Fabio Quadrini – Commento al Vangelo di domenica 20 Giugno 2021

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È risaputo, ma se così non fosse siamo qui a ribadirlo, come uno dei principi per comprendere la Sacra Scrittura, ovvero cercare di avvicinarsi alla sua comprensione, sia quello di “leggere la Bibbia con la Bibbia”, che detto semplicemente vale a dire: se una parola o espressione risulta “dura” nella sua comprensione, oppure la si vuole meglio ampliare nel suo senso, si può “sciogliere” questa parola o espressione cercando di trovarla in un altro passo biblico, e notare quale senso arrivi ad esprimere; e questo senso espresso nel passo biblico ricercato si recupera anche per la parola o espressione da cui si era partiti.
Tale procedimento possiamo definirlo, approssimativamente, come il calco di un metodo esegetico proprio della prassi rabbinica ebraica, che si chiama ghezèra shavà (lo abbiamo già citato in altri commenti), il quale, per farla semplice, è metodo, appunto, volto ad accertare l’esatto significato di un termine (o di una frase), comparandolo (o comparandola) ad un altro passaggio in cui il pieno significato del dato termine (o della data frase) risulta chiaro.

Diamo al nostro commento ancora un’altra premessa.
In greco ci sono due preposizioni molto simili, che spesso sono interscambiabili, tanto è vero che nella formazione di alcuni complementi (es. moto a luogo) si possono adoperare indistintamente.
Esse sono prós e eis. -È chiaro che l’aggettivo “simile” è diverso da “uguale”, altrimenti che senso avrebbe avuto “creare” (e, nell’atto pratico dello scrivere, adoperare) due lemmi diversi. Nondimeno la relazione tra prós e eis è molto forte)

Ebbene, date queste due premesse, veniamo al versetto estratto dalla pericope evangelica odierna, che contiene la parola che terremo in analisi in questa occasione:
«Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”» (Mc 4, 38).

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Il sostantivo che abbiamo evidenziato, ovvero «cuscino», nel greco originario del testo evangelico è proskefálaion, che letteralmente varrebbe «(prós) verso (kefalé) testa» (difatti il cuscino è il luogo verso cui la testa si posa).
Dato ciò, recuperiamo un altro passo marciano per procedere ad un confronto:
«Non avete letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo» (Mc 12, 10, in cui Gesù cita direttamente il Salmo118).
Tuttavia la parola evidenziata («pietra»), nel testo greco originario, non è esattamente così.
Ecco come si potrebbe rendere letteralmente:
«Non avete letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartato questa ha preso luogo verso la testa d’angolo».
E l’espressione appena evidenziata è esattamente resa con eis («verso») kefalèn («testa»).

Ebbene, volgendo a chiusura del nostro brevissimo commento (dato che l’urgente dolce pianto -che è benedizione del Signore- del nostro bimbo incombe), questa particolare ghezèra shavà che abbiamo scrutato su una parola del Vangelo di oggi, mi porta a una, e duplice, riflessione. -Il passo evangelico di questa domenica è straordinario: inutile continuare a dire come non finiremmo mai di commentarlo in ogni sua virgola

Nei momenti di tempesta della mia vita, in cui molto spesso tale tempesta sembra una costante (questo non è pessimismo, ma sottolineatura che vuol mettere in evidenza come la vita sia fatica, o come ha detto Paolo, nella II Lettura di domenica scorsa, «un esilio» – cf. 2Cor 5,6-10), in cui l’oscurità e i tormenti non solo sembrano, ma hanno propriamente il sopravvento, e sono talmente invadenti ed invasivi che mi portano a tacciare il Signore di noncuranza, credendolo «a poppa, sul cuscino» (o peggio mi portano addirittura a rinnegarlo, ovvero a negare la sua esistenza), ecco, invece, che il Signore, in realtà, non sta “beatamente riposando”, bensì è in rispettosa ma accesa tensione, vigile ed attenta al mio richiamo, pronta a farsi, negli sfaceli della mia vita, pilastro e testata.
Il Signore, infatti, rispettando, in disparte, la mia libertà, non mi invade, ma resta in attesa, diciamo pure «a poppa, sul cuscino (proskefálaion)» -permettendo, non cagionando, la tempesta-, nell’attesa del mio grido di aiuto, a seguito del quale non mancherà mai, immediatamente, di precipitarsi «a prendere luogo verso la testa (eis kefalèn)» della mia vita, a farsi elemento strutturale che sosterrà la mia vita dinanzi ad ogni tempesta, ad ogni tentazione, compresa la peggiore, ovvero quella di arrivare a negare, devastato dai tormenti, l’esistenza stessa del Signore (cf. Mt 16, 18: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa»).

L’altra riflessione, infine, è altrettanto decisiva.
Quanto spesso il mondo in cui viviamo, il mondo che ci circonda (e noi stessi, che siamo il mondo: adoperare la genericità, infatti, è rischiosa, poiché spesso è sinonimo di “giudizio nei confronti altrui”), relega il Signore «a poppa, sul cuscino», ritenendolo inutile per e nella gestione della vita, persino dinanzi alle tempeste: «Basto io, non serve Dio».
Ed il Signore è posto talmente ai margini della barca del mondo, che il mondo stesso arriva persino a gettarlo a mare, quasi che Egli rappresenti la zavorra che impedisce la navigazione, o peggio quasi che Egli sia la causa della tormenta che provoca la mala navigazione.
Non temiamo!
Non temiamo il mondo che, con molti mezzi e manovre, si libera di Gesù Cristo; non temiamo il mondo che getta a mare il Signore.
Gesù Cristo, infatti, permette che si creda che Egli sia «a poppa, sul cuscino (proskefálaion)».
Il Signore, invece, è a prua, è al comando. Il Signore «ha preso, prende, e sempre prenderà luogo verso la testa (eis kefalèn)» del mondo e della storia.

Fonte

Per gentile concessione di Fabio Quadrini che cura, insieme a sua moglie, anche la rubrica ALLA SCOPERTA DELLA SINDONE: https://unaminoranzacreativa.wordpress.com/category/sindone/