Fr. Cantalamessa – 05/10/2008 – XXVII Domenica del T.O.

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Le ragioni della speranza del 05/10/2008 – Il contesto immediato della parabola dei vignaioli omicidi riguarda il rapporto tra Dio e il popolo d’Israele. È ad esso che storicamente Dio ha inviato dapprima i profeti e poi il suo stesso Figlio. Ma come tutte le parabole di Gesù, essa è una “storia aperta”. Nella vicenda Dio-Israele viene tracciata la storia del rapporto tra Dio e l’umanità intera.

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Il contesto immediato della parabola dei vignaioli omicidi riguarda il
rapporto tra Dio e il popolo d’Israele. È ad esso che storicamente Dio
ha inviato dapprima i profeti e poi il suo stesso Figlio. Ma come tutte
le parabole di Gesù, essa è una “storia aperta”. Nella vicenda
Dio-Israele viene tracciata la storia del rapporto tra Dio e l’umanità
intera.

Gesù riprende e continua il lamento di Dio in Isaia della prima
lettura. È lì che si deve cercare la chiave di lettura e il tono della
parabola. Perché Dio ha “piantato la vigna” e quali sono “i frutti” che
si aspetta e che a suo tempo viene a cercare? Qui la parabola si
distacca dalla realtà. I vignaioli umani non piantano certo una vigna e
non vi spendono le loro cure per amore della vigna, ma per il loro
beneficio. Non così Dio. Egli crea l’uomo, entra in alleanza con lui,
non per suo interesse, ma per il vantaggio dell’uomo, per puro amore. I
frutti che si aspetta dall’uomo sono l’amore per lui e la giustizia
verso gli oppressi: tutte cose che servono al bene dell’uomo, non di
Dio.

Questa parabola di Gesù è terribilmente attuale applicata alla nostra
Europa e in genere al mondo cristiano. Anche in questo caso bisogna
dire che Gesù è stato “cacciato fuori della vigna”, estromesso da una
cultura che si proclama post-cristiana, o addirittura anti-cristiana.
Le parole dei vignaioli risuonano, se non nelle parole almeno nei
fatti, nella nostra società secolarizzata: “Uccidiamo l’erede e sarà
nostra l’eredità!”.

Non si vuole più sentire parlare di radici cristiane dell’Europa, di
patrimonio cristiano. L’uomo secolarizzato vuole essere lui l’erede, il
padrone. Sartre mette in bocca a un suo personaggio queste terribili
dichiarazioni: “Non c’è più nulla in cielo, né Bene, né Male, né
persona alcuna che possa darmi degli ordini. […] Sono un uomo, e ogni
uomo deve inventare il proprio cammino”.
Quella che ho indicato è una applicazione per così dire “a banda larga”
della parabola. Ma quasi sempre le parabole di Cristo hanno anche una
applicazione a banda stretta, o a livello individuale: si applicano a
ogni singola persona, non solo all’umanità o alla cristianità in
genere. Siamo invitati a chiederci: che sorte ho riservato io a Cristo
nella mia vita? Come corrispondo all’incomprensibile amore di Dio per
me? Non l’ho per caso anch’io cacciato fuori delle mura della mia casa,
della mia vita…cioè dimenticato, ignorato.

Ricordo che un giorno ascoltavo questa parabola durante una Messa,
mentre ero abbastanza distratto. Arrivato al punto in cui si sente il
padrone della vigna dire tra sé: “Avranno rispetto di mio Figlio”, ebbi
un soprassalto. Capii che quelle parole erano rivolte personalmente a
me, in quel momento. Adesso il Padre celeste stava per mandare a me il
Figlio nel sacramento del suo corpo e del suo sangue; ero compreso
della grandezza del momento? Ero pronto ad accoglierlo con rispetto,
come il Padre si aspettava? Quelle parole mi richiamarono bruscamente
dai miei pensieri…

Aleggia nella parabola dei vignaioli omicidi un senso di rammarico, di
delusione. Non si direbbe davvero una storia a lieto fine! Ma a
leggerla in profondità, essa parla solo dell’amore incredibile di Dio
per il suo popolo e per ogni sua creatura. Un amore che alla fine,
anche attraverso le alterne vicende di smarrimenti e di ritorni, sarà
sempre vittorioso e avrà l’ultima parola.

I rifiuti di Dio non sono mai definitivi, sono abbandoni pedagogici.
Anche il rifiuto d’Israele che risuona velatamente nelle parole di
Cristo: “Sarà tolto a voi il regno di Dio e sarà dato a un popolo che
lo farà fruttificare”, appartiene a questo genere, come è quello
descritto da Isaia nella prima lettura. Abbiamo visto, del resto, che
questo pericolo incombe anche sulla cristianità, o almeno su vaste
parti di essa.

Scrive S. Paolo nella lettera ai Romani: “Dio avrebbe forse ripudiato
il suo popolo? Impossibile! Anch’io infatti sono Israelita, della
discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino…Dio non ha ripudiato
il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio. …Forse
inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della
loro caduta la salvezza è giunta ai pagani, per suscitare la loro
gelosia. Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del
mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione, se non una
risurrezione dai morti?” (Rom 11, 1 ss.).

Nella settimana appena trascorsa, il 29 Settembre, i fratelli hanno
celebrato la loro festa forse più sentita il Capodanno, detto presso di
loro Rosh Ha-shanà. Vorrei cogliere questa occasione per far giungere
ad essi il mio augurio di pace e di prosperità. Con l’Apostolo Paolo
grido anch’io: “Sia pace su tutto l’Israele di Dio”.

Fonte:
http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=391