Il prossimo mi riguarda
Il brano evangelico di questa domenica (Lc 10,25-37) contiene lโepisodio notissimo della parabola del Samaritano (Lc 10,29-37; lโaggiunta โbuonโ nel titolo di questa parabola conferisce una nota moralistica non richiesta dal testo) e il breve dialogo tra un dottore della Legge e Gesรน che la precede immediatamente (10,25-28). Si tratta di un testo fondamentale per cogliere il senso evangelico della prossimitร . Alla domanda โChi รจ il mio prossimo?โ (10,29) posta dal dottore della Legge, Gesรน risponde narrando la parabola e ponendo una contro-domanda: โChi รจ stato prossimo per lโuomo ferito?โ (cf. 10,36). Ovvero, โil prossimo non รจ un oggetto sociale, ma un comportamento in prima personaโ (Paul Ricoeur).
Commentando la stessa parabola Kierkegaard, ha scritto: โCristo non parla di conoscere il prossimo ma di diventare noi stessi il prossimo: โฆ il Samaritano non provรฒ che il malcapitato era il suo prossimo, ma che egli era il prossimo del malcapitatoโ. Il prossimo รจ responsabilitร personale, รจ azione, azione su di sรฉ. Il prossimo? ร la vocazione a cui io sono chiamato. Il prossimo? Non riguarda lโaltro, ma me stesso. Il prossimo? Non รจ una condizione, ma unโazione: โSi fece vicinoโ dice la parabola (10,34). Il prossimo non รจ semplicemente colui che mi รจ vicino fisicamente, ma รจ disponibilitร a farsi vicino, a divenire vicino, a spostarsi da dove si รจ per andare lร dovโรจ lโaltro.
La prossimitร non รจ uno stato, ma unโazione. E, ripeto, anzitutto unโazione su di sรฉ, in cui io decido di fare qualcosa di me. E lo decido sapendo che lโunico potere che ho e che posso esercitare con tutta legittimitร , รจ quello su me stesso. La prossimitร รจ una responsabilitร . Il Card. Carlo Maria Martini scrisse nella sua celebre Lettera Pastorale Farsi Prossimo: โIl prossimo non esiste giร . Prossimo si diventa. Prossimo non รจ colui che ha giร con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinitร psicologica. Prossimo divento io stesso nellโatto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssimaโ.
Ora, รจ importante cogliere la parabola in continuitร con il dialogo tra il dottore della legge e Gesรน. In questo modo, apparirร evidente che Gesรน cerca di far percorrere al dottore della Legge un cammino di conversione. Gesรน predispone un percorso che cerca di far passare il dottore della Legge dalla domanda segno di disimpegno e deresponsabilizzazione โ โChi รจ il mio prossimo?โ โ al farsi lui attivamente prossimo, e piรน in generale cerca di smuoverlo conducendolo dallโintellettualismo alla prassi, dal sapere al fare. Una volta che Gesรน ha narrato la parabola e ha posto la domanda al suo interlocutore su chi tra i personaggi della parabola sia stato veramente prossimo per lโuomo ferito dai briganti, il dottore della Legge risponde bene, in modo ortodosso (orthรดs: v. 28), ma non arriva a fare il legame tra sapere e fare, tra conoscenza delle Scritture e sofferenza dellโuomo, tra corpo delle Scritture e corpo dellโuomo ferito, tra spirito e mano. Capiamo cosรฌ lโammonimento che Gesรน ripete due volte e che insiste sullโagire, sul fare: โFaโ questo e vivrai!โ (Lc 10,28); โVaโ e anche tu faโ lo stessoโ (Lc 10,37). Il racconto di questa parabola ha dunque valenza di rivelazione anche per il dottore della Legge e sconvolge una credenza diffusa allโepoca: la domanda โchi รจ il mio prossimo?โ aveva come frequente risposta la successione in ordine di importanza โil sacerdote, il levita, il figlio dโIsraeleโ, mentre il Samaritano era annoverato tra coloro che meritavano lโodio e il rigetto. Nella parabola vi รจ rovesciamento di situazioni: quelli che bisognava amare in quanto prossimo (il sacerdote e il levita) si rivelano essere quelli che non amano, non esercitano alcuna solidarietร , non fanno misericordia (v. 37), mentre colui che si poteva e doveva odiare (il Samaritano) รจ colui che
concretamente esercita la solidarietร , perchรฉ รจ preso da compassione. Di certo qui Gesรน insegna che la solidarietร รจ un reale farsi prossimo allโaltro nella sua sofferenza.
La parabola presenta il caso di un uomo che, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico, incappa in briganti che lo feriscono, lo derubano e lo lasciano per strada mezzo morto. Passano di lรฌ prima un sacerdote, quindi un levita, ma entrambi, pur avendo visto lโuomo ferito, passano oltre e non gli prestano soccorso. Perchรฉ questo comportamento? Forse per non contrarre impuritร con un uomo ridotto in stato quasi cadaverico, ma forse vi รจ qualcosa di piรน radicale: lโuomo malato, il ferito, il sofferente, il morente puรฒ farci paura. E possiamo voltarci dallโaltra parte, o passare dallโaltra parte della strada, come il levita e il sacerdote, pur di non incontrare chi soffre.
Per entrare nella compassione che porta a fare tutto il possibile per il moribondo, non basta vedere lโuomo ferito, ma occorre anche vedere le proprie resistenze alla compassione, riconoscere che la sofferenza dellโaltro ci respinge e suscita in noi anche rigetto e ripugnanza. Non solo non ci attrae, ma ci impaurisce e ci induce a fuggire. Non รจ da escludere che la presenza dellโuomo ferito sia stata sentita come una vera e propria scocciatura che riempie di collera sacerdote e levita: โperchรฉ costui รจ lร a interrompere il mio cammino, i miei ritmi prefissati, i miei impegni, urgenti e improcrastinabili? Non posso permettermi di perdere tempo soccorrendolo: i miei doveri hanno la prioritร โ.
Si manifesta allora in me la volontร di escluderlo dal mio orizzonte, perchรฉ mi infastidisce: allora passo dallโaltra parte della strada. Scansandolo, mi illudo di sgravarmi la coscienza. Forse nel cuore di questi uomini si sono mossi pensieri di questo tipo. Forse. Tuttavia, credo che per leggere onestamente questa parabola dovremmo non tanto identificarci nel protagonista positivo, il Samaritano, ma comprendere che di noi fanno parte anche il sacerdote e il levita, e che i tre personaggi sono tre momenti dellโunico movimento faticoso verso un atteggiamento di vera compassione e prossimitร .
Anche noi, per arrivare alla vera prossimitร siamo chiamati a riconoscere le opposizioni che in noi ci sono alla solidarietร e alla compassione. E forse dovremmo cercare di guardare la scena della nostra parabola mettendoci nei panni dellโuomo ferito. Si entrerebbe in unโaltra visione del mondo e si potrebbe entrare nella storia di questโuomo che conosce quattro tappe:
1. ร un uomo normale, come me, come tutti, che sta facendo la sua strada (v. 30a).
2. Lโinatteso rende questโuomo quasi morto a causa della violenza. Questโuomo viene picchiato, ferito, rapinato, malmenato, condotto a un passo dalla morte (v. 30b).
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3. Davanti al sacerdote e al levita questโuomo diviene colui di cui non ci si prende cura, che patisce lโindifferenza omicida: sperimenta di non essere nulla, uno da evitare (vv. 31-32).
4. Davanti al Samaritano egli diviene lโuomo aiutato, soccorso, che conosce chi si prende gratuitamente cura di lui, colui che sperimenta la compassione dellโaltro (vv. 33-35).
Non basta vedere il sofferente: occorre fargli spazio in noi, far sรฌ che la sua sofferenza avvenga un poโ in noi. La compassione รจ la radice della prossimitร perchรฉ essa dice: โTu non sei solo perchรฉ la tua sofferenza รจ, in parte, la miaโ. Possiamo dire che la compassione รจ il โsottrarre il dolore alla sua solitudineโ. Davvero dunque i tre personaggi della parabola disegnano un unico percorso e unโunica storia, quella della compassione che fatica a farsi strada in noi, nel nostro cuore. Occorre saper vedere la propria paura, la mia paura che mi impedisce di cogliere la sua, di lui che รจ impotente e in balia del primo che si avvicina e gli puรฒ dare il colpo di grazia. Forse la mia paura di fronte allโaltro sofferente รจ la paura dellโisolamento in cui giace il ferito: se io accetto di incontrare in me questa solitudine spaventosa, forse potrรฒ farmi vicino allโaltro e diventare presenza nella sua solitudine.
Alla domanda di Gesรน su chi tra i personaggi della parabola รจ stato il prossimo per lโuomo incappato nei briganti, il dottore della Legge risponde: โColui che ha fatto misericordia con luiโ (10,37; lett.), cioรจ โColui che ha agito con misericordia nei suoi confrontiโ. Ma cosa ha fatto il
Samaritano? Sette azioni: โebbe compassioneโ; โsi avvicinรฒโ; โfasciรฒ le feriteโ; โversรฒ olio e vinoโ; โlo caricรฒ sulla cavalcaturaโ; โlo portรฒ a una locandaโ; โsi prese cura di luiโ. โIl giorno dopoโ (10,35), prima di partire, spende denaro raccomandando il ferito alle cure del locandiere e preoccupandosi di assicurare che avrebbe speso ancora ciรฒ che si fosse rivelato necessario. La compassione รจ qualcosa che si fa, รจ una prassi, non un sentimento. Si situa sul piano dellโeffettivitร , piรน che dellโaffettivitร . Comporta movimenti interiori come il rigetto dellโindifferenza e lโassunzione della responsabilitร personale. Ma anche esteriori e tangibili come il dare tempo, energie, denaro. Ed esige una collaborazione: il Samaritano ha bisogno di altri e di istituzioni per poter adeguatamente aiutare il ferito. Il locandiere e la struttura in cui egli sarร accolto e curato.
Possiamo chiudere questa riflessione lasciando risuonare per ciascuno di noi le parole di Agostino che esplicitano bene il senso della nostra parabola: โNon chiederti: chi รจ il mio prossimo? Tocca a te farti prossimo di chi รจ nel bisognoโ (De doctrina christiana I,30).
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose



