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don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 31 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 20, 1-9

Nemici promossi, amici bocciati

I discepoli assolutamente no. La possibilità della Risurrezione non l’avevan proprio calcolata: avevano calcolato, piuttosto, e temuto, la sua morte. Con una fortissima preoccupazione per la loro incolumità. “E’ stato bello, ma è finito tutto. Io, lunedì, me ne ritorno a pescare” disse Pietro, che di quelli era rimasto il capo anche dopo i fattacci degli ultimi giorni.

La domenica mattina presto, erano state avvistate parecchie di quelle donne di quelle ch’erano rinomate per essere state amiche pubbliche del Cristo: ma anche loro, alla risurrezione, non ci credevano più dei maschi. Il fatto che andassero alla tomba con gli aromi, era questione di pietà. Mendicavano un briciolo di consolazione con l’imbalsamazione del corpo: ungere il corpo dell’Amato era l’unico loro pensiero rimasto dopo la macelleria di cui i loro occhi si erano inzuppati.

Un gesto che nasceva da un amore disperato incredulo. Degli uomini, invece, la mattina non si vide alcuna traccia: al sepolcro arriveranno soltanto dopo che le donne li avranno scomodati dalle loro poltrone. Le donne, invece, erano venute per cercare conforto. “Piuttosto di niente meglio piuttosto!” si ripetè la Maddalena dei forti profumi. La prima delle tre Marie.

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A crederci alla Risurrezione, invece, furono gli avversari. Da non crederci: quelli che l’avevano appeso come un’amaca sul palo della Croce, pur avendo la vittoria in tasca non sono sereni: hanno paura che la vittoria sia solo una vittoria apparente.

Che la figuraccia, dunque, raddoppi di lì a poco. Eccoli, dunque, che vìolano il silenzio del sabato per andare da Pilato: «Ci siamo ricordati che disse: dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno». Da non crederci! Quella di Cristo è l’unica tomba davanti alla quale sia stato rotolata una pietra e posizionata una schiera di soldati per impedire che il morto risuscitasse!

Lo sapevano bene, i nemici, cosa sarebbe accaduto: «Che non vengano i suoi discepoli, lo rubino e dicano al popolo che è risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggio della prima» (Mt 27,63-64). Degli uomini armati fin sotto i denti posizionati lì per sorvegliare un cadavere: lo spettacolo ridicolo che non ti aspetti. Il dettaglio che dice molto più di biblioteche di parole: dicevano che era morto, che avevano vinto, sapevano ch’era morto, giuravano che non sarebbe risorto.

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Eppure erano lì a vigilare. Delle parole sue – “Dopo tre giorni risorgerò!” – ronzavano come sciame d’api nelle cassemorte dei loro pensieri. Avevano detto di Lui che era un impostore: c’era, dunque il rischio che li avrebbe ingannati anche stavolta, facendoli credere d’aver vinto la guerra, quando avevano portato a casa una battaglia. «Avete la vostra guardia, andate, assicuratevi come credete» (27,65): Pilato era esausto. Era una mela cotta.

Il loro gesto, il gesto dei nemici, battè a tavolino la fuga degli amici: «Essi andarono, assicurarono il sepolcro sigillando ila pietra e mettendovi la guardia» (27,66). Questa vigilanza privata, organizzata e finanziata dai nemici (non dagli amici!) è il primo annuncio silenzioso della risurrezione del Cristo. Con annesso stupore, enorme stupore: i nemici del Cristo si aspettano la Risurrezione, i suoi amici hanno già fatto i bagagli per rientrare alle loro case.

Quelli che dicevano, fino a venerdì, di credergli sono diventati increduli; quelli che fino a venerdì eran gli increduli, si sono fatti possibilisti. Fino quasi a costringerci ad immaginare una scena impensabile, quasi una specie di fantavangelo: che nella giornata del sabato, a fare compagnia alla Madonna nella fatica di non arrendersi, siano stati proprio loro: i nemici del Figlio, quelli che lo avevano inchiodato.

Che, sotto i colpi della loro frustrazione, non riuscirono a non pensare che, avendo detto di lui ch’era un imbroglione, non li avesse imbrogliati un’altra volta con la fantasia del suo Amore. Andò esattamente così: la partita finisce quando l’arbitro fischia. Non un secondo prima: ci si può fare tanto male esultando prima del fischio.

Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte

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