Luciano Manicardi – Commento al Vangelo di domenica 17 Settembre 2023

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Un perdono paradossale

Il tema delย perdonoย unisce prima lettura (Sir 27,33-28,7) e vangelo (Mt 18,21-35) di questa XXIV domenica del tempo Ordinario dellโ€™annata A. Tuttavia, in entrambi i testi il perdono, realtร  tuttโ€™altro che โ€œnaturaleโ€ tra gli umani, emerge in mezzo a dimensioni opposte e diffuse tra gli umani quali lโ€™odio, il rancore, la vendetta, la collera (Sir 27,33; 28,1.3.6), la spietatezza, la disumanitร , la violenza brutale, lโ€™oblio dei benefici ricevuti (Mt 18,28.30.32-33). Inoltre in entrambi i testi viene posto in luce il rapporto tra misericordia e perdono di Dio da un lato e perdono umano dallโ€™altro: lโ€™uomo puรฒ attendersi legittimamente il perdono divino nella misura in cui anchโ€™egli esercita il perdono verso i suoi simili.

Il testo del Siracide afferma che la credibilitร  della preghiera rivolta a Dio per ottenere il perdono si fonda sulla pratica concreta del perdono gli uni verso gli altri: โ€œPerdona lโ€™offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come puรฒ chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per lโ€™uomo suo simile, come puรฒ supplicare per i propri peccati?โ€ (Sir 28,2-4). Altrettanto emerge dal brano evangelico che stigmatizza il comportamento del servo che, avendo beneficiato della remissione di un debito enorme da parte di un re (รกnthropos basileรบs: 18,23) e padrone (kรฝrios: 18,25.27.31.32.34) che si impietosisce davanti alla sua supplica, si mostra ferocemente spietato nei confronti di un suo compagno di servitรน che gli doveva una cifra infinitamente minore e non ascolta la sua implorazione facendolo gettare in prigione.

Inoltre, il Gesรน di Matteo, insegnando a pregare ai discepoli, aveva consegnato loro queste parole: โ€œRimetti a noi i nostri debitiย comeย noi li rimettiamo ai nostri debitoriโ€ (Mt 6,12). E aveva subito aggiunto: โ€œSe voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerร  anche a voi, ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerร  le vostre colpeโ€ (Mt 6,14-15). Lโ€™insegnamento รจ chiaro:ย la richiesta di perdono a Dio รจ credibile se accompagnata dalla disponibilitร  e dalla concreta pratica del perdono fraterno.

Il passo del Siracide elenca odio, rancore e vendetta come atteggiamenti umanamente distruttivi e che allontanano da Dio. Che cosa li unifica? Un difetto di sguardo. Il rancore e la vendetta dicono di uno sguardo che รจ rimasto pietrificato, rivolto al passato. Nella vendetta, nel rancore e nel risentimento lo sguardo resta ancorato al passato, a ciรฒ che รจ avvenuto un tempo ma che non si vuol far passare con il coraggio del perdono. Il perdono aprirebbe il futuro. La vendetta resta rancorosamente attaccata al passato. Essa รจ una ribellione contro il trascorrere del tempo e uno stravolgimento dellโ€™ordine del tempo: non accetta che il passato sia ciรฒ che รจ, ovvero passato, e fossilizza la volontร  al passato.

Essa vede il presente con gli occhi sbarrati e fermi al passato. Cosรฌ la vendetta instaura un nuovo ordine del tempo, tutto centrato sul passato. In questo sconvolgere e ricreare lโ€™ordine del tempo la vendetta mostra il suo fascino divino, ma i suoi esiti non sono che mortiferi. E noi vediamo come questi sentimenti siano tutti afferenti a una medesima costellazione negativa. E tutti dicano di un difetto o perversione dello sguardo. Ma anche lโ€™odio implica un difetto dello sguardo. Lโ€™odio รจ cieco, e in questo sta la sua forza. Dove cieco non significa che non vede, ma che crede di vedere pur non vedendo.

Per esempio: odiare lโ€™immigrato che viene nelle nostre terre รจ assolutamente infondato: questโ€™uomo che io nemmeno conosco, non vedo, รจ tuttavia il destinatario del mio odio, grazie alla mia cecitร . Se lo vedessi, probabilmente non lo odierei. E non lo respingerei o non tenterei di eliminarlo. Lโ€™odio vive grazie a una distanza, a una negazione di prossimitร : solo mantenendomi nella mia cecitร  posso continuare a odiare. E ovviamente, il non vedere, il rifiutarsi di vedere lโ€™altro e il suo volto, consente allโ€™odiatore di darsi il permesso di non ascoltarlo, di non esporsi al racconto della sua storia, che sarebbe storia di sofferenza, di desiderio di vita, sarebbe una storia che lo rende simile a me in modo decisamente imbarazzante.

E questo non posso permetterlo. Questo rischio non posso correrlo. E allora, per poter odiare lโ€™altro devo tenere le distanze. Cosรฌ posso sostituire il suo volto e la sua voce, il suo corpo e la sua storia (che, come dicevamo, renderebberoย lโ€™altroย unย simile, unย mio simile), con ciรฒ che la mia paura proietta su di lui. Lโ€™altro รจ un appello che ci chiede di avvicinarci a lui, di guardarlo negli occhi, per scoprire la semplice veritร  cosรฌ ben espressa da un apologo buddista: โ€œCamminavo nella foresta, e vidi un’ombra, ed ebbi paura, pensando che fosse una bestia feroce. L’ombra si avvicinรฒ, e mi accorsi che era un uomo. Quando si fece ancora piรน vicina, mi accorsi che era un fratelloโ€. Parafrasando Edmond Jabรจs possiamo affermare: โ€œAvvicinati, dice lโ€™altro. A due passi da me sei ancora troppo lontano. Mi vedi per quel che sei tu e non per quel che io sonoโ€. Il rifiuto dellโ€™incontro, della vicinanza, del guardarsi negli occhi รจ ciรฒ che consente di odiare: visto da vicino, il nemico diventa un uomo, simile a me, e io vengo disarmato dal fatto che colgo che lui รจ come me, che lui รจ umano. Che lโ€™altro sono anche io. Che lui รจ come me.

Tuttavia la pagina evangelica afferma che anche questa vicinanza puรฒ non bastare per convertire il cuore umano. Il servo a cui รจ stato condonato il debito inestinguibile (diecimila talenti รจ cifra iperbolica, astronomica, assolutamente impossibile a essere ripagata) non vede se stesso come un graziato e non vede nelย conservoย (sรฝndoulos: Mt 18,28.29.33; dunque uno che condivide il suo status e da cui non รจ separato dalla distanza sociale e di rango che distanziano lui dal re e padrone) uno che si trova nella sua stessa condizione di debitore e cosรฌ non applica la misura di condono di cui lui stesso ha beneficiato. E il suo compagno di servitรน gli รจ debitore di una cifra risibile.

Non lo vede come suo prossimo, non lo vede come un altro se stesso, e si rende sordo alla sua supplica, in tutto simile a quella pronunciata da lui davanti al re (Mt 18,26.29). Non lo vede e non lo ascolta: si rifiuta di farlo. Inoltre il testo sottolinea la violenza del servo spietato che lo afferra con forza e lo soffoca (tenens suffocabat). La sproporzione tra il comportamento del re e quello del servo spietato sottolinea che questโ€™ultimo unisce nel suo comportamentoย cattiveriaย eย stupiditร . Che รจ la trascrizione in termini quotidiani della distinzione teologica tra peccati deliberati e peccati per ignoranza.

Non รจ forse anche stupido il servo che, dopo essersi visto condonare un debito immenso, si mostra senza pietร  nei confronti dellโ€™uomo che gli doveva una cifra infinitamente inferiore? Spesso il peccato รจ il frutto della congiunzione di cattiveria e stupiditร , di malvagitร  e ignoranza. O anche: spesso il peccatore, tanto รจ pericoloso, tanto รจ ridicolo. Interpretando la simbolica della parabola, il messaggio teologico รจ chiaro: il perdono che Dio attua nel Figlio Gesรน, il Messia, รจ incondizionato, unilaterale e radicale.

Il perdono divino perdona lโ€™imperdonabile. Capiamo che questa parabola sia stata narrata da Gesรน a sostegno della sua risposta a Pietro che lo aveva interrogato circa la misura del perdono nei confronti di chi si macchia di colpe personali (Mt 18,21-22). Dopo aver ascoltato le parole di Gesรน circa i peccati comunitari, Pietro chiede come ci si debba comportare se un fratello pecca โ€œcontro di meโ€ (18,21). La risposta di Gesรน รจ formulata da Matteo in modo tale da ribaltare completamente la logica di vendetta smisurata di Lamec: il settanta volte sette (o settantasette) del perdono (18,22) rovescia lโ€™identica misura della vendetta di Lamec (Gen 4,24: lโ€™espressioneย ebdomekontรกkis eptร ย ricorre solo in questi due passi in tutta la Bibbia). Siamo di nuovo al confronto tra vendetta e perdono.

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E siamo posti di fronte anche allaย paradossalitร  del perdono: esso รจ onnipotente nel senso che tutto puรฒ essere perdonato, ma anche infinitamente debole perchรฉ non รจ affatto detto che esso giunga a cambiare il cuore di chi lo riceve. E siamo di fronte anche alla difficoltร  del perdono che, se si esprime in modo efficace nella semplice frase โ€œIo ti perdonoโ€, comporta normalmente un percorso interiore lungo, complesso e tribolato. Comporta infatti la rinuncia alla volontร  di vendicarsi, il riconoscimento che si soffre per la ferita ricevuta, il dare il nome a ciรฒ che la ferita inflitta ci ha tolto irrimediabilmente, spesso comporta il faticoso perdono a se stessi, quindi il trovare un senso al male ricevuto, ovvero il farne qualcosa, perchรฉ, se non siamo responsabili del male che ci รจ stato fatto, diventiamo responsabili di ciรฒ che facciamo del male che abbiamo subito.

Questo percorso puรฒ perfino condurci a โ€œcomprendereโ€ lโ€™offensore: non nel senso di scusarlo, ma di coglierlo come un fratello (cf. Mt 18,21:ย adelphรณs) che il male ha allontanato da noi. A quel punto potrebbe anche avvenire la riconciliazione. Il tutto, comunque, allโ€™interno della fede nel perdono che noi stessi abbiamo giร  ricevuto da Dio in Cristo. Quel perdono a cui allude, nella nostra parabola, il condono del debito inestinguibile.

A cura di: Luciano Manicardi

Per gentile concessione del Monastero di Bose