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don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 21 Aprile 2024

Domenica 21 Aprile 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 10, 11-18

Io ho scelto te e non viceversa

Il mercenario non è cattivo. Chi ha detto che il mercenario è brutto, sporco e cattivo solo perchè è un mercenario? La faccenda è diversa: al mercenario tu non importi granchè. Tutto qui. O meglio: al mercenario tu gli interessi finchè fai i suoi interessi, o lo aiuti a farli.

Poi, però, quando «vede venire il lupo», oppure sente il canto delle Sirene (è la stessa cosa, rovesciata) se ne sbatte altamente del contratto ch’è stato firmato in duplice copia dai cuori: ti lascia alla mercè del tuo destino.

“Uffa, perchè mi tratti così?” ti verrà, magari, da dire. Secondo te ha tempo per risponderti impegnato com’è a strapparsi un altro contratto (a tempo determinato, ovviamente)? Gesù, quando parla di sé, ama parlare prendendo in prestito immagini, suoni, colori e sapori alla portata di tutti. Per questo, quand’è indaffarato a dire chi non è, si affretta a dire: «Io sono il buon pastore (Non sono un mercenario) perchè il mercenario vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge».

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La scusa è sempre la stessa, da quando esistono i lupi, le pecore, pure i pastori: “Sai cosa ti dico: che alla fine mica sono mie le pecore. Se succederà qualcosa, paga l’assicurazione. O, comunque, saranno affari del pastore”. Gesù è chirurgico, pesa le parole come un tossico la sua dose sul bilancino: specifica che la differenza tra lui e un mercenario – tipo lo smargiasso di Satana – è una questione di appartenenza: «Al mercenario le pecore non appartengono».

A Lui sì, invece: appartengono così tanto che «io do la vita per le mie pecore». Non è lo sforzo per stare assieme a tutti i costi l’appartenza tratteggiata da Cristo: non è nemmeno il conforto di un normalissimo volersi bene. Appartenere, secondo i principi della pastorizia di Cristo, «è avere gli altri dentro di sè» come canta quel genio di Gaber. D’altronde, se ci potessimo salvar da soli, che senso avrebbero le persone speciali? Le persone che ti fanno sentire speciale, soprattutto.

Appartenere a qualcuno – anche soltanto ad un luogo, ad una presenza, a una persona – è una sensazione difficile da spiegare: è più facile avvertirla con un brivido sulla pelle che fissarla sulla carta. È, per dira con le parole di poesia, «entrare con la propria idea nell’idea di lui o di lei e farne un sospiro di felicità» (A. Merini).

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Cristo, vogliaddio, è fatto così: quando tutti ti vedono come una nota stonata, Lui – chiamandoti per nome – ti fa sentire importante. Come ti dicesse: “Tu non sei affatto stonato, appartieni ad un’altra melodia”. E capisci all’istante che è la persona giusta per te, giusto nel momento dell’abbandono: ti ha messo a posto senza chiederti di cambiare nulla. Semplicemente ricordandoti che non sei “figlio di NN” ma tu Gli appartieni.

Appartieni a Lui: essere un rifugio l’uno per l’altro, questo è appartenersi. È tutta un’altra cosa dal possesso: l’appartenenza è una cosa reciproca, alla faccia di chi dice “Sei mio!” mettendoti le manette nei polsi. Qualora, poi, ascoltando una pagina di Vangelo che parla di mercenari, di lupi, di pecore e di pastori ti scappasse un sorriso – come chi dice “Questo qui sta parlando di me!” – allora, forse, chi che sta parlando è una persona per te speciale: «Io sono il bel pastore». Alla faccia della modestia: Lui può: perchè a chi nasce essendo la Bellezza tutto è concesso. Nulla sarà da giustificarsi.

Conforta che non sia necessario, ai fini della felicità e dell’eternità, essere perfetti per tutti: basterà essere speciali per qualcuno. Per quel qualcuno che, la maggior parte delle volte senza fartelo pesare, non ti porta nessun ombrello nel caso iniziasse a piovere ma rimarrà con te, sotto la pioggia, a prendersi l’acqua. Tanto, alla fine, nessuno desidera davvero qualcuno che gli dica che è speciale per lui: gli basta qualcuno che non lo faccia sentire come gli altri.

Come lo fanno sentire, «quando viene il lupo», tutti gli altri: un fattore di rischio per la propria incolumità, un’emergenza da gestire. Cristo, a conti fatti, è sempre stato sincero con l’uomo: “Sappi che io ho scelto te, non tu me”. E, da quando il cuore inizia a battere, l’affare è risolto: se mi fai sentire speciale, tu diventi speciale per me.

Per gentile concessione di don Marco Pozza – Fonte

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