Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 8 Ottobre 2023

561

Fare frutti

Tanto la prima lettura (Is 5,1-7) quanto il vangelo (Mt 21,33-43) di questa domenica sottolineano il tema delย fare: cโ€™รจ unย fare di Dioย โ€“ dice Isaia โ€“ che attende unย fare umanoย come risposta; in particolare, Dio attende da parte della vigna-Israele un fare frutti adeguati (Is 5,2.4.7). La prassi del credente โ€“ dice Matteo attraverso la parabola che mette in scena una vigna e dei contadini incaricati di coltivarla per consegnarne poi i frutti al padrone โ€“ รจ unย fare frutto. Lโ€™agire cristiano, pastorale in specie, rischia spesso la cecitร  dellโ€™attivismo, la pigrizia della forza dโ€™inerzia, la routine della stanchezza, lโ€™insipienza di chi ha โ€œfreddo il senso e perduto il motivo dellโ€™azioneโ€ (Thomas Stearns Eliot).

Il raffreddarsi della caritร  (cf. Mt 24,12) si puรฒ accompagnare a un fare compulsivo e senza discernimento. La fede nel fare di Dio per lโ€™uomo, dunque nel suo amore, รจ il fondamento dellโ€™agire del credente. Il fare di Dio per la sua vigna รจ unย lavorareย (cf. Is 5,2) che ne esprime lโ€™amore (cf. Is 5,1).ย Lโ€™amore รจ un lavoro, una fatica: la โ€œfatica dellโ€™amoreโ€ (1Ts 1,3). Anche per lโ€™uomo, lungi dallโ€™essere unโ€™attivitร  facile e immediatamente disponibile, lโ€™amore รจ un lavoro che esige unโ€™ascesi. La maturitร  umana trova nella capacitร  diย lavorare efficacementeย e diย amare in modo adultoย due elementi qualificanti decisivi. Lโ€™amore divino nutre unโ€™attesa nei confronti dellโ€™amato: secondo il testo di Isaia, non attende amore di ritorno, maย giustiziaย (cf. Is 5,7). La giustizia umana onora lโ€™amore di Dio. Lโ€™amore che attende qualcosa dallโ€™amato esercita una dolce violenza, ma un amore che non attenda nulla dallโ€™amato รจ semplicemente irreale.

Prima lettura e vangelo sono brani di teologia della storia, di rilettura della storia alla luce della fede. Isaia parla dellโ€™agire di Dio verso il suo popolo e la parabola evangelica rilegge la storia degli invii dei profeti e del loro rigetto da parte del popolo, fino allโ€™invio del Figlio. Emerge la difficoltร  di discernere il servo di Dio, il profeta. Lโ€™alteritร  insostenibile di Dio diviene lโ€™alteritร  del profeta che si traduce nella sua presenza scomoda, imprevedibile, โ€œingestibileโ€, non racchiudibile in etichette del tipo โ€œprogressistaโ€ o โ€œconservatoreโ€. Uomo del pathos di Dio, le reazioni del profeta agli eventi storici ed ecclesiali sfidano il buon senso e il comune sentire religioso e appaiono di volta in volta eccessive, non allineate, sproporzionate, difficilmente comprensibili, trascurabili, ininfluenti, folli. Ed egli stesso viene sentito spesso come insopportabile o deriso come sognatore o considerato come presenza di cui si puรฒ tranquillamente non tener conto alcuno. Potremmo dire che il profeta rappresenta nella sua carne, nel suo messaggio, nella sua vita, nelle sue parole, insomma, nella sua stessa persona, lโ€™alteritร  di Dio che forzatamente si scontra con il sentire e pensare umani. 

Nella parabola evangelica odierna emerge un elemento macroscopico di tale alteritร  che distanzia Dio dallโ€™uomo: lโ€™invio del figlio, da parte del padrone della vigna, a ritirare i frutti del raccolto dopo che i servi inviati in precedenza erano stati maltrattati, percossi e perfino uccisi. Il retropensiero con cui il โ€œpadrone di casaโ€ (oikodespฯŒtes: Mt 21,33) prende tale decisione appare sconcertante e azzardato: โ€œAvranno rispetto per mio figlio!โ€ (21,37). Coloro che non hanno avuto riguardo per gli altri uomini inviati perchรฉ mai dovrebbero averne per il figlio? La brama di possesso รจ potente e conduce gli uomini a essere senza scrupoli e a mettere in atto tutto ciรฒ che puรฒ contribuire al raggiungimento del loro scopo. E costoro hanno giร  mostrato una brutale capacitร  di violenza, oltre ad avere occupato la vigna, cioรจ a ritenerla ormai un loro possesso, non un bene affidato e di cui rendere conto.

Ma forse possiamo dare un contenuto, una forma e un nome allโ€™agire cosรฌ poco prudente da parte del padrone della vigna che evoca e rinvia discretamente allโ€™agire divino. Nella parabola lucana del giudice iniquo e della vedova insistente (Lc 18,1-8), il giudice che non voleva rendere giustizia alla povera donna โ€œnon aveva riguardo per lโ€™uomoโ€ (vb.ย entrรฉpo, come in Mt 21,37) cosรฌ come โ€œnon temeva Dioโ€ (Lc 18,2.4). Eppure quel giudice arrivรฒ a fare giustizia alla donnaย nonostanteย se stesso e a seguito dellโ€™insistenza ossessivaย della donna. Il padrone della vigna, e dietro a lui, il Dio a cui egli rinvia, sembra agire nello stesso modo:ย nonostanteย abbia ben visto il comportamento criminoso dei fittavoli egli invia il figlio, eย insiste ostinatamenteย a bussare alla porta di quegli uomini.ย 

Forseย cambieranno finalmente atteggiamento. Dietro a quelย forseย sta lโ€™atto di fiducia che Dio fa allโ€™uomoย nonostanteย lโ€™uomo stesso, atto di fiducia che si esprime nellโ€™agire perseverante, ostinato, che non si lascia fermare nemmeno dalla violenza e dal male. Dice lโ€™inizio della lettera agli Ebrei: โ€œDio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondoโ€ (Eb 1,1-2). Il Primo Testamento ricorda che i profeti non solo incontrarono il non-ascolto (2Cr 24,19; Ger 7,25-26), ma furono fustigati e messi in ceppi (Ger 20,2), uccisi di spada (Ger 26,23), lapidati (2Cr 24,21) da coloro a cui erano inviati.

Insomma: i figli dโ€™Israele โ€œhanno ucciso i tuoi profeti, che li ammonivano per farli tornare a te, e ti hanno insultato gravementeโ€ (Ne 9,26). Dio fa fiducia allโ€™uomo nonostante lโ€™uomo stesso e, conoscendo quel legno storto che รจ lโ€™umanitร , cerca di raggiungerlo attraverso vie che non sono nรฉ diritte nรฉ lineari, ma attraversate dalla follia di un agire in cui egli stesso rischia in prima persona: un padre che mette a rischio il figlio mette a rischio se stesso in quanto padre. E quando la parabola afferma che i contadini, una volta riconosciuto il figlio del padrone e dopo aver deciso di ucciderlo per impadronirsi dellโ€™ereditร , โ€œlo presero, lo cacciaronoย fuoriย dalla vigna e lo ucciseroโ€ (21,39), essa allude allโ€™uccisione di Gesรน, il Messia, il quale โ€œsubรฌ la passioneย fuoriย dalla porta della cittร โ€ (Eb 13,12).

La domanda con cui Gesรน chiede ai suoi interlocutori come si comporterร  il padrone quando verrร  di persona nella sua vigna (21,40) trova la loro risposta univoca: โ€œQuei malvagi, li farร  morire miseramente e darร  in affitto la vigna ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempoโ€ (21,41). Alla luce di quanto segue, questa risposta suona come unโ€™autocondanna: sono loro che pronunciano il giudizio su se stessi. Infatti, il rimando alle Scritture e le parole forti di Gesรน rivolte espressamente al voi degli interlocutori (21,42-43: โ€œnon avete mai lettoโ€ฆ? Io vi dico โ€ฆ vi sarร  tolto il Regno di Dio โ€ฆโ€) consentono al narratore evangelico di terminare lโ€™episodio affermando che โ€œi capi dei sacerdoti e i farisei capirono che [Gesรน] parlava di loroโ€. La parabola successiva (Mt 22,1-14) specificherร  che tale giudizio di condanna si realizzerร  con la distruzione di Gerusalemme: โ€œIl re mandรฒ le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro cittร โ€ (22,7). Ma la riflessione piรน importante che la parabola ci conduce a fare riguarda la gente che riceverร  il Regno di Dio e ne darร  i frutti (v. 43). 

Il testo lascia aperta la questione circa lโ€™identitร  dellโ€™รฉthnos, โ€œgenteโ€, โ€œpersoneโ€ a cui โ€œsarร  dato il Regno di Dioโ€ (21,43). Non si tratta di unย laรฒs, โ€œpopoloโ€, e il termineย รฉthnosย non ha valore teologico o etnico. Non รจ dunque fondata lโ€™idea di vedervi unโ€™allusione alla chiesa che si sostituirebbe in qualitร  di nuovo o vero Israele alla vigna-Israele. Nessun sostituzionismo puรฒ essere fatto emergere dal nostro testo. รˆ invece importante notare che elemento caratterizzante e identificante questa entitร  รจ ilย fare frutti. Per il primo evangelista i frutti sono quelli che rivelano la qualitร  della persona umana, la sua bontร  o meno: โ€œdal frutto si riconosce lโ€™alberoโ€ (Mt 12,33; cf. 7,20); sono i frutti che mostrano che il cuore umano ha saputo accogliere il seme della parola e comprenderla e dare frutto seppure in misure differenti (cf. Mt 13,23).

Il piano pratico, etico, dei frutti, visibilizza il piano spirituale della conversione: quello รจย il fruttoย decisivo richiesto a tutti. Quello il frutto giร  richiesto da Giovanni Battista a chi si recava da lui per ricevere lโ€™immersione battesimale: โ€œFate un frutto (al singolare) degno della conversione (metรกnoia)โ€ (Mt 3,8). La centralitร  โ€œpraticaโ€ dei frutti รจ analoga a quella delleย opereย che sarร  determinante nel giudizio universale, secondo la pagina di Mt 25,31-45. In Matteo possiamo vedere lโ€™abbozzo di unaย ecclesiologia dei fruttiย che crea una chiesa non istituzionale, non riservata a chi pronuncia una retta confessione di fede (โ€œNon chiunque mi dice โ€˜Signore, Signoreโ€™, entrerร  nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontร  del Padre mioโ€: Mt 7, 21) e di cui fan parte quanti pongono in atto le opere dellโ€™amore, i gesti dellโ€™attiva caritร  e della giustizia che discrimineranno tra buon grano e zizzania (Mt 13,36-43). Una chiesa che Dio solo conosce, tanto che va ben oltre le convinzioni delle singole persone, come emerge dalla domanda โ€œquando mai, Signore?โ€ che nel giudizio finale tutti rivolgeranno, sorpresi e sconcertati, al Giudice escatologico (Mt 25,39.44).

Per gentile concessione del Monastero di Bose

- Pubblicitร  -