Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 20 Agosto 2023

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Due uscite per un incontro

L’integrazione dei pagani nel popolo di Dio: questo il tema che unifica il brano di Isaia (Is 56,1.6-7) e il passo evangelico (Mt 15,21-28). In particolare, sia la prima lettura che il vangelo attestano la capacità di fede dell’altro, del non appartenente al popolo santo. Isaia parla di stranieri che “hanno aderito al Signore per servirlo e amarlo” (Is 65,6) osservando il sabato e restando saldi nella sua alleanza; nel vangelo Gesù testimonia la grande fede (15,28) della donna cananea che vince le sue resistenze a esaudirne la richiesta.

La pericope evangelica presenta l’incontro tra una donna e un uomo, tra una cananea e un figlio d’Israele, tra una donna straziata dal dolore per le sofferenze della figlia e il rabbì Gesù di Nazaret. La donna è “cananea” e questa specificazione la rende portatrice di una memoria storica di odio e inimicizia con i figli d’Israele pur essendo lei totalmente estranea a una storia che l’ha preceduta e di cui non ha alcuna responsabilità. La storia ancestrale di Canaan, dalla maledizione di Cam, “padre di Canaan” (Gen 9,18.22; cf. 9,25: “Sia maledetto Canaan”) ai conflitti con le popolazioni installate in quella terra di Canaan promessa da Dio ai figli d’Israele e condannate all’espulsione (Es 23,28-30; 33,2; 34,11; Gs 3,10) o allo sterminio (Es 23,23; Dt 7,1-2; 20,16-17), è storia di odio perpetuato e trasmesso ormai di generazione in generazione. E questa storia si riverbera impietosamente su questa donna fino a oscurare la drammaticità del suo vissuto, il coraggio e l’ostinazione della sua richiesta a Gesù, in una parola, la verità della sua persona. Quel “cananea” con cui Matteo la presenta (Marco, nel testo parallelo, parla di una donna “di lingua greca e di origine siro-fenicia”: Mc 7,26), catalizza verso di lei pregiudizi e proiezioni di un passato che sembra non passare mai. Di certo, l’annotazione matteana rende comprensibile l’atteggiamento di rifiuto e fastidio che dei figli d’Israele possono provare nei confronti di questa donna.

Poste queste premesse, ci si deve chiedere: che cosa rende possibile l’incontro? All’origine dell’incontro vi è un movimento di uscita messo in atto da entrambi. Il versetto 21 annota l’uscita di Gesù da Genesaret: “E uscito (exelthòn) di là Gesù …”, mentre il versetto 22 parla dell’uscita della donna dai confini di Tiro e Sidone: “Ed ecco, una donna cananea, uscita (exelthoûsa) da quei confini …”. Un medesimo movimento di uscita è la premessa necessaria al verificarsi dell’incontro. Gesù esce da Genesaret (Mt 14,34) e si reca verso la zona di Tiro e Sidone mentre la donna esce dal territorio di Tiro e Sidone (15,22). Tuttavia l’uscita compiuta è diversa: la donna esce per l’incontro, Gesù non vi è ancora pronto. Non è nemmeno chiaro se Gesù si arrivi a trovare in territorio pagano o si stia solamente “dirigendo verso di esso”: sembra che Gesù sia ancora sulla soglia di quel territorio da cui invece la donna è uscita. E l’uscita della donna è piena in quanto è intenzionale e si esprime in un immediato rivolgersi a Gesù con titoli e attributi tipicamente giudaici: lo chiama “Signore” (15,22.25.27) e soprattutto gli si rivolge con l’appellativo messianico “figlio di Davide” (15,22). L’invocazione “Pietà di me, Signore” (15,22), o anche, come potremmo tradurre, “Fammi misericordia”, “Abbi misericordia di me”, è espressione frequente nei Salmi, la preghiera d’Israele (cf. Sal 6,3; 9,14; 26,7; 30,10; 40,5.11; 55,2; 85,3; 122,3; secondo la versione greca dei LXX). La sua seconda invocazione, “Aiutami” (15,25) è anch’essa tipica dei Salmi (Sal 43,27; 69,6; 78,9; 108,26; 118,86.117; sempre secondo la LXX).

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Ovvero, la donna ha compiuto un’uscita non solo geografica, ma un vero e proprio esodo dal proprio mondo verso quello di Gesù; verso l’alterità di Gesù, figlio d’Israele. Gesù invece è ancora a metà del guado, è sulla soglia, non è ancora sufficientemente aperto e disponibile all’incontro e il suo reiterato rifiuto di rispondere positivamente alla supplica disperata della donna lo esprime con chiarezza. La donna cananea, quasi una replica neotestamentaria della moabita Ruth che si legò a Noemi accogliendo anche il suo Dio e il suo popolo, compie uno spossessamento di sé e si dimostra totalmente aperta all’incontro con Gesù con piena fiducia. Lei si fa straniera. Saprà essere riconosciuta e accolta?

Matteo scrive che Gesù “si ritirò” verso la regione di Tiro e di Sidone. Il verbo usato (anachoréo) è frequente in Matteo per indicare situazioni in cui qualcuno cerca di sfuggire a pericoli anche mortali (Mt 2,12.13.14.22), oppure è detto di Gesù dopo aver appreso dell’arresto di Giovanni il Battista (Mt 4,12), dopo che i farisei tennero consiglio per farlo morire (Mt 12,14-15), dopo aver ricevuto la notizia dell’uccisione del Battista (Mt 14,13). Nel nostro testo il ritiro di Gesù è preceduto da un’aspra controversia con scribi e farisei in cui Gesù li accusa di ipocrisia (Mt 15,1-9) e da un insegnamento sul puro e sull’impuro in cui si scontra con l’incomprensione dei suoi discepoli (Mt 15,10-20).

Quindi, nell’andare di Gesù, nel suo “uscire”, vi era anche un “allontanarsi”: forse l’“allontanarsi da” prevaleva sull’“uscire verso”. Forse (sottolineo il forse) Gesù si trova in un momento in cui le categorie di nemico (Tiro e Sidone sono figure emblematiche di nemici d’Israele: Is 23; Ez 26-28; Am 1,9-10) e di amico (popolo d’Israele, discepoli) sono in via di ridefinizione. E la ridefinizione avverrà per via di esperienza, grazie a ciò che la vita farà conoscere a Gesù vincendo anche sue convinzioni teologiche radicate. Di certo, quell’“ed ecco” (15,22) che introduce in scena la donna cananea esprime l’inatteso, l’impensato che coglie di sorpresa Gesù. E forse (ancora una volta, forse) proprio questa impreparazione di Gesù all’incontro, a quell’incontro, lo coglie senza difese e ne mostra un fianco scoperto evidenziando un aspetto che anche il lettore del vangelo è impreparato a ricevere.

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C’è un inatteso anche per il lettore: anche lui è sorpreso dall’atteggiamento chiuso di Gesù, dal suo essere refrattario all’incontro, insensibile alla richiesta della donna. Un Gesù che smentisce l’insegnamento e la prassi di misericordia che caratterizzano la sua missione e la sua interpretazione della volontà di Dio: per due volte egli ha già ricordato la parola di Dio trasmessa dal profeta Osea: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Os 6,6; Mt 9,13; 12,7). Anzi, ha citato quella frase, espressione sintetica del volere divino, criticando i suoi avversari, i farisei, che contestavano la sua vicinanza a peccatori e pubblicani (Mt 9,10-13) e la sua libertà nell’interpretare le tradizioni sul sabato (Mt 12,1-8).

Nell’episodio della donna cananea, Gesù sembra in contraddizione con se stesso. In un primo momento si rifiuta di ascoltare l’implorazione della donna e non le risponde nemmeno una parola (15,23). Rivolgerà la parola – una parola dura, inflessibile, che non ammette repliche – ai discepoli che lo pregano di rinviare la donna che li infastidisce con la sua presenza petulante: “Esaudiscila (o: “mandala via”: cf. Mt 14,15), perché ci viene dietro gridando” (15,23). Gesù oppone loro la coscienza rigorosa dell’esclusività della sua missione per i figli d’Israele, “per le pecore perdute della casa d’Israele” (15,24). Esclusività che Gesù aveva anche trasmesso ai discepoli nel discorso di invio in missione: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10,5-6).

Infine Gesù replica con parole perfino offensive alla donna che per la terza volta lo supplica: ai figli (Israele) oppone i cani (i pagani), alle pecore perdute i cani domestici: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani domestici” (15,26). La risposta è dura ma almeno per la prima volta Gesù si rivolge alla cananea e proprio la donna, con la sua replica immediata a Gesù, istituisce una commensalità di parola con lui: “Sì, Signore, eppure anche i cani domestici mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (15,27). Gesù risponde alla donna (15,28) e per la prima volta nel racconto la sua risposta è un’assunzione di responsabilità e un prendere sul serio questa donna (cf. invece le risposte precedenti: 15,23.24.26).

Anzi, la frase della donna ha il valore di una rivelazione che apre gli occhi a Gesù portandolo a riconoscerne la fede e provocando una svolta anche nella concezione della missione e dell’annuncio della salvezza che ormai sarà apertamente rivolto a tutti i popoli: Mt 24,14; 26,13; 28,19. Anzi, Gesù, che ha sempre rimproverato la “poca fede”, la “fede piccola” (oligopistía) dei discepoli (Mt 6,30; 8,26; 14,31; 16,8), ora riconosce la “fede grande” di questa donna. La cananea accetta in toto la visione di Gesù e inserendosi nella sua visione (i figli, la tavola, i cagnolini domestici) gli chiede di spostare il punto di vista, di abbassare lo sguardo e di guardare anche a chi si trova sotto la tavola e si accontenta delle briciole. A quel punto Gesù le dice: “Avvenga a te (ghenethéto soi) come tu vuoi (ōs théleis)” (15,28).

Alla luce dell’espressione del Padre nostro (“Avvenga la tua volontà”: ghenethéto tò thélemá sou: Mt 6,10) possiamo dire che il volere della donna viene inquadrato nel volere di Dio: gentili e figli d’Israele sono destinatari dell’unico annuncio di salvezza, pecore perdute e cagnolini domestici possono convivere.

A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose