“L’incarnazione di Gesù: nell’umano il volto” di p. Alberto Neglia, carmelitano

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Perché Dio si è fatto uomo?

Scrive Atanasio di Alessandria: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio». Ovviamente questo non vuol dire che l’uomo è chiamato a diventare Dio per natura. I Padri quando parlavano di théosis (divinizzazione) volevano indicare, come scrive Vladimir Lossky, la partecipazione dell’uomo «alla vita divina della santa Trinità, possedendo per grazia tutto ciò che essa possiede per natura». Per i Padri è l’incarnazione del Verbo che rende possibile la divinizzazione dell’uomo. Il Verbo che si è fatto carne ha dischiuso agli uomini la possibilità di divenire figli di Dio: l’uomo deve ormai essere all’altezza di questa vocazione e di questa speranza. Anche Giovanni della Croce ci ricorda che la nostra vocazione è: diventare Dio per partecipazione.

Quindi, i Padri, e non solo Atanasio, hanno evidenziato, in vari modi, che “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio”. Ma essi hanno anche sottolineato (e su questo spesso si tace) che più si partecipa della vita di Dio, nella fede, più si diventa umani. È come se ci dicessero: Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi uomo, perché l’uomo umanizzi la sua umanità. S. Ireneo scriveva: «Come potrai essere dio, se non sei ancora diventato uomo? Devi prima custodire il rango di uomo e poi parteciperai alla gloria di Dio».
I Padri, in altri termini ci ricordano che l’incarnazione del Verbo è anche finalizzata alla umanizzazione dell’uomo, o lo evidenziano invocando l’autorità della rivelazione. Paolo, infatti, ci ricorda che Gesù è apparso «per insegnarci a vivere con sobrietà, giustizia e pietà, in questo mondo» (Tt 2,12).

Chiamati anche noi a mostrare nella nostra umanità il volto di Dio

Il Figlio con l’incarnazione non ha raggiunto soltanto la santa umanità di Gesù di Nazareth. Egli ha toccato in qualche modo tutti gli uomini. Ognuno di noi, nel disegno eterno, è stato fatto dal Figlio, per lui, con lui e in lui. Siamo tutti figli nel Figlio. Entrando nella storia e assumendo l’umanità concreta di Gesù, egli ha assunto in certo modo tutti noi che partecipiamo di questa umanità. In tal modo siamo tutti fratelli di Gesù Cristo. Ogni uomo è suo rappresentante. Ogni persona traduce un aspetto originale del Figlio eterno. Anche noi, allora, siamo coinvolti a lasciare affiorare, nei nostri gesti umani, il volto di Dio.

Teofilo di Antiochia, II secolo, ai pagani che gli chiedevano: “Mostrami il tuo Dio” proponeva di mutare la domanda in: “Mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il tuo Dio”… Teofilo nella sua risposta sembra dire: attraverso la nostra umanità noi vi diremo chi è il nostro Dio. In tal modo egli rivela come nel cristianesimo l’immagine che ci facciamo dell’uomo – vale a dire il modo in cui viviamo la nostra umanità – manifesta l’immagine del nostro Dio.

«Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS 41), ci ricorda il Concilio. Mostreremo, allora, il volto di Dio non con gesti eclatanti, né attraverso gesti sacrali, ma vivendo il quotidiano con lo stile di Gesù, emerso nella vita pubblica, ma anche negli anni silenziosi di Nazareth.

Mi sembra utile concludere con l’esortazione di ps Magdalaine, alcuni decenni prima del Vaticano II, rivolte alle sorelle, ma valida anche per noi: «Piccola sorella,….. Prima di essere religiosa, sii umana e cristiana in tutta la forza e la bellezza di questa parola. Sii umana per glorificare meglio il Padre nella sua creatura e per rendere testimonianza all’Umanità santa del tuo Amatissimo Fratello e Signore Gesù. Quanto più sarai perfettamente e totalmente umana, tanto più potrai essere perfettamente e totalmente religiosa, perché la tua perfezione religiosa fiorirà allora in un equilibrio normale che ne rafforzerà la base».