Introduzione al Vangelo del 26 settembre 2010 – mons. Andrea Caniato

XXVI domenica del tempo ordinario C – 12 Porte Tv

Il racconto del povero Lazzaro e del ricco gaudente: Gesù risponde anzitutto ad una idea sbagliata che era molto in voga tra i farisei, ma che spesso serpeggia anche tra di noi: che se uno è messo male ed è in difficoltà vuol dire che ha fatto qualcosa di male ed è come punito da Dio, e viceversa.
Dio permette che al mondo ci siano i poveri e i ricchi, ma il giudizio di Dio verrà per tutti e chi a chi ha di più, sarà chiesto di più.
Un altro spunto di riflessione, che ci viene da un commento di san Gregorio Magno: questo grande padre della Chiesa rileva che — contrariamente a quanto si pensa — il Nuovo Testamento è più severo dell’Antico: l’Antico infatti condanna chi ruba, il Nuovo condanna chi non dà del suo. E noi che a volte, nei nostri sbrigativi esami di coscienza, diciamo: “rubare, non ho rubato…”.
“Nessuno si senta tranquillo dicendo: Non ho rubato nulla, mi godo quello mi appartiene legittimamente, poiché questo ricco non è stato punito per aver rubato, ma perché si attaccò avidamente alle cose che aveva ricevuto”.
Nella seconda parte del racconto, Gesù racconta cosa accade nell’aldilà: Lazzaro è in paradiso e il riccone è all’inferno.
Si dice chiaramente che il paradiso e l’inferno non solo esistono, ma sono per sempre: il vangelo dice che sono separati da un abisso invalicabile. Ma quell’abisso, il riccone se l’era già scavato durante la sua vita. Non l’aveva forse mai ammesso, ma nonostante i suoi beni, quell’uomo viveva già all’inferno, chiuso in se stesso, incapace del bene. Ricordare che l’inferno esiste ed è eterno, e che addirittura comincia qui, non è una minaccia, ma uno stimolo a valutare quanto è preziosa questa vita che viviamo: può durare poco o tanto, ma questa vita che passa decide di un destino eterno.
Ancora san Gregorio nota come curiosamente non conosciamo il nome del ricco, ma solo il nome del povero: esattamente il contrario di quello che accade in questo mondo, dove solo certi nomi contano e sono conosciuti da tutti.
Ma vorrei attirare l’attenzione sulla frase che chiude il brano: “neanche se uno risuscitasse dai morti, sarebbero persuasi…”. È impressionante, perché il Vangelo non conosce forza più potente della risurrezione di Cristo, ma l’avidità insaziabile che è idolatria, ha il terribile potere di respingere la grazia della vita nuova in Cristo.

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