Fare frutti
Tanto la prima lettura (Is 5,1-7) quanto il vangelo (Mt 21,33-43) di questa domenica sottolineano il tema delย fare: cโรจ unย fare di Dioย โ dice Isaia โ che attende unย fare umanoย come risposta; in particolare, Dio attende da parte della vigna-Israele un fare frutti adeguati (Is 5,2.4.7). La prassi del credente โ dice Matteo attraverso la parabola che mette in scena una vigna e dei contadini incaricati di coltivarla per consegnarne poi i frutti al padrone โ รจ unย fare frutto. Lโagire cristiano, pastorale in specie, rischia spesso la cecitร dellโattivismo, la pigrizia della forza dโinerzia, la routine della stanchezza, lโinsipienza di chi ha โfreddo il senso e perduto il motivo dellโazioneโ (Thomas Stearns Eliot).
Il raffreddarsi della caritร (cf. Mt 24,12) si puรฒ accompagnare a un fare compulsivo e senza discernimento. La fede nel fare di Dio per lโuomo, dunque nel suo amore, รจ il fondamento dellโagire del credente. Il fare di Dio per la sua vigna รจ unย lavorareย (cf. Is 5,2) che ne esprime lโamore (cf. Is 5,1).ย Lโamore รจ un lavoro, una fatica: la โfatica dellโamoreโ (1Ts 1,3). Anche per lโuomo, lungi dallโessere unโattivitร facile e immediatamente disponibile, lโamore รจ un lavoro che esige unโascesi. La maturitร umana trova nella capacitร diย lavorare efficacementeย e diย amare in modo adultoย due elementi qualificanti decisivi. Lโamore divino nutre unโattesa nei confronti dellโamato: secondo il testo di Isaia, non attende amore di ritorno, maย giustiziaย (cf. Is 5,7). La giustizia umana onora lโamore di Dio. Lโamore che attende qualcosa dallโamato esercita una dolce violenza, ma un amore che non attenda nulla dallโamato รจ semplicemente irreale.
Prima lettura e vangelo sono brani di teologia della storia, di rilettura della storia alla luce della fede. Isaia parla dellโagire di Dio verso il suo popolo e la parabola evangelica rilegge la storia degli invii dei profeti e del loro rigetto da parte del popolo, fino allโinvio del Figlio. Emerge la difficoltร di discernere il servo di Dio, il profeta. Lโalteritร insostenibile di Dio diviene lโalteritร del profeta che si traduce nella sua presenza scomoda, imprevedibile, โingestibileโ, non racchiudibile in etichette del tipo โprogressistaโ o โconservatoreโ. Uomo del pathos di Dio, le reazioni del profeta agli eventi storici ed ecclesiali sfidano il buon senso e il comune sentire religioso e appaiono di volta in volta eccessive, non allineate, sproporzionate, difficilmente comprensibili, trascurabili, ininfluenti, folli. Ed egli stesso viene sentito spesso come insopportabile o deriso come sognatore o considerato come presenza di cui si puรฒ tranquillamente non tener conto alcuno. Potremmo dire che il profeta rappresenta nella sua carne, nel suo messaggio, nella sua vita, nelle sue parole, insomma, nella sua stessa persona, lโalteritร di Dio che forzatamente si scontra con il sentire e pensare umani.
Nella parabola evangelica odierna emerge un elemento macroscopico di tale alteritร che distanzia Dio dallโuomo: lโinvio del figlio, da parte del padrone della vigna, a ritirare i frutti del raccolto dopo che i servi inviati in precedenza erano stati maltrattati, percossi e perfino uccisi. Il retropensiero con cui il โpadrone di casaโ (oikodespฯtes: Mt 21,33) prende tale decisione appare sconcertante e azzardato: โAvranno rispetto per mio figlio!โ (21,37). Coloro che non hanno avuto riguardo per gli altri uomini inviati perchรฉ mai dovrebbero averne per il figlio? La brama di possesso รจ potente e conduce gli uomini a essere senza scrupoli e a mettere in atto tutto ciรฒ che puรฒ contribuire al raggiungimento del loro scopo. E costoro hanno giร mostrato una brutale capacitร di violenza, oltre ad avere occupato la vigna, cioรจ a ritenerla ormai un loro possesso, non un bene affidato e di cui rendere conto.
Ma forse possiamo dare un contenuto, una forma e un nome allโagire cosรฌ poco prudente da parte del padrone della vigna che evoca e rinvia discretamente allโagire divino. Nella parabola lucana del giudice iniquo e della vedova insistente (Lc 18,1-8), il giudice che non voleva rendere giustizia alla povera donna โnon aveva riguardo per lโuomoโ (vb.ย entrรฉpo, come in Mt 21,37) cosรฌ come โnon temeva Dioโ (Lc 18,2.4). Eppure quel giudice arrivรฒ a fare giustizia alla donnaย nonostanteย se stesso e a seguito dellโinsistenza ossessivaย della donna. Il padrone della vigna, e dietro a lui, il Dio a cui egli rinvia, sembra agire nello stesso modo:ย nonostanteย abbia ben visto il comportamento criminoso dei fittavoli egli invia il figlio, eย insiste ostinatamenteย a bussare alla porta di quegli uomini.ย
Forseย cambieranno finalmente atteggiamento. Dietro a quelย forseย sta lโatto di fiducia che Dio fa allโuomoย nonostanteย lโuomo stesso, atto di fiducia che si esprime nellโagire perseverante, ostinato, che non si lascia fermare nemmeno dalla violenza e dal male. Dice lโinizio della lettera agli Ebrei: โDio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondoโ (Eb 1,1-2). Il Primo Testamento ricorda che i profeti non solo incontrarono il non-ascolto (2Cr 24,19; Ger 7,25-26), ma furono fustigati e messi in ceppi (Ger 20,2), uccisi di spada (Ger 26,23), lapidati (2Cr 24,21) da coloro a cui erano inviati.
Insomma: i figli dโIsraele โhanno ucciso i tuoi profeti, che li ammonivano per farli tornare a te, e ti hanno insultato gravementeโ (Ne 9,26). Dio fa fiducia allโuomo nonostante lโuomo stesso e, conoscendo quel legno storto che รจ lโumanitร , cerca di raggiungerlo attraverso vie che non sono nรฉ diritte nรฉ lineari, ma attraversate dalla follia di un agire in cui egli stesso rischia in prima persona: un padre che mette a rischio il figlio mette a rischio se stesso in quanto padre. E quando la parabola afferma che i contadini, una volta riconosciuto il figlio del padrone e dopo aver deciso di ucciderlo per impadronirsi dellโereditร , โlo presero, lo cacciaronoย fuoriย dalla vigna e lo ucciseroโ (21,39), essa allude allโuccisione di Gesรน, il Messia, il quale โsubรฌ la passioneย fuoriย dalla porta della cittร โ (Eb 13,12).
La domanda con cui Gesรน chiede ai suoi interlocutori come si comporterร il padrone quando verrร di persona nella sua vigna (21,40) trova la loro risposta univoca: โQuei malvagi, li farร morire miseramente e darร in affitto la vigna ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempoโ (21,41). Alla luce di quanto segue, questa risposta suona come unโautocondanna: sono loro che pronunciano il giudizio su se stessi. Infatti, il rimando alle Scritture e le parole forti di Gesรน rivolte espressamente al voi degli interlocutori (21,42-43: โnon avete mai lettoโฆ? Io vi dico โฆ vi sarร tolto il Regno di Dio โฆโ) consentono al narratore evangelico di terminare lโepisodio affermando che โi capi dei sacerdoti e i farisei capirono che [Gesรน] parlava di loroโ. La parabola successiva (Mt 22,1-14) specificherร che tale giudizio di condanna si realizzerร con la distruzione di Gerusalemme: โIl re mandรฒ le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro cittร โ (22,7). Ma la riflessione piรน importante che la parabola ci conduce a fare riguarda la gente che riceverร il Regno di Dio e ne darร i frutti (v. 43).
Il testo lascia aperta la questione circa lโidentitร dellโรฉthnos, โgenteโ, โpersoneโ a cui โsarร dato il Regno di Dioโ (21,43). Non si tratta di unย laรฒs, โpopoloโ, e il termineย รฉthnosย non ha valore teologico o etnico. Non รจ dunque fondata lโidea di vedervi unโallusione alla chiesa che si sostituirebbe in qualitร di nuovo o vero Israele alla vigna-Israele. Nessun sostituzionismo puรฒ essere fatto emergere dal nostro testo. ร invece importante notare che elemento caratterizzante e identificante questa entitร รจ ilย fare frutti. Per il primo evangelista i frutti sono quelli che rivelano la qualitร della persona umana, la sua bontร o meno: โdal frutto si riconosce lโalberoโ (Mt 12,33; cf. 7,20); sono i frutti che mostrano che il cuore umano ha saputo accogliere il seme della parola e comprenderla e dare frutto seppure in misure differenti (cf. Mt 13,23).
Il piano pratico, etico, dei frutti, visibilizza il piano spirituale della conversione: quello รจย il fruttoย decisivo richiesto a tutti. Quello il frutto giร richiesto da Giovanni Battista a chi si recava da lui per ricevere lโimmersione battesimale: โFate un frutto (al singolare) degno della conversione (metรกnoia)โ (Mt 3,8). La centralitร โpraticaโ dei frutti รจ analoga a quella delleย opereย che sarร determinante nel giudizio universale, secondo la pagina di Mt 25,31-45. In Matteo possiamo vedere lโabbozzo di unaย ecclesiologia dei fruttiย che crea una chiesa non istituzionale, non riservata a chi pronuncia una retta confessione di fede (โNon chiunque mi dice โSignore, Signoreโ, entrerร nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontร del Padre mioโ: Mt 7, 21) e di cui fan parte quanti pongono in atto le opere dellโamore, i gesti dellโattiva caritร e della giustizia che discrimineranno tra buon grano e zizzania (Mt 13,36-43). Una chiesa che Dio solo conosce, tanto che va ben oltre le convinzioni delle singole persone, come emerge dalla domanda โquando mai, Signore?โ che nel giudizio finale tutti rivolgeranno, sorpresi e sconcertati, al Giudice escatologico (Mt 25,39.44).
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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