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don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo del 2 Febbraio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Lc 2, 22-40

Cristo, luce delle genti, ci aiuti ad essere luce per gli altri!

Nel suo racconto dell’infanzia di Gesù, san Luca sottolinea come Maria e Giuseppe fossero fedeli alla Legge del Signore. Con profonda devozione compiono tutto ciò che è prescritto dopo il parto di un primogenito maschio. Si tratta di due prescrizioni molto antiche: una riguarda la madre e l’altra il bambino neonato. Per la donna è prescritto che si astenga per quaranta giorni dalle pratiche rituali, dopo di che offra un duplice sacrificio: un agnello in olocausto e una tortora o un colombo per il peccato; ma se la donna è povera, può offrire due tortore o due colombi (cf Lv 12,1-8).

San Luca precisa che Maria e Giuseppe offrirono il sacrificio dei poveri – «una coppia di tortore o due giovani colombi» -, per evidenziare che Gesù è nato in una famiglia di gente semplice, umile ma molto credente: una famiglia appartenente a quei poveri di Israele che formano il vero popolo di Dio. Per il primogenito maschio, che secondo la Legge di Mosè è proprietà di Dio, era invece prescritto il riscatto, stabilito nell’offerta di cinque sicli, da pagare ad un sacerdote in qualunque luogo. Ciò a perenne memoria del fatto che, al tempo dell’Esodo, Dio risparmiò i primogeniti degli ebrei (cf Es 13,11-16).

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È importante osservare che per questi due atti – la purificazione della madre e il riscatto del figlio – non era necessario andare al Tempio. Invece Maria e Giuseppe vogliono compiere tutto a Gerusalemme, e san Luca fa vedere come l’intera scena converga verso il Tempio, e quindi si focalizzi su Gesù che vi entra. Ed ecco che, proprio attraverso le prescrizioni della Legge, l’avvenimento principale diventa un altro, cioè la “presentazione” di Gesù al Tempio di Dio, che significa l’atto di offrire il Figlio dell’Altissimo al Padre che lo ha mandato (cf Lc 1,32.35).

Questa narrazione dell’Evangelista trova riscontro nella parola del profeta Malachia che abbiamo ascoltato all’inizio della prima Lettura: «Così dice il Signore Dio: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire … Egli purificherà i figli di Levi … perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia».

Chiaramente qui non si parla di un bambino, e tuttavia questa parola trova compimento in Gesù, perché «subito», grazie alla fede dei suoi genitori, Egli è stato portato al Tempio; e nell’atto della sua «presentazione», o della sua «offerta» personale a Dio Padre, traspare chiaramente il tema del sacrifico e del sacerdozio, come nel passo del profeta. Il bambino Gesù, che viene subito presentato al Tempio, è quello stesso che, una volta adulto, purificherà il Tempio (cf Gv 2,13-22; Mc 11,15,19 e par.) e soprattutto farà di se stesso il sacrificio e il sommo sacerdote della nuova Alleanza.

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Questa è anche la prospettiva della Lettera agli Ebrei, così che il tema del nuovo sacerdozio viene rafforzato: un sacerdozio – quello inaugurato da Gesù – che è esistenziale: «Proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (cf Eb 2,18). E così troviamo anche il tema della sofferenza, molto marcato nel brano evangelico, là dove Simeone pronuncia la sua profezia sul Bambino e sulla Madre: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te [Maria] una spada trafiggerà l’anima». La «salvezza» che Gesù porta al suo popolo, e che incarna in se stesso, passa attraverso la croce, attraverso la morte violenta che Egli vincerà e trasformerà con l’oblazione della vita per amore.

Questa oblazione è già tutta preannunciata nel gesto della presentazione al Tempio, un gesto certamente mosso dalle tradizioni dell’antica Alleanza, ma intimamente animato dalla pienezza della fede e dell’amore che corrisponde alla pienezza dei tempi, alla presenza di Dio e del suo Santo Spirito in Gesù. Lo Spirito, in effetti, aleggia su tutta la scena della presentazione di Gesù al Tempio, in particolare sulla figura di Simeone, ma anche di Anna. È lo Spirito «Paraclito», che porta la «consolazione» di Israele e muove i passi e il cuore di coloro che la attendono. È lo Spirito che suggerisce le parole profetiche di Simeone e Anna, parole di benedizione, di lode a Dio, di fede nel suo Consacrato, di ringraziamento perché finalmente i nostri occhi possono vedere e le nostre braccia stringere «la sua salvezza».

«Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele»: così Simeone definisce il Messia del Signore, al termine del suo canto di benedizione. Il tema della luce, che riecheggia il primo e il secondo carme del Servo del Signore, nel Deutero-Isaia (cf Is 42,6; 49,6), è fortemente presente in questa liturgia. Essa, infatti, è stata aperta da una suggestiva processione. Processione dove abbiamo portato i ceri accesi. Questo segno, specifico della tradizione liturgica di questa Festa, è molto espressivo. Manifesta la bellezza e il valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la Vergine Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo con l’amore di Dio.

Oggi è anche la festa dei religiosi, la giornata della vita consacrata. Ebbene, come comportarsi quando un figlio, o una figlia, dovesse manifestare il proposito di consacrarsi totalmente al Signore, abbracciando la vita religiosa o sacerdotale? Ci sono famiglie, che pure si professano cristiane, dove la notizia di una vocazione viene accolta con tristezza, come fosse una disgrazia. Quante volte i genitori cercano di dissuadere i figli dal seguire la loro strada! Dovrebbe essere piuttosto un onore e una gioia per dei genitori cristiani, quando un figlio decide di dedicarsi e donarsi al Signore. I genitori, dunque, non devono ostacolare i loro figli in questa non facile scelta, ma accompagnarli, come accompagnano gli altri figli all’altare, nel giorno del loro matrimonio. Molti genitori, col passare degli anni, hanno sentito il bisogno di chiedere scusa al figlio sacerdote o alla figlia suora, per non averli capiti in tempo.

Alla luce di questa scena evangelica guardiamo alla vita consacrata come ad un incontro con Cristo: è Lui che viene a noi, portato da Maria e Giuseppe, e siamo noi che andiamo verso di Lui, guidati dallo Spirito Santo. Ma al centro c’è Lui. Lui muove tutto, Lui ci attira al Tempio, alla Chiesa, dove possiamo incontrarlo, riconoscerlo, accoglierlo, abbracciarlo.

La gioia della vita consacrata passa necessariamente attraverso la partecipazione alla Croce di Cristo. Così è stato per Maria Santissima. La sua è la sofferenza del cuore che forma un tutt’uno col Cuore del Figlio di Dio, trafitto per amore. Da quella ferita sgorga la luce di Dio, e anche dalle sofferenze, dai sacrifici, dal dono di se stessi che i consacrati vivono per amore di Dio e degli altri si irradia la stessa luce, che evangelizza le genti.

Nella festa della Presentazione, in ricordo di Gesù che fu proclamato da Simeone «luce delle genti», vengono benedette delle piccole candele che ognuno poi, se vuole, può portare a casa. Per questo la festa veniva chiamata popolarmente la festa della «Candelora», ossia la festa delle «luci». Ringraziamo Cristo per il dono della fede e preghiamolo affinché, per intercessione della Vergine Maria, ci aiuti ad essere luce per gli altri e vivere appieno la nostra vocazione per la salvezza del mondo. Amen!

Fonte

Don Lucio D’Abbraccio

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