don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo della domenica – 2 Giugno 2019

Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?

Nelle letture della solennità dell’Ascensione abbiamo ascoltato per due volte (I lettura e Vangelo) il racconto dell’esodo di Gesù da questo mondo al Padre. Dopo quaranta giorni dalla sua resurrezione, Gesù si distacca dai discepoli, «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi».

Tutti vorremmo, se fosse possibile, vedere Cristo con i nostri occhi; tutti, come Tommaso, vorremmo toccare le sue ferite con le nostre mani per appoggiarci alla sicurezza della sua presenza. Chi di noi non desidererebbe vedere il Signore?

Negli Atti degli Apostoli viene posta a Gesù una domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Questa domanda è la stessa delle prime comunità, le quali attendevano come imminente il ritorno del Signore Gesù. Il Risorto, in modo fin troppo chiaro, risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Ciò significa che come gli apostoli e le prime comunità così anche noi siamo invitati ad assumere consapevolmente e attivamente la prosecuzione della missione di Gesù: portare insieme a lui con la forza dello Spirito il Vangelo fino ai confini del mondo e alla fine della storia. Ecco il senso della festa di oggi. Con l’Ascensione di Gesù accade ciò che avviene a ogni bambino, quando la mamma improvvisamente stacca le sue braccia e lo lascia camminare da solo. Infatti con l’Ascensione di Gesù è nata la missione della Chiesa.

Luca scrive che mentre Cristo Signore veniva elevato in alto e gli apostoli guardavano fisso il cielo mentre egli se ne andava, all’improvviso si presentarono a loro due uomini in bianche vesti che dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Si faccia attenzione: questo non è un invito a guardare solo le cose della terra, ma un monito a non cercare più quella presenza fisica di Gesù di cui i discepoli hanno fatto esperienza nella storia. Gesù non va cercato presso la tomba vuota, né alzando gli occhi verso l’alto per carpire un’apparizione; egli va cercato, oggi come allora, nella comunità cristiana, nell’eucaristia, nelle donne e negli uomini che, in condizione di ultimi, attendono da noi di essere amati; è in costoro che Gesù ha voluto rendersi presente (cf Mt 25, 31-46).

L’ascensione di Gesù al cielo significa, dunque, che egli si separa dai suoi e si assenta da questa terra e, per tale motivo, il Risorto non può più essere visto né nella carne né nella sua forma gloriosa. Tale distacco prelude però a una nuova forma di presenza da parte di Gesù presso la sua comunità, così che i credenti in lui non restano soli, «orfani» (cf Gv 14, 18): per questo nel salire al cielo benedice i discepoli: «alzate le mani, li benedisse».

Anche noi, come gli apostoli, abbiamo il compito di annunciare la Buona Novella. Seguire Gesù significa vivere come lui. Noi ci impegniamo ad annunciare il Vangelo? Ci sforziamo a mettere in pratica ciò che Gesù ha detto e vivere come lui? Siamo cristiani non per quello che diciamo, ma per quello che facciamo. Mettiamoci davanti al Signore e facendo un attento esame di coscienza domandiamoci: “mi comporto da vero cristiano?”. Non dobbiamo solo predicare ma anche mettere in pratica! Solo se concretizziamo ciò che diciamo, saremo sale della terra e luce del mondo.

Come i Dodici dopo l’ascensione di Gesù erano pieni di gioia, anche noi oggi dobbiamo essere gioiosi e non spaventarci delle proprie debolezze e infermità spirituali; lasciamoci guidare dallo Spirito Santo. Nel quarto vangelo Giovanni scrive che Gesù ha affermato: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (cf Gv 16, 7; 14-16).

Don Lucio D’Abbraccio

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