Nella lingua originaria del vangelo – il greco – il termine ‘trasfigurazione’ si potrebbe anche tradurre con metamorfosi: un vero e proprio passaggio di soglia, per cui ciò che alla fine si avrà sarà sempre ciò che era all’inizio, ma al contempo non lo sarà più. Un esempio su tutti l’albero e il seme.
Siamo chiamati a vivere la vita come evento di trasfigurazione, e Gesù ce ne mostra il cammino e la modalità . Quando si vive espropriati dal ‘mio’ e dall’io, dagli attaccamenti ai propri giudizi, pre-giudizi, attese, visioni del mondo, allora ci troviamo trasformati nella nostra natura più autentica.
Non è questione di cambiare vita, accedere ad un’altra, ma lasciare che si trasformi quella stiamo vivendo.
- Pubblicità -
Siamo venuti alla luce come semi, e quindi in grado di compierci come esseri-umani-completi, il ‘divino-realizzato’, ma a condizione che il seme che siamo – come avviene in natura – muoia per portare frutto (cfr. Gv 12, 24).
La questione è imparare ad affidarsi alla legge dell’impermanenza, ossia vivere ciò che la vita chiedere d’essere vissuto momento per momento. Si tratta di non rimanere attaccati alle proprie ‘mappe mentali’ d’applicare poi sul territorio della propria storia, semplicemente perché la mappa-non-è-mai-il-territorio.
Se viviamo fino in fondo ogni attimo per quelle che è – e non come vorremmo fosse – conosceremo certo la morte dei nostri desideri, aspettative e attese ma comprendere finalmente che questa morte era necessaria alla vita.
- Pubblicità -
La vita insomma sa ciò di cui abbiamo bisogno per compierci. Tutto è già presente, anche se reputiamo che ciò che conta – magari la felicità – debba ancora venire o raggiungerci.
La vita non è tanto perseguire una meta – il compimento dei propri sogni – ma piuttosto un aprirsi semplicemente a ciò che siamo in questo momento, al nostro essere più profondo, al nostro vero Sé.
La trasfigurazione è perciò il momento del risveglio, l’istante in cui intuisco che io-sono al di là del mio manifestarmi.
La trasfigurazione avverrà per noi quando cominceremo ad accogliere e ‘scegliere’ ciò che non possiamo cambiare. Quando comprendiamo magari che fallire e naufragare è il segnale che la via che stavamo seguendo non fa più per noi.
Trasfigurazione è intuire che la ferita esistenziale, il dolore, la malattia aiutano a far sorgere il nuovo, l’inaspettato, ciò che si nascondeva da sempre dietro un velo che però non si è mai sollevato perché troppo intenti a fare progetti.
È vero, è molto difficile accogliere la vita così come accade, magari la morte di una persona cara, una malattia, un dolore profondo ma essere persone maturare nella via spirituale – trasfigurate – significherà comprendere – come per il poeta di Recanati – che ‘naufragar m’è dolce in questo mare’ e che quindi la rovina della propria vita non è la fine, ma opportunità per scoprire e solcare altri mari.
Gesù, con l’evento trasfigurazione, ha voluto insegnare ai suoi proprio questo. Egli sarebbe morto come un fallito e un reietto sulla croce, ma abbandonandosi alla Vita ha sperimentato alla fine che proprio su quel legno si sarebbe compita l’ultima e definitiva metamorfosi. Una vita straordinariamente nuova ma soprattutto per sempre.
Per gentile concessione di don Paolo Scquizzato