Giustizia e bontร
Nella prima lettura di questa domenica (Is 55,6-9), la dichiarazione divina trasmessa dal profeta โi miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vieโ (55,8) trova unโesposizione narrativa nella parabola evangelica (Mt 20,1-16) secondo la quale gli operai che hanno lavorato unโora sola nella vigna del padrone ricevono una paga identica a quella di coloro che hanno lavorato tutto il giorno. Nello scandalo patito dagli operai della prima ora vi รจ tutta la distanza tra il pensare e lโagire di Dio e il pensare e lโagire degli uomini. Ma quella distanza costituisce anche lo spazio per la conversione. E di conversione parla il brano di Isaia.
Lโanonimo profeta che annuncia la fine dellโesilio babilonese, autore dei capitoli 40-55 contenuti nella raccolta posta sotto il nome di Isaia, ha ormai annunciato la vicinanza di Dio, la prossimitร della sua venuta (Is 40,10): imminente รจ la fine della deportazione, occorre disporsi a partire per il rientro in terra dโIsraele (Is 55,12-13). Ma questo cammino geografico trova tutto il suo valore come cammino di fede, ovvero, come ritorno a Dio, come conversione: e il ritorno al Signore comporta da parte dellโuomo lโabbandono delleย proprie vieย (Is 55,7), delle strade usuali che lโuomo batte nellโinerzia dellโabitudine, cosรฌ come lโabbandono deiย propri pensieriย (Is 55,7), i pensieri e i progetti che nella pigrizia del suo mondo interiore egli coltiva, per accedere a quelle vie e a quei pensieri che Dio prepara con la sua parola (cf. Is 55,10-11).
Solo cosรฌ lโuomo puรฒ far spazio in sรฉ allโaccoglienza delย novumย che Dio crea nellโoggi storico. Ma cosa comporta questo movimento di conversione? Certamente esso richiede laย preghiera: โCercate il Signore, mentre si fa trovare,ย invocatelo, mentre รจ vicinoโ (Is 55,6). Infatti, โil Signore รจ vicino a quanti lo invocanoโ (Sal 145,18). E richiedeย lโascolto obbediente della sua parola: โAscoltatemi โฆ Porgete lโorecchio e venite a me, ascoltate e vivreteโ (Is 55,2-3). La preghiera scava nel cuore umano lo spazio alla parola di Dio che รจ la via da seguire, la strada da percorrere. Fin dai primi versetti il Salmo 119 afferma che la parola del Signore รจ la via in cui lโuomo deve camminare, ovvero, รจ la luce che egli deve assumere come direttrice della sua vita, รจ la lampada ai suoi passi, รจ il pensiero che orienta la direzione del suo vivere. La conversione richiede dunque un incontro trasformativo tra pensieri dellโuomo e pensiero di Dio, tra vie dellโuomo e via di Dio.
E per questo รจ necessaria la conoscenza di sรฉ e di Dio, dei propri pensieri e dei pensieri di Dio. Lo esprime bene un passo del libro di Giuditta: โSe non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dellโuomo nรฉ di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni?โ (Gdt 8,14). Ecco che la ricerca di Dio comprende anche il faticoso lavoro di scavo del cuore umano, di conoscenza di sรฉ da parte dellโuomo. Se infatti la ricerca che arriva a trovare Dio รจ quella fatta โcon tutto il cuoreโ (Dt 4,29: โCercherai il Signore, tuo Dio, e lo troverai, se lo cercherai con tutto il cuoreโ; Ger 29,13-14: โMi cercherete e mi troverete, perchรฉ mi cercherete con tutto il cuore; mi lascerรฒ trovare da voiโ), questa ricerca, per non esaurirsi in uno spiritualismo disincarnato, deve accompagnarsi a quella conoscenza di sรฉ che sola permette di porsi davanti a Dio con spietata sinceritร al fine di sperimentare lโopera trasformatrice della sua parola.
La pagina evangelica esplicita la distanza che si viene a creare tra i pensieri e il cuore di Dio, la cui presenza va colta in filigrana dietro al โpadrone della vignaโ (Mt 20,8), e quelli dei lavoratori della prima ora (โi primiโ: 20,10), ma in veritร essa evidenzia tale distanza anche, e forse soprattutto, con i pensieri e il cuore dei lettori della parabola. Dunque: con noi. La strategia narrativa della parabola รจ tutta volta a suscitare aspettative nei primi chiamati come nel lettore per poi deluderle in modo inatteso, sorprendente, anzi, sconcertante, quasi brutale. Il padrone esce allโalba, alle sei del mattino, per ingaggiare operai per la sua vigna, presumibilmente per la vendemmia, e li manda a lavorare dopo essersi accordato con loro per un denaro al giorno. Uscito alle nove โarruolaโ altri operai promettendo di dare loro il โgiustoโ (20,4).
Altrettanto fa a mezzogiorno e alle tre del pomeriggio (20,5). La distanza di tre ore che separa le varie assunzioni lโuna dallโaltra si spiega con la divisione del giorno in quattro parti. Colpisce la chiamata e lโassunzione di operai anche alle cinque del pomeriggio, quando ormai la giornata lavorativa sta per finire (20,6-7). Questa azione di per sรฉ poco verisimile e poco sensata รจ funzionale al messaggio che la parabola intende trasmettere. Il lettore รจ dunque informato circa lavoratori che hanno iniziato a lavorare al mattino presto e con i quali รจ stata pattuita la cifra di un denaro come pagamento; quindi di altri che sono stati assunti a ore successive e a cui รจ stato promesso un pagamento giusto. E ovviamente, il lettore immagina che la โgiustiziaโ del pagamento di chi ha lavorato meno andrร valutata a partire dalla somma promessa ai primi chiamati.
โGiunta la seraโ (20,8), la giornata lavorativa volge al termine e viene il momento di corrispondere la paga agli operai. Sta scritto: โDarai allโoperaio il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole” (Dt 24,15; cf. Lv 19,13). E qui il lettore incontra la prima sorpresa: il padrone incarica il fattore di effettuare il pagamento cominciando dagli ultimi. Questa strategia narrativa รจ volta a consentire ai primi chiamati di vedere quanto viene dato a coloro che sono stati chiamati dopo di loro e hanno lavorato meno. E vediamo che lโinteresse si focalizza suiย primiย e sugliย ultimiย (20,8) tralasciando le fasce intermedie dei chiamati. La dialettica primi-ultimi, anzi ultimi-primi, al cuore della parabola รจ funzionale alla frase che incornicia la parabola allโinterno di unโinclusione: โMolti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primiโ (19,30); โCosรฌ gli ultimi saranno primi e i primi, ultimiโ (20,16).
Ovviamente, nel cuore dei primi chiamati si fa strada lโaspettativa di un pagamento piรน alto rispetto a quello ricevuto dagli altri che hanno lavorato meno di loro. Non รจ forse questa la giustizia? Non consiste forse nella corrispondenza tra lavoro effettuato e retribuzione? Nella proporzionalitร tra prestazione e salario? E non รจ forse questo che pensa anche il lettore? E non sale anche alle sue labbra la protesta: โNon รจ giusto!โ di fronte al fatto che anche chi ha lavorato unโora sola riceva quanto chi ha faticato tutto il giorno? Vi รจ qui qualcosa di inaccettabile.
Ecco dunque che dallโaspettativa coltivata nel segreto, dai pensieri nutriti nel cuore (โpensarono che avrebbero ricevuto di piรนโ: 20,10), i primi chiamati passano alla delusione che diviene contestazione del padrone: essi mormorano contro di lui (20,11-12) il quale ribatte affermando di aver agito con giustizia onorando il patto stabilito con loro e di aver agito con bontร verso gli ultimi (20,14-15). Che sia questo agire buono e generoso che ha infastidito i primi? In fondo, ai primi non รจ stato sottratto nulla. Perchรฉ ciรฒ che inizialmente era ritenuto giusto ora appare come unโingiustizia?
Ricordiamo anzitutto che una parabola ha un insegnamento teologico e se anche parla di pastori o pescatori o contadini non intende insegnare il mestiere del pastore o del pescatore o del contadino: questa parabola non intende affrontare temi di etica sociale o di diritto del lavoro o il rapporto padrone โ dipendente o il problema della disoccupazione (cf. 20,3.6-7). Ma intende affermare che la logica di gratuitร di Dio scardina le leggi ferree di corrispondenza tra lavoro e salario e lascia intravedere un mondo segnato non piรน da queste pur razionali e imprescindibili misure umane di equitร , ma dalla sovrabbondante bontร di Dio, dalla sua sconcertante gratuitร . โIl Regno dei cieli รจ simile a un padrone di casa โฆโ (20,1).
Chiediamoci inoltre da dove nasca il conflitto. In realtร , tutto parte da un accordo: padrone e lavoratore si sono accordati (vb. symphonรฉo: 20,2.13) per la paga di un denaro. Il problema inizia con lโentrata in gioco del terzo โ i lavoratori assunti piรน tardi, in particolare quelli dellโundicesima ora โ, o meglio, con la constatazione che essi sono stati equiparati nel trattamento ai primi. โLi hai fatti pari a noiโ, dice letteralmente il testo (20,12). Il paragone con questi ingenera nellโimmaginazione e nella dinamica del desiderio dei primi lโattesa di un di piรน, e questa attesa viene smascherata dalle parole del padrone come invidia: โSei invidioso perchรฉ io sono buono?โ (20,15). Letteralmente: โIl tuo occhio รจ cattivo perchรฉ io sono buono?โ. Lโinvidia รจ la mancanza di libertร di chi pensa e valuta se stesso a partire da un altro: da ciรฒ che un altro ha o รจ: vedendo la paga degli ultimi arrivati, i primi si sentono in diritto di pretendere piรน di quanto avevano liberamente pattuito. Lโinvidia si sposa con una certa naturalezza con lโaviditร . E in veritร arriva a non vedere (in-videre) piรน lโaltro in veritร ma neppure se stessi. E neppure la realtร : lโinvidia รจ una forma di idolatria.
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A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose



