neppure il merito della fede. Al “beata perché hai creduto” risponde con unbeata “perché l’Onnipotente ha fatto in me cose grandi”, perché è lui che ha prodotto in me quella cosa grande e feconda quanto un granello di senape che è la fede.

Ecco la donna del Magnificat: semplicemente una figlia d’Israele, una donna, una credente. È proprio questa sua ordinarietà a fare di Maria la madre di tutti quei credenti che sospirano la fede come un dono: “Credo, aiuta la mia incredulità” (Mc 9,24). È questa sua umanità a rendere il suo cantico così familiare per le labbra di tutti noi, semplici donne e uomini che il Signore guarda con amore.

fratel GianMarco

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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