don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo del 27 Febbraio 2022

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Don Lucio D’Abbraccio

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Togli prima la trave dal tuo occhio

In questa 8ª domenica del tempo ordinario, sia nella prima lettura, come nel vangelo, viene data importanza alla parola per riconoscere una persona che sia realmente retta e buona e non copra (con la stessa parola, ossia con l’ipocrisia) il proprio pensiero e le proprie azioni. Infatti in entrambi i testi, come anche nel salmo 91, viene usata l’immagine dell’albero e dei suoi frutti: nella prima lettura l’autore sacro scrive: «Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore», mentre nel salmo leggiamo: «Il giusto fiorirà come palma […]. Nella vecchiaia daranno ancora frutti».

Ma scendiamo, ora, nel dettaglio del brano evangelico.

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Abbiamo ascoltato l’ultima parte del cosiddetto «discorso della pianura». Gesù ha una particolare ripugnanza per la falsità. Egli preferisce il peccatore all’uomo falso; il pubblicano che si batte il petto al fariseo che si mette una maschera di bontà. Perché? Perché il peccato nascosto, resta e marcisce; mentre il peccato portato alla luce dal pentimento, è perdonato e si dissolve. Per questo il Signore non perde occasione per invitarci a far luce dentro di noi, ad aprire tutte le pieghe della nostra coscienza alla luce del sole di Dio, in modo che non resti nessuna ombra e nessuno spazio per le tenebre. Questo è il senso dell’insegnamento che oggi ci dà il Signore.

L’evangelista Luca annota scrivendo che Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli disse: «L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». Sono parole molto forti ma che ci aiutano a riflettere. Per i farisei un’azione è buona se concorda esternamente con la legge di Dio. Per Gesù, invece, un’azione è buona soltanto quando esce da un cuore buono: altrimenti è una finzione, una ipocrisia. In parole molto semplici, Gesù fa notare che se non abbiamo un cuore pieno di bontà e rettitudine, tutto ciò che facciamo porterà il marchio delle nostre cattive intenzioni, anche se esse sono nascoste. Sorge spontanea una domanda: le nostre azioni sono buone o cattive?

Se sono buone anche le azioni saranno buone; se invece sono cattive anch’esse saranno cattive anche se davanti agli uomini appariranno buone e conformi alla legge di Dio. Ad esempio: visitare gli ammalati, portare una parola buona a chi soffre, soccorrere un anziano nelle necessità, sono azioni buone. Se queste azioni si fanno per esibizione, per essere elogiati, per ottenere qualcosa che ci interessa, allora l’azione che appare buona davanti agli uomini, davanti a Dio non lo è, perché è ipocrisia, falsità, e la falsità non ci conduce al Regno di Dio. A questo punto viene spontaneo chiederci: come faccio a sapere se le mie azioni partono da un cuore buono?

A questa domanda risponde Gesù: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo». Ciò significa che è l’albero buono – ossia il cuore – che fa frutti buoni! Se il cuore è buono, tutto ciò che si fa lo si fa per amore di Dio e del prossimo. Se invece io mi accorgo che prendo atteggiamenti buoni soltanto quando qualcuno mi vede o mi deve elogiare, evidentemente non sono una persona buona ma voglio apparire tale: e questa è finzione! Se invece faccio del bene non per essere apprezzato, allora l’albero è buono. Ora possiamo capire il senso dell’avvertimento iniziale del Signore: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?». Cioè: se noi abbiamo nel cuore uno spessore di cattiveria, come possiamo correggere gli altri? Se noi critichiamo e giudichiamo i nostri fratelli, come possiamo dire che dobbiamo amare e non giudicare? Ed ecco, allora la raccomandazione di Gesù: «Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Il Signore, con questa affermazione, ci mette in guardia dal rischio dell’ipocrisia. Quante volte, purtroppo, siamo ipocriti quando mettiamo tanto zelo nel correggere i difetti degli altri, mentre poi non guardiamo i nostri. Quando recitiamo il Confiteor, diciamo: «Confesso a Dio onnipotente, e a voi fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni. Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa». Riflettiamo su quello che stiamo dicendo? Ci battiamo il petto. Questo gesto è per noi un gesto esteriore o un gesto di vero pentimento?

Solo un comportamento sincero e umile, può riempire di senso le nostre relazioni quotidiane con il Signore, con gli altri e con noi stessi. Fingere, simulare, vivere nella falsità, invece, equivale a vivere da «sepolcri imbiancati».

Concludo con le parole pronunciate da Papa Francesco durante l’Angelus del 7-9-2014.

Meditiamo su ciò che il Sommo Pontefice ha detto: «Anche le parole uccidono! Quando io sparlo, quando io faccio una critica ingiusta, quando io “spello” un fratello con la mia lingua, questo è uccidere la fama dell’altro! Anche le parole uccidono. Facciamo attenzione a questo… È molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o una aggressione. È brutto. Capito? Niente insulto! Insultare non è cristiano… Davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono. Tutti. Gesù, infatti, ci ha detto di non giudicare. La correzione fraterna è un aspetto dell’amore e della comunione che devono regnare nella comunità cristiana, è un servizio reciproco che possiamo e dobbiamo renderci gli uni gli altri. Correggere il fratello è un servizio, ed è possibile ed efficace solo se ciascuno si riconosce peccatore e bisognoso del perdono del Signore. La stessa coscienza che mi fa riconoscere lo sbaglio dell’altro, prima ancora mi ricorda che io stesso ho sbagliato e sbaglio tante volte».

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